Giornata di dichiarazioni pesanti sul Mes, da parte dei big del Pd. Dopo il titolo del “Sole 24 Ore” (“Gualtieri: senza Mes tensioni di cassa”) – che era già comunque evidente anche prima della smentita che non corrispondesse ad un virgolettato del ministro Roberto Gualtieri – anche l’intervista al commissario Paolo Gentiloni, apparsa su “La Repubblica”, riserva non pochi passaggi degni di nota che di seguito commentiamo.
Per paradosso però proprio nelle ore dello storico accordo i governi hanno mostrato spaccature sulla visione di fondo dell’Unione più profonde che mai: per abbassare la litigiosità tra leader bisognerebbe riformare i trattati eliminando l’unanimità?
«La decisione è storica, la più importante sul piano economico dopo l’introduzione dell’euro. Che sia arrivata dopo settimane di profonde divisioni è la dimostrazione che per quanto incompiuto e fragile il progetto europeo è stato più forte delle spaccature. E possiamo prevedere che se questo piano senza precedenti avrà successo, ci saranno le premesse per una nuova stagione europea. Un eventuale fallimento, invece, si ritorcerà contro il nostro destino comune».
In questo passaggio dobbiamo riconoscere a Gentiloni una relativa sincerità. Infatti, dà ancora per possibile un fallimento poiché conosce bene le insidie che si nascondono nel passaggio da quello che è un mero accordo politico ad una sequenza di Regolamenti adottati dal Consiglio Ue, che saranno gli unici che conteranno per la loro concreta attuazione. Inoltre saranno necessarie delle procedure di ratifica da parte dei Parlamenti nazionali e, per il bilancio pluriennale UE 2021-2027, l’approvazione da parte del Parlamento Europeo. Poiché il diavolo si nasconde nei dettagli, le sorprese non mancheranno.
Se non ci saranno intoppi, quando inizieranno ad arrivare i primi fondi ai singoli paesi e all’Italia?
«Le erogazioni del Recovery inizieranno nella seconda parte del 2021 ad eccezione di un 10% che verrà anticipato con l’approvazione del Piano. Prima dobbiamo aspettare il percorso di ratifica dei parlamenti, quindi dovremo riuscire a rispettare il calendario con l’approvazione dei Piani di riforme dei singoli paesi entro aprile e andare sui mercati con titoli europei comuni. C’è una terza sfida decisiva, anche se successiva: dovremo essere in grado di approvare nuove risorse proprie dell’Unione, come la digital tax e la tassa sulle emissioni di CO2, per rimborsare il debito comune tra il 2026 e il 2056. In caso contrario, i singoli paesi si ritroveranno a dover restituire i soldi perché l’Europa non è stata capace di rimborsare il debito comune».
Che il Recovery Fund fosse lento lo sapevamo già. Ora ce lo conferma Gentiloni. Nel 2021, nella migliore delle ipotesi arriveranno solo i fondi del prefinanziamento pari al 10%. Anche se nel 2021 riuscissimo ad impegnare somme consistenti, gli effetti finanziari li vedremmo solo nel 2022. Gentiloni fa finta di non ricordare che le tasse per rimborsare il debito sono sempre soldi da restituire alla UE e quindi la differenza che fa è difficilmente comprensibile. In un modo (tasse UE) o nell’altro (contributi degli Stati membri) la Ue avrà bisogno di soldi per rimborsare i bond emessi. La scelta tra le due modalità non sarà invece indifferente per determinare l’impatto sull’economia dei singoli Stati membri.
In attesa dei fondi, consiglierebbe al governo di accedere ai 36 miliardi del Mes?
«Il pacchetto è composto da 390 miliardi del Recovery di aiuti a fondo perso, 360 miliardi di prestiti sempre del Recovery e poi dai crediti agevolati del Mes e di Sure, rispettivamente fino a 240 e 100 miliardi. In tutto 700 miliardi di prestiti. Se c’è un Paese in Europa che può trarre vantaggio da questi prestiti è l’Italia e all’interno di questo pacchetto uno strumento è già disponibile, ovvero il Mes. Abbiamo eliminato dalle sue linee di credito le vecchie condizionalità macroeconomiche e ora è chiaramente vantaggioso per un Paese con i tassi di interesse come quelli italiani. Ma la decisione ovviamente non si prende a Bruxelles.».
È davvero impressionante come Gentiloni metta sullo stesso piano strumenti finanziari profondamente diversi. Lui dovrebbe avere un’idea del perché i 100 miliardi del Sure sono stati già richiesti per intero ed invece nessuno abbia ancora richiesto il Mes, pur facendo parte dello stesso “pacchetto”. Siamo di fronte all’ennesimo tentativo di spacciare per strumento ordinario, uno strumento concepito per Paesi la cui stabilità finanziaria è a rischio e che nessuna torsione interpretativa potrà mai cambiare. Gentiloni sa bene che le condizioni di aggiustamento macroeconomico non devono necessariamente esserci al momento dell’accesso al Mes, poiché possono intervenire successivamente. Egli sa benissimo che permane il regime di sorveglianza rafforzata e la sorveglianza post programma fino quasi al termine del rimborso e continua a nascondersi dietro la foglia di fico della presunta convenienza del suo costo, argomento privo di consistenza.
La Commissione approverà i Piani nazionali di rilancio per accedere al Recovery e l’esborso delle varie tranche di fondi. L’Italia dovrà indicare le riforme che intende realizzare tenendo conto delle raccomandazioni Ue 2019 e 2020 che, tra l’altro, chiedono di rivedere pensioni, lavoro, giustizia, Pubblica amministrazione, sanità e istruzione. Il governo dovrà aprire tutti questi cantieri o potrà limitarsi a sceglierne alcuni?
«Il governo si è mosso bene, bisogna dare atto al premier Conte e ai ministri Gualtieri e Amendola di aver rappresentato bene un’Italia tornata nel gioco europeo. Scelta giusta e molto vantaggiosa per tutto il Paese.
Ora la sfida è riuscire a combinare le misure d’emergenza con le strategie per il futuro rilancio e le misure di spese con l’orizzonte di medio termine in cui la curva del debito deve tornare a scendere. Tutti i piani nazionali dovranno contenere riforme e investimenti orientati alla transizione ecologica, all’innovazione digitale e che guardino alle raccomandazioni della Commissione. Noi dialogheremo costantemente con Roma, anche se la scelta di quali riforme privilegiare spetterà al governo italiano».
Qui Gentiloni “fa il giro largo”. Nel linguaggio dei Mandarini di Bruxelles “dialogheremo costantemente” significa che, grazie al Recovery Fund, le inascoltate raccomandazioni Paese che giacevano da anni nei cassetti di Palazzo Chigi, saranno finalmente lette ed attuate. Con ciò decretando la fine di ogni residuo spazio di agibilità politica e democratica. Altrimenti niente soldi.
Quali riforme consiglierebbe affinché il Piano possa incontrare una decisione positiva da parte della Commissione che possa essere confermata a maggioranza qualificata dai ministri delle Finanze?
«Ci dobbiamo abituare all’idea che non siamo più negli anni ‘10 e quindi non siamo più nella logica delle condizionalità imposte da qualche paese ad un altro partner. Sarà la Commissione a farsi garante delle comuni priorità europee attraverso il dialogo con i governi. Ad esempio, se l’Italia promuove la digitalizzazione dei pagamenti o il taglio dei tempi della giustizia civile, collega le riforme agli investimenti. Ci sarà un dialogo costante e a tal fine creeremo task force specifiche per ogni Paese.
Faremo il possibile per arrivare ad un’approvazione delle strategie nazionali entro aprile».
Questo per chi avesse ancora dei dubbi su ciò che si può fare (poco) e soprattutto non si può fare (molto) con i soldi del Recovery Fund. Il Paese sarà plasmato dai desiderata di Bruxelles. Se le scelte strategiche circa lo sviluppo dell’Italia non entrassero in quel perimetro, saremmo i reprobi da punire.
Alla luce dell’accordo sul Recovery, sarà più facile avanzare con la riforma del Patto di stabilità prima che torni in vigore nel 2022?
«Ne discuteremo in primavera.
Abbiamo bisogno di regole più semplici, meno pro-cicliche e più favorevoli agli investimenti, in particolare quelli verdi. Dopo la pandemia, queste priorità sono più che mai attuali. E non possiamo sbagliare i tempi di riattivazione del Patto, non possiamo rischiare una doppia recessione».
Che il Patto di Stabilità avesse potenziale recessivo, lo sapevamo e l’Italia lo ha purtroppo sperimentato sulla sua pelle. Che fosse direttamente Gentiloni a dircelo, è un regalo inaspettato.
Chi avrà l’ultima parola sugli esborsi? Bruxelles o i governi?
«Le regole approvate dai leader sono chiare, i piani saranno approvati a maggioranza qualificata dai ministri delle Finanze su proposta della Commissione e gli esborsi, anche in caso venga attivato il “freno d’emergenza” e ci sia una discussione al Consiglio europeo, alla fine saranno approvati dalla Commissione. L’ipotesi di un voto unanime e di un diritto di veto è stata scartata».
Quanto afferma Gentiloni è senz’altro rispondente alla lettera all’accordo politico siglato il 21/7. Quello che oggi non sappiamo è come quell’accordo sarà trasferito in un testo avente valore legale come un Regolamento adottato dal Consiglio. I giuristi già si chiedono a cosa servirà discutere per 3 mesi in Consiglio di un Paese eventualmente non rispettoso degli obiettivi intermedi del Recovery Plan, se poi quest’organo non può bloccare nulla? La Commissione non potrà non ascoltare i rilievi degli Stati ed allora si aprirà un contenzioso senza fine. Ma ci sarà tempo per discutere ed approfondire questo aspetto.