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Mes

Pnrr, Eurobond e non solo. Storia e cronaca

L’approfondimento di Giuseppe Liturri

 

Per chi si fosse perso tre anni di dibattito su Eurobond, Recovery Fund, Recovery Plan, PNRR, Next Generation UE e tutto il resto delle sigle magnificenti di cui si è irresponsabilmente ammantata la propaganda – salvo poi cadere dal pero nelle ultime settimane, mostrando la “sorpresa” per un piano che non funziona e non procede – ecco un diario ragionato, proponendo tutti gli articoli scritti seguendo giorno per giorno quelle vicende. Era tutto molto chiaro, per chi avesse avuto voglia di vedere. A meno di non pensare malignamente al dolo.

Il percorso ebbe inizio durante le prime settimane di lockdown. Buon viaggio.

25 marzo 2020. Affiorano i dubbi, dopo il primo Eurogruppo in cui si comincia a parlare di debito comune europeo.

“Ma l’equivoco è sempre quello: chi emette i titoli e poi presta i fondi, ed a quali condizioni?

Si continua a non voler vedere il fondamentale vizio di tutta la vicenda. I Paesi del Nord non vogliono condividere nulla per timore che riversiamo nelle spese legate alla crisi da COVID 19 qualcosa di più e di diverso della spesa per i respiratori e le mascherine e qualche mese di cassa integrazione. Questa è l’amara realtà. Ed allora cercano di dirottarci verso il MES, nella sua unica e vera forma con condizionalità, che è strumento efficace per controllare il nostro bilancio. Ecco il motivo dell’insistenza verso questo strumento, che non avrebbe altrimenti senso vista la disponibilità della BCE a finanziare illimitatamente gli Stati (“there are no limits”) che però ho trovato ben 6 voti contrari nel suo consiglio direttivo.

Esiste un solo coronabond utile. Sono i titoli emessi dai singoli Stati, secondo le proprie necessità, con le seguenti caratteristiche:

Non conteggiati ai fini del debito pubblico;

Acquistati all’emissione o subito sul mercato secondario dalla BCE, nell’ambito del PEPP e senza alcun limite nella ripartizione tra paesi o nella percentuale del debito detenuto per ogni singolo paese;

Detenuti in bilancio dalla BCE in perpetuo, rinnovandoli automaticamente ad ogni scadenza; finanche cancellati.”

6 aprile 2020. La trappola comincia a delinearsi.

“Ma i problemi per il nostro Paese non si ferma qua. Trattandosi in ogni caso di debiti, è legittimo chiedersi perché indebitarsi con SURE, BEI o Mes con l’inevitabile e legittimo potere di controllo di questi ultimi sulle nostre finanze, quando potremmo indebitarci emettendo BTP acquistati “senza limiti” dalla Bce. È pur sempre debito. Con il vantaggio che, indebitandoci con la Bce, gli interessi ci tornano per gran parte indietro come dividendi di Bankitalia al Tesoro (ben 7,8 miliardi nel 2019). O si preferisce far pagare maggiori interessi al nostro Paese, arrecando un danno erariale?

Se perfino Lucrezia Reichlin in un’intervista a Repubblica, è arrivata a dire che “se la Bce sarà lasciata sola prima o poi dovrà buttare giù tutti i paletti”, allora significa che quei limiti sono rimovibili ed hanno un chiaro scopo politico, ecco perché “non è una buona idea forzarli”. La Bce potrebbe fare tutto da sola ma così i governi sarebbero irresponsabili, ed il blocco del nord ha bisogno di garanzie.

Il disegno appare ormai chiaro: approfittare di questa crisi per integrarci definitivamente e disciplinarci nel percorso di riduzione del debito pubblico, compito in cui la Commissione ha fallito agitando l’arma spuntata della procedura d’infrazione. La Bce acquista “senza limiti” e potrebbe rinnovare i titoli in perpetuo, i prestiti di SURE, Bei o Mes invece sono un formidabile guinzaglio. Chiamarlo “Ugo”, citando il grande Massimo Troisi, sarà solo un inganno.”

20 aprile 2020. Il quadro si fa sempre più nitido e preoccupante.

“Un recente rapporto di un organo del’Europarlamento propone che gli eurobond siano emessi dalla Commissione UE per mezzo di un veicolo dedicato (ERF), qualcosa a cavallo tra SURE potenziato e bilancio UE con uso del debito e non solo di risorse proprie.

La Commissione UE si finanzierebbe emettendo eurobond sui mercati per 1.200 miliardi e utilizzerebbe tali somme sia per prestiti che per contributi a fondo perduto a favore degli Stati membri. E la differenza non è banale. Se erogasse prestiti, l’ERF sarebbe come una banca che si finanzia da sé. Se invece concedesse contributi, l’ERF dovrà necessariamente avere entrate proprie, sia per pagare gli interessi che per rimborsare i bond. L’idea è quella che ciascuno Stato contribuisca con l’1/2% delle imposte societarie, raccogliendo così un flusso annuo di circa €20 miliardi (di cui circa 2 dall’Italia). In entrambi i casi gli Stati dovrebbero sottostare a condizioni.

Ma chi decide cosa fare con questi contributi? Se volessimo, per esempio finanziare il taglio del cuneo fiscale per 50 miliardi l’anno e la UE non fosse d’accordo? I vincoli e le condizioni, peraltro legittimi, sarebbero enormi.

Si ripeterebbe, in larga scala, ciò che accade già oggi col MES o col bilancio UE: le linee guida le fissano a Bruxelles e noi dobbiamo pure rispettarle per spendere soldi che alla fine sono nostri.

Al nostro Paese conviene soltanto che la BCE faccia il suo lavoro e lo faccia senza limiti. Le priorità secondo cui ricostruire l’Italia le decideremo noi.”

23 aprile 2020. Sempre peggio.

“Si tratta di emettere bond senza scadenza per 1000/1500 miliardi, ed il pagamento dei relativi interessi sarebbe garantito da nuove tasse stabilite a livello UE. L’aspetto interessante è che queste risorse dovrebbero poi essere concesse a fondo perduto agli Stati membri, seguendo una base di ripartizione che tenga conto della percentuale della popolazione colpita dal Covid-19, del calo del Pil e dell’aumento della disoccupazione.

Su questo punto si impone chiarezza. Già a fine 2011, un paper della Commissione evidenziò che l’emissione di bond con garanzia comune era possibile, a Trattati vigenti, solo utilizzando veicoli, come il Mes o anche il Sure, in cui la responsabilità degli Stati era limitata alla garanzia prestata o al capitale versato. Nessuna responsabilità solidale. E quando lunedì la Merkel ha mostrato un’apertura verso gli eurobond, ha subito aggiunto “nell’ambito consentito dai Trattati”, sottolineando proprio la rigida separazione delle responsabilità degli Stati. È facile immaginare la levata di scudi tedesca se, per ipotesi, l’Italia contribuisse per il 15% al fondo di garanzia ed al pagamento degli interessi sugli eurobond, ma fosse destinataria del 30% dei prestiti o delle sovvenzioni. Chi crede nella fattibilità del piano spagnolo, pur apprezzabile, o non conosce i Trattati o vuole solo indorare la pillola per farci accettare il Mes, l’unico disponibile, quello con le regole che ti mettono sotto programma al primo stormir di fronda. I Trattati sono informati alla competizione, non alla solidarietà.”

25 aprile 2020. I dettagli superano le più fosche previsioni.

“La realtà è che qualsiasi tentativo di distribuire sovvenzioni in Europa, ci vedrebbe contribuenti e non beneficiari. Per il resto ci sono i prestiti, col guinzaglio del creditore privilegiato. Che essi siano erogati dal MES, dal SURE, dalla Commissione o da un nuovo veicolo finanziario, la sostanza non cambia. Saranno sempre assistiti da un pacchetto di condizioni, peraltro legittime dal punto di vista del creditore e dei Trattati, e metteranno definitivamente sotto tutela il nostro Paese. Ed è proprio lì che ci stanno portando.”

27 aprile 2020. I giorni decisivi.

“L’altra metà dei 320 miliardi dovrà essere concessa agli Stati membri a fondo perduto. Ma, poiché quei prestiti della Commissione prima o poi dovranno essere rimborsati, la Ue dovrà dotarsi di risorse proprie e quindi si prevede una serie di nuove tasse raccolte a livello europeo. Anche in questo caso, saremo in prima linea tra i Paesi contribuenti. A maggior ragione considerando il fatto che mancheranno all’appello i circa 10 miliardi annui versati dal Regno Unito, uno dei motivi che aveva determinato a febbraio lo stallo dei negoziati per l’approvazione del bilancio per il nuovo settennio.

L’inconsistenza di questo piano non è sfuggita all’editorialista Wolfgang Munchau che, dalle colonne del Financial Times, dubita del fatto che in questo momento le imprese riescano a moltiplicare i fondi ricevuti. Non c’è bisogno di crediti ma di interventi sul capitale delle imprese, eroso dalla crisi. Il Recovery Fund avrà un impatto marginale.

Tutta questa nebulosa ed inutile costruzione, proprio nei giorni in cui la Bce annuncia a ripetizione nuovi interventi. Il Financial Times ieri sera ha annunciato che la Bce si appresta ad acquistare, nell’ambito del programma già in atto, anche titoli il cui rating è sceso al livello spazzatura (junk). Si tratta soprattutto di obbligazioni societarie, che Bce può acquistare direttamente in emissione, ma potenzialmente anche di titoli pubblici che potrebbero subire in futuro dei declassamenti (Italia, in primis). Nella riunione di giovedì prossimo, c’è anche chi prevede l’aumento dell’ammontare di acquisti destinato a titoli pubblici (PEPP), fissato lo scorso 18 marzo a 750 miliardi. Con l’intervento dell’economista Olivier Blanchard, il coro di voci a favore di un intervento risolutivo della Bce è unanime.

Solo l’Italia insiste a chiedere uno strumento dannoso, al più inutile.”

3 maggio 2020. Il dibattito si intensifica.

“Come al solito, ci racconteranno con ritardo una verità: un fondo basato legalmente sull’art. 122 del Tfue sarà autorizzato ad indebitarsi solo per erogare prestiti, con modesto impatto macroeconomico. Eventuali sussidi potranno essere finanziati solo da contributi degli Stati membri, ed il saldo tra sussidi e contributi vedrà il nostro Paese irrimediabilmente perdente.”

19 maggio 2020. Arrivano i sussidi, ma sono come le 40mila lire di Totò e Peppino.

“In conclusione, il Recovery Fund sarà come farsi intermediare dalla Commissione per prendere del denaro in prestito (circa 60 miliardi potrebbe essere il nostro contributo, in base al Pil, alla restituzione del debito) per poter, nella migliore delle ipotesi in ugual misura, spenderlo attraverso i canali del budget Ue nei prossimi 3 anni. Con annesse rilevanti condizioni in termini di destinazione della spesa e politiche economiche del Paese.

La scena delle 40.000 lire di Totò e Peppino torna prepotentemente alla memoria.”

25 maggio 2020. Soggiogati.

“Agli occhi dei tedeschi, il relativo sacrificio finanziario per contribuire al Recovery Fund sarà ben compensato da un duplice risultato:

Vedere la BCE obbedire al diktat della Corte Costituzionale tedesca ed almeno frenare gli acquisti di titoli italiani senza limiti come nelle ultime settimane, senza rischiare un pandemonio sui mercati;

Vederci finalmente soggiogati sotto un consistente pacchetto di riforme che disciplineranno e condizioneranno la possibilità di spesa dei fondi del Recovery Fund.

Schauble ha coronato il suo sogno e sarà pure ringraziato dagli italiani, illusi dal suo gioco di prestigio.”

28 maggio 2020. Arriva la proposta della Commissione e peggio mi sento.

“Cosa c’è che non va per l’Italia? Quasi tutto…”

1 giugno 2020. Sempre peggio.

“sarebbe stato più opportuno titolare il documento: “Italia, vuoi aiuto finanziario? Allora devi fare fino al 2058 quello che ti diciamo noi”.

20 luglio 2020. Siamo al Consiglio Europeo decisivo.

“una formidabile arma di condizionamento politico che renderebbe il rilascio di quei fondi una lotta per casa per casa aperta almeno fino al 2024. Ma questo è il meno. L’aspetto per noi più dannoso è il vincolo di destinazione di quei fondi, che poi è lo stesso problema che conosciamo da anni e che si manifesta per il QFP. La minuziosa definizione dei capitoli di spesa lungo le linee guida (cambiamento climatico e progresso nel digitale) rischia di non coincidere con le priorità del nostro Paese.”

24 luglio 2020.

“Il Paese sarà plasmato dai desiderata di Bruxelles”.

26 luglio 2020

“All’improvviso dovremmo essere capace di spenderne poco più di 80 in 3 anni oltre a 127 miliardi di prestiti? Il collo di bottiglia delle raccomandazioni Paese e del vincolo di destinazione della spesa (30% per affrontare il cambiamento climatico) appare decisivo.”

30 luglio 2020

“La Commissione non può riversare sui mercati circa 850 miliardi di titoli in un attimo. Il Financial Times ha pubblicato stime secondo le quali il grosso delle emissioni si concentrerà tra il 2021 ed il 2024, con il RF in particolare concentrato tra 2022 e 2024. E se la Commissione non raccoglie denaro con le sue obbligazioni, i bonifici agli Stati non possono partire. Quindi i fondi a prescindere dal loro ammontare, arriveranno con relativa lentezza.”

15 agosto 2020

“Non si potrà mai fare un bilancio complessivo degli effetti del recente accordo”.

16 agosto 2020

“La richiesta di un prestito si giustifica solo alla luce di ulteriori investimenti e riforme che contribuiscono a rendere il fabbisogno finanziario del piano di ripresa più elevato dei sussidi disponibili”.

23 agosto 2020

“Quindi la novità non è tanto gli aiuti europei arrivino, per definizione, con condizioni generalmente generatrici di recessione, quanto che anche il Recovery Fund non sfugga a questa regola e quindi minacci di portare al nostro Paese più recessione che sviluppo”.

4 settembre 2020

“Quindi o si pianificano nuove spese gradite a Bruxelles o niente fondi.

Il punto è quindi proprio questo: fino a che punto i paletti indicati dal Consiglio coincidono con le priorità del Paese? Potremo utilizzare quei fondi per rifare le reti pubbliche (strade ed autostrade in primis) che cadono a pezzi dopo oltre 20 anni di avanzo primario di bilancio o mettere finalmente in sicurezza il precario assetto idrogeologico di numerose aree della penisola?”.

7 settembre 2020

“Sarà la Commissione arbitro insindacabile dell’ammissibilità dei piani nazionali e, per fare questo, si prenderà 8 settimane dal momento dell’invio formale dei piani. E se le priorità del Paese fossero altre? Se volessimo ridurre il cuneo fiscale? Se volessimo ricostruire le aree del Centro Italia, tuttora sotto le macerie a diversi anni dal terremoto? Se volessimo prenderci cura del dissesto idrogeologico? Se volessimo investire nel rafforzamento del nostro sistema di istruzione, investendo sulla retribuzione e qualificazione degli insegnanti e delle strutture scolastiche? Nessuno è sfiorato dal dubbio, nemmeno il Presidente, che quanto “necessario all’efficienza del sistema sociale ed economico” debba essere deciso da noi e non da Bruxelles, considerate le specificità del nostro Paese?”.

15 settembre 2020

“Per quanto riguarda i prestiti ricevuti dalla UE, non esistono dubbi. Concorreranno al calcolo del debito pubblico. E questo deve farci riflettere, una volta di più, sul fatto che il denaro in arrivo da Bruxelles non crescerà come gli zecchini d’oro nel campo dei miracoli.

A quelli credette solo Pinocchio, e nemmeno così a lungo.”

20 settembre 2020

“Stanno pian piano emergendo tutti i difetti del Next Generation UE: pochi soldi veri, erogati lentamente, e soggetti a condizioni potenzialmente dannose per il nostro Paese”.

22 settembre 2020

“In definitiva, quando vi scrivevamo che il Recovery Fund era lo strumento per affossare definitivamente ogni autonoma scelta di politica economica dell’Italia e conseguente prospettiva di crescita e quindi segnare la definitiva subordinazione del nostro Paese a Bruxelles, peccavamo di eccessivo ottimismo”.

4 ottobre 2020

“Perché non abbiamo sfruttato a fondo questa congiuntura favorevole, che la Bce sosterrà ancora a lungo, per definire un nostro autonomo piano di rilancio, senza condizioni ed estenuanti negoziati? La seconda potenza manifatturiera d’Europa ha bisogno di indebitarsi con la UE, anziché col mercato, “risparmiando” forse un piatto di lenticchie (ma sappiamo che così non è, perché è frutto del paragone di mele con pere), ma perdendo la libertà di decidere cosa e quanto spendere per la ripresa?”.

26 ottobre 2020

“E noi abbiamo commesso l’errore di affidare le sorti della nostra ripresa a questo ginepraio, pensando che potesse coprire la totale assenza di una strategia propria di reazione alla crisi. Errore doppio e fatale”.

14 novembre 2020

“Abbiamo qualche fondato dubbio che le scuole che cadono a pezzi o le nostre infrastrutture pubbliche di trasporto, come le autostrade o le ferrovie, possano essere finanziate con quei prestiti e sussidi”. (P.S.: sulle ferrovie qualcosa è arrivato…)

23 novembre 2020

“Introdurre norme che, esse sì, sono un vero sfregio allo Stato di diritto, per condizionare l’arrivo di risorse finanziarie: questo è il vero ricatto a cui quei Paesi oggi sono sottoposti ed a cui ci auguriamo non si pieghino”.

25 novembre 2020

“Potremo fare da soli, attingendo alla liquidità già in cassa ed emettendo titoli pubblici sul mercato, ma solo formalmente, poiché la Banca centrale europea acquisterà quasi tutto, perché trasformatasi (de facto, se non de iure) in compratore netto di ultima istanza”.

7 dicembre 2020

“quel debito emesso da NgEU è identico a quello emesso dal Mes sotto il profilo della responsabilità degli Stati membri”.

14 dicembre 2020

“Il rischio che alcuni progetti restino impelagati nel mostro burocratico che a Bruxelles hanno concepito per gestire il Next Generation Eu è molto elevato”.

(Nella prossima puntata gli eventi del 2021)

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