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Recovery Fund, ecco numeri, fini e incognite

Il Recovery Fund sarà come farsi intermediare dalla Commissione per prendere del denaro in prestito (circa 60 miliardi potrebbe essere il nostro contributo, in base al Pil, alla restituzione del debito) per poter, nella migliore delle ipotesi, spenderlo attraverso i canali del budget Ue nei prossimi 3 anni. Con annesse rilevanti condizioni in termini di destinazione della spesa e politiche economiche del Paese.

 

Nel giorno in cui il Financial Times aveva sparato a palle incatenate su Ursula Von Der Leyen e sulla sua capacità di guidare la sua neo insediata Commissione, in particolare sulla (in)capacità di proporre un Recovery fund (FD) degno di questo nome, Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno battuto un colpo per toglierla, almeno momentaneamente, dallo stallo in cui è impantanata.

Stavolta niente Deauville, niente Meseberg. È bastata una videoconferenza e 5 paginette di comunicato stampa per riuscire ad iniettare un po’ di entusiasmo nelle vene di chi, come Federico Fubini sul Corriere della Sera, vagava sgomento per l’assoluta incapacità della Ue di concepire soluzioni all’altezza della gravità della crisi che stiamo attraversando a causa del COVID 19.

Premesso che si parla di un’intesa politica che dovrà reggere all’esame in sede di Consiglio Europeo, sotto la regia del presidente Charles Michael, che già a febbraio ha però dovuto registrare il nulla di fatto per la definizione del prossimo bilancio pluriennale. Ed i primi commenti giunti dal premier austriaco Sebastien Kurz non sembrano lasciar presagire nulla di buono per il lavoro del Presidente Michel.

Ma vediamo per sommi capi di cosa si tratta:

  1. Le risorse distribuite agli Stati membri attraverso il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 (QFP), saranno aumentate con un apposito fondo di 500 miliardi, non finanziato da risorse proprie (contributi degli Stati) ma con obbligazioni a lungo termine emesse dalla Ue. Le garanzie saranno prestate dagli Stati membri in proporzione al Pil. Da notare che il bilancio UE prevede ogni anno una distribuzione di risorse pari a circa 160 miliardi. Quindi verrebbe praticamente raddoppiato il bilancio dei prossimi 3 anni.
  2. Le somme saranno spese a favore degli Stati più colpiti dalla pandemia. Non è dato sapere secondo quale base di ripartizione. Il tutto avverrà sempre nell’ambito del programma di bilancio Ue ed in linea con le priorità europee, in particolare privilegiando gli investimenti verso la tutela dell’ambiente e la digitalizzazione.
  3. Le risorse saranno spese focalizzandosi sulle sfide poste dalla pandemia e saranno quindi complementari alle decisioni di spesa delle risorse proprie. Avranno una entità ed una scadenza ben definita e, soprattutto, saranno collegate ad un piano di rimborso vincolante il cui orizzonte temporale supera quello del QFP.
  4. La base di partenza per i negoziati sarà lo stato di avanzamento dei lavori raggiunto a febbraio, e l’obiettivo è quello di rendere il fondo disponibile al più presto possibile.
  5. Il RF aggiuntivo sarà complementare agli sforzi già intrapresi a livello nazionale ed al pacchetto di misure già concordato a livello di Eurogruppo (Mes, Bei e Sure) e sarà inoltre fondato su un chiaro impegno degli Stati membri a seguire un’agenda di riforme ambiziosa e sane politiche economiche.
  6. Migliorare il sistema impositivo della Ue resta una priorità. In particolare introdurre un’aliquota effettiva minima, un’equa tassazione dell’economia digitale ed istituire una base imponibile comune per le tasse societarie.

Cosa c’è di buono per noi nel Recovery Fund?

  1. Si tratta di contributi a fondo perduto, come ha subito sottolineato il Presidente Giuseppe Conte, o di prestiti? Premesso che si tratta comunque di una somma ben inferiore ai 1.000/1.500 miliardi di cui aveva parlato nelle settimane scorse il Commissario Paolo Gentiloni, si potrebbe affermare che formalmente sono contributi a fondo perduto, in quanto inquadrati nelle risorse distribuite dal bilancio Ue. Ma resta un aspetto meramente formale, ammesso che continui ad essere formulato in questi termini. La sostanza invece è quella della stretta correlazione con un piano di rimborsi. E quindi, a prescindere dalle definizioni, se ci sono dei rimborsi allora è un prestito. O peggio, potrebbero pure aggiungersi entrate proprie della Ue e cioè maggiori tasse a carico anche dei contribuenti italiani. In un modo o nell’altro, sono risorse che dovremo restituire alla UE.
  2. Ci conviene il Recovery Fund? Lo sapremo definitivamente quando saranno chiarite e messe sul tavolo definitivamente le seguenti cifre:
    1. Quanto ci mettiamo a garanzia per emettere quei bond, quanto e come dovremo rimborsare quelle somme raccolte sui mercati dalla Commissione emettendo obbligazioni?
    2. Quanto riceveremo in sussidi?
    3. Quali condizioni ci saranno per spendere quelle somme?

Anche i bond emessi dell’EFSF a suo tempo per finanziare la Grecia al collasso non furono stati contabilizzati nel debito pubblico. Non appare quindi questo un grande pregio della soluzione odierna.

Non bisogna dimenticare i termini della nostra partecipazione al bilancio Ue: siamo i terzi contribuenti ed i quinti beneficiari. Nel 2018, il contributo netto al bilancio Ue è stato di circa 6 miliardi (differenza tra 16 miliardi di contributi erogati e 10 miliardi di contributi ricevuti).

Ora, pur con tutta la più buona volontà (ammesso che ci sia davvero) dei partner europei di voler riversare i contributi sui Paesi e sui settori maggiormente colpiti, è immaginabile che questa ripartizione possa subire degli stravolgimenti a nostro favore? Al punto da farci diventare beneficiari netti per una somma che abbia un qualche rilevanza a livello macroeconomico? In altre parole, qualcuno ritiene che, alla fine della fiera, l’Italia possa essere beneficiaria netta di una somma pari ad almeno 2/3 % del Pil (50 miliardi almeno)?

Ammesso e non concesso che ciò avvenga, pensiamo sia una buona idea quella di mettere il nostro Paese definitivamente sotto un’”ambiziosa agenda di riforme” e “sane politiche economiche”, confiscando quel minimo di agibilità della politica economica che ci è rimasta, dati i vincoli del Semestre Europeo e del Patto di Stabilità e Crescita?

La migliore risposta l’ha data il professor Henrik Henderlein, direttore dell’istituto Delors di Berlino, non certo un pericoloso covo di antieuropeisti. Pur sottolineando gli aspetti positivi, Henderlein annovera tra gli aspetti negativi proprio la modesta solidarietà finanziaria e fa l’esempio dell’Italia, per la quale il saldo tra contributo ricevuto e debito da rimborsare non si conosce ancora. Conclude che la simbolicità dell’operazione è sicuramente maggiore del concreto contributo che potremmo riceverne.

In conclusione, il Recovery Fund sarà come farsi intermediare dalla Commissione per prendere del denaro in prestito (circa 60 miliardi potrebbe essere il nostro contributo, in base al Pil, alla restituzione del debito) per poter, nella migliore delle ipotesi in ugual misura, spenderlo attraverso i canali del budget Ue nei prossimi 3 anni. Con annesse rilevanti condizioni in termini di destinazione della spesa e politiche economiche del Paese.

La scena delle 40.000 lire di Totò e Peppino torna prepotentemente alla memoria.

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