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Vi spiego i vincoli Ue nel fondo Next Generation Eu

Portata, obiettivi, limiti e incognite della proposta di Next Generation Eu della Commissione che sarà decisa il 19 giugno dal Consiglio europeo

La pressione sulla Bce, che nella settimana scorsa ha comprato altri 41 miliardi di titoli (di cui probabilmente 9 italiani), stava diventando insostenibile, soprattutto dopo la sentenza di Karlsruhe, e la Merkel aveva bisogno di qualcosa da dare in pasto all’Italia e, dopo un’attesa durata mesi, la Commissione ha finalmente svelato la sua proposta che sarà rimessa alla valutazione ed alla decisione necessariamente unanime del Consiglio Europeo del 19 giugno prossimo.

Cosa c’è che non va per l’Italia? Quasi tutto.

  1. Innanzitutto il saldo dell’operazione. L’Italia era già contribuente netto per 37 miliardi sul precedente bilancio pluriennale 2014-2020. Ora quel bilancio, la cui dimensione sarà pari a 1.100 miliardi, quanto ci vedrà contribuire, soprattutto dopo l’ammanco dei circa 70 miliardi della Gran Bretagna? Ai 1.100 miliardi tutti distribuiti come sussidi e finanziati con contributi degli Stati membri, Ursula Von der Leyen aggiunge ora il Next Generation EU da 750 miliardi, di cui 500 saranno erogati come sussidi e 250 come prestiti. Concentriamoci sui primi, in quanto i prestiti dovrebbero interamente autofinanziarsi. L’Italia dovrebbe riceverne circa 82. Tale somma arriverà in 3 o 4 anni, e non prima del 1 gennaio 2021, sempre che le trattative in sede di Consiglio Europeo si concludano in tempo. Si tratta di circa 27 miliardi all’anno, l’1,5% del PIL 2019. Ma se osservassimo il beneficio netto, cioè dopo aver sottratto i rimborsi che necessariamente saranno dovuti a partire dal 2028, il saldo potrebbe essere intorno a 20 miliardi. Che sia qualcosa di irrilevante dal punto di vista macroeconomico, non lo diciamo noi, ma lo lasciamo dire al professor Friedrich Heinemann del Centro di ricerca economica tedesco Zew. Il quale proprio il 25 maggio ha pubblicato una simulazione che è risultata poi molto vicina ai dati ufficiali pubblicati ieri dalla Commissione, ed ha concluso che “l’importanza macroeconomica per tutti i principali Paesi beneficiari netti (tra cui l’Italia) è modesta”. Inoltre, “tale modesto contributo netto non fa alcuna significativa differenza per la sostenibilità del debito di un Paese avviato verso un debito/Pil del 160%”.
  2. Il tema del vincolo di destinazione dei contributi UE è quello più penalizzante. Infatti, la parte più rilevante dei fondi è assoggettata al quadro normativo del Semestre Europeo e, aspetto ancor più rilevante, deve sostenere le riforme e gli investimenti pubblici. La politica economica del nostro Paese non si potrà permettere la benché minima deviazione rispetto al ciclo di coordinamento imposto dalla Ue. E quando da Bruxelles si usa la parola riforme il significato è uno solo: flessibilità dei mercati e del lavoro, competitività e deflazione. In particolare, il pilastro più rilevante (Recovery and Resilience Facility, RRF) distribuirà sia sussidi (310 miliardi) che prestiti (250) che verosimilmente dovranno essere utilizzati congiuntamente. Inoltre il ventaglio di settori coinvolti è molto ampio: dal turismo alle costruzioni, dalla sanità al digitale, ai trasporti, alla svolta ecologica, alle energie rinnovabili, non c’è settore in cui la UE non metterà il suo zampino. Quasi tutti cari alla Germania. L’accesso a tali fondi non è affatto automatico, bisognerà infatti convincere la Commissione della bontà della destinazione delle somme e della coerenza con gli obiettivi fissati dal piano. Appare improbabile che quei fondi siano utilizzabili per un taglio delle imposte.
  3. Come saranno rimborsati questi 750 miliardi? Tra il 2027 ed il 2058, con maggiori entrate proprie della UE (la scelta preferita dalla Von der Leyen), maggiori contributi nazionali o riduzione nella spesa programmata. Non ci sono pasti gratis alla mensa di Bruxelles. Quel piano di rimborso sarà decisivo per fare il bilancio finale per l’Italia. Sarà basato sul PIL dei 27 all’inizio del prossimo ciclo di bilancio nel 2027? Ipotizzando il 12% di quota italiana dovremmo contribuire per 60 miliardi aggiuntivi, che comunque andrebbero attualizzati. Da qui il saldo netto di circa 20/22 miliardi. Addirittura la Von der Leyen sostiene che il rimborso delle obbligazioni, a partire dal 2028, avvenga interamente attraverso entrate proprie dell’UE. Prepariamoci quindi a maggiori tasse targate UE.
  4. La proposta della Commissione è solo una base di partenza per la trattativa. Il primo commento proveniente da fonti diplomatiche olandesi – “è solo l’inizio dei negoziati, non certamente la fine. Ci vorrà tempo, perché le posizioni sono distanti e l’unanimità è necessaria” – la dice lunga sul rischio che il Consiglio si trasformi in una lotta casa per casa. Alla fine, considerando anche il saldo del bilancio MFF ordinario, è elevato il rischio che la proposta della Von der Leyen possa essere depotenziata. Con il rischio che il Mes sia chiamato a completare il quadro degli interventi.
  5. Reggerà questa costruzione alla verifica di divieto di aiuti finanziari tra Stati membri previsto dall’articolo 125 del Tfue?
  6. Siamo propri sicuri che aumentare il debito italiano – magari con l’aiuto degli acquisti di una BCE che faccia la… banca centrale – per 1,5% del PIL per 3 anni consecutivi, senza poi dover rimborsare quelle somme (ma facendole rinnovare, come sempre accade al debito pubblico) non sia una scelta più conveniente?
  7. Quanto vale spendere denaro decidendo autonomamente e mirando più efficacemente alle priorità di spesa, anziché sprecarlo in progetti il cui titolo è deciso da un burocrate a 2000 km di distanza?

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