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Vi spiego le (apparenti) incognite sul Recovery Fund

Come funzionerà davvero il Recovery Fund? L'approfondimento di Giuseppe Liturri

Da quando il “pacchetto di ventagli” si è dispiegato in tutta la sua nitidezza, le notizie non sono buone per l’Italia e, cosa ancora più preoccupante, sono avvolte da una ammorbante cappa di propaganda creata ad arte per confondere i cittadini e stordirli a colpi di trilioni di euro.

Numeri buoni solo per fare colpo sui creduloni” ha commentato in modo tranciante l’editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau. Secondo l’economista francese Jean Pisani-Ferry, la tabella di marcia presentata come base di discussione dal Presidente del Consiglio Charles Michel e dalla Presidente Ursula Von Der Leyen, non era altro che un “documento vuoto”.

Un Paese come il nostro – il cui mercato di Titoli di Stato è tra i più liquidi al mondo e che il 22 aprile ha visto una domanda per 110 miliardi su una offerta di 16 – si vede ridotto a ricorrere ad uno strumento di ultima istanza come il MES per finanziare 37 miliardi di spese sanitarie. Finiremo affiancati a Cipro, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, nell’elenco dei Paesi finanziati da uno strumento concepito per Paesi sull’orlo del fallimento e governato da regole pensate a questo fine. E, fino a quando non sarà ratificato un Trattato con nuove regole, chiunque affermi che quelle regole non si applicano in base ad una semplice stretta di mano o un comunicato dell’Eurogruppo, è semplicemente a cavallo tra malafede e totale ignoranza delle basi del diritto.

Sorvolando su Bei, che sarà solo potenziata per continuare a fare solo il suo mestiere, e sul Sure, un fondo sufficiente a finanziare 1 mese di cassa integrazione, tutta l’attenzione dei leader si è concentrata sul fondo per la ripresa.

Nel momento in cui la BCE viene invitata da autorevoli economisti, da ultimo Paul De Grauwe, a svolgere il proprio ruolo di finanziatore del deficit degli Stati e da più parti si fanno concordanti le voci relative ad aumento dei propri acquisti di titoli pubblici, per poi tenerli a lungo in bilancio, l’Italia si arrende, chiedendo ciò che non ci conviene ricevere.

Proprio il ministro Roberto Gualtieri aveva fissato, in un’intervista al Financial Times, l’asticella su cui si sarebbe misurato il successo della sua azione.

Gualtieri riteneva essenziale il rispetto di quattro requisiti: dimensione adeguata, rapidità nell’implementazione, equità nella distribuzione ed erogazione dei fondi come contributi a fondo perduto e non solo prestiti.

La bozza che ha costituito la base di discussione per i leader prevede la costituzione di un “Recovery Fund” alimentato da 320 miliardi di obbligazioni emesse dalla Commissione a scadenza molto lunga o addirittura perpetua. La base per emettere questi bond sarebbe dapprima una garanzia fornita dagli Stati membri e successivamente, quando sarà definito il Quadro Finanziario Pluriennale, risorse proprie del bilancio UE. A tale fondo si aggiungerebbero altri strumenti, tutti dominati dall’inganno verbale delle “risorse mobilitate” e “degli investimenti innescati”, ma quelli che contano sono solo i 320 miliardi.

Ma l’inganno ed il cattivo affare per l’Italia risiede nell’assenza di risposta alle seguenti domande. Che erano proprio quelle che il Consiglio del 23 avrebbe dovuto dare.

1) Chi contribuisce al fondo di garanzia? Qualcuno crede ragionevolmente che la Germania o l’Olanda possano fornire una garanzia solidale e non solo individuale (joint and several), come chiesto dai Paesi del sud, ma vietato dai Trattati? Ed allora se ognuno garantisce per sé, e non c’è solidarietà, che senso ha tutto questo macchinoso armamentario?

2) Ammesso che i titoli siano a lunga scadenza o perpetui, come provvederà la Commissione al pagamento degli interessi? Se l’Italia, come probabile, continuerà ad essere contribuente netto, pagheremo degli interessi su somme che poi non saranno tutte destinate al nostro Paese. E lo faremo o attraverso maggiori contributi alla UE o maggiori tasse. Non si scappa.

3) A quale titolo saranno erogate queste somme? Prestiti o sovvenzioni? Se fossero prestiti, come pretende il blocco tedesco, avremmo solo un altro MES, seppure a lunga scadenza.

4) E come saranno distribuite tra gli Stati? Se il fondo erogasse sovvenzioni sarebbe pure peggio. Saremmo in ogni caso chiamati a coprire il bilancio UE con l’amara sorpresa di ritrovarci contributori netti. O qualcuno crede che i paesi nordici possano consentire all’Italia, il più colpito sia dal punto di vista sanitario che economico, di ricevere somme a fondo perduto superiori al 15% del totale, diventando così beneficiario netto?

L’unica risposta possibile, avendo presente gli articoli 122 e 125 del TFUE è la seguente:

1) Un eventuale fondo finanziato con l’emissione di obbligazioni potrà erogare solo prestiti agli Stati membri. Come un Mes o un Sure, con tutte le condizioni tipiche di questi veicoli finanziari e cioè stretta sorveglianza macroeconomica dello Stato e rigida separazione delle responsabilità finanziarie degli Stati garanti, perché non ci può essere responsabilità solidale. Ma, per emettere bond ci vogliono capitale o garanzie e, su questo fronte, i precedenti non sono confortanti. Nel 2010-2012 l’Italia si indebitò per ben 58 miliardi (inclusi prestiti bilaterali) per contribuire ad Efsf e Mes. Infatti, anche qualora fossero sufficienti solo garanzie, il debito emesso da questo fondo sarebbe imputato pro-quota ai Paesi garanti, come accadde per Efsf. Insomma, nella migliore delle ipotesi, ci indebiteremmo per ricevere prestiti in pari misura. Qualcosa di simile alle 40000 lire di Totò e Peppino. Nell’ipotesi remota che tale fondo erogasse anche sovvenzioni, nella nostra veste di contribuenti netti al bilancio UE, saremmo allora costretti a versare contributi per pagare gli interessi e, anche qui, pagheremmo per aiuti concessi ad altri Stati.

2) Se proprio si devono erogare sovvenzioni, allora il bilancio UE gioca un ruolo centrale. E la musica non cambia per noi. Questo salvadanaio in cui già finiscono circa 1.100 miliardi in 7 anni (1% del PIL UE), distribuiti tra gli Stati membri, dovrebbe essere raddoppiato. La Germania, che ha impedito per ben 18 mesi l’approvazione del nuovo bilancio 2021-27, si è resa disponibile ad aumentare il suo contributo, ma resta il fatto che l’Italia è il terzo contribuente netto e non si capisce come sia possibile che diventi beneficiario netto, o pensiamo di togliere il pane di bocca a polacchi, rumeni, greci ed ungheresi?

La sintesi è stata offerta dal professor Roberto Perotti che, su lavoce.info, ha definito gli Eurobond “un pasticcio economico e giuridico, che genererebbe solo confusione, litigi e recriminazioni”.

Ancora una volta nella storia della UE, inseguiamo obiettivi che danneggiano il nostro Paese e finiamo pure per non conseguirli.

Addirittura esultiamo perché nel comunicato finale appaiono due aggettivi: “Urgente e necessario”. Ma non c’è purtroppo scritto nulla che aiuti a capire a cosa si riferiscano quei due aggettivi. Un vero aiuto per il nostro Paese o il solito meccanismo infernale degli aiuti europei che ci vedono da anni contribuenti netti? Per sbandierare come un grande successo questi due aggettivi, riferiti al fondo europeo per la ripresa (Recovery Fund), ci sono voluti ben 39 giorni, dal primo Eurogruppo del 16 marzo. Una insostenibile lentezza rispetto alla drammaticità della situazione reale del Paese, che sta vivendo sulla propria pelle una crisi sanitaria, democratica ed economica senza precedenti. Il calo del PIL su base annua potrebbe sfiorare il 10% e la disoccupazione attestarsi intorno al 11/12%.

Ma due giorni fa, il comunicato finale del Consiglio ha solo avallato in pieno le proposte dell’Eurogruppo del 9 aprile (Mes/Bei/Sure) e, con riguardo al Recovery Fund, “ha concordato di lavorare all’istituzione di un fondo per la ripresa”. Poco più di quello che c’era già sul tavolo 2 settimane prima. Ma il Consiglio, avendo scoperto che il fondo è “necessario ed urgente”, per non rilanciare il cerino all’ormai esausto Eurogruppo, ha pensato bene di dare due settimane alla Commissione per mettere a punto una proposta.

Ma su cosa dovrà lavorare la Commissione? Il Consiglio non ha risposto a nessuna delle domande sopra esposte. Zero assoluto, perché su questi temi la spaccatura è profonda, come titolato dalla Reuters, ed allora è meglio lanciare la palla in tribuna verso la Commissione e prendere altro tempo, mentre l’Italia brucia.

Il Presidente francese Emmanuel Macron non ha nascosto tutta la sua insoddisfazione per il disaccordo sul punto cruciale: aiuti in forma di prestiti (loans) o di sovvenzioni (grants), queste ultime fortemente sostenute sia da Parigi che da Madrid. Invece Conte, come rivelato da Bloomberg, pare che sia stato il primo a sfilarsi ed accettare anche prestiti.

La realtà è che qualsiasi tentativo di distribuire sovvenzioni in Europa, ci vedrebbe contribuenti e non beneficiari. Per il resto ci sono i prestiti, col guinzaglio del creditore privilegiato. Che essi siano erogati dal MES, dal SURE, dalla Commissione o da un nuovo veicolo finanziario, la sostanza non cambia. Saranno sempre assistiti da un pacchetto di condizioni, peraltro legittime dal punto di vista del creditore e dei Trattati, e metteranno definitivamente sotto tutela il nostro Paese. Ed è proprio lì che ci stanno portando.

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