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Guerra Ucraina, chi piangerà di più in Italia per le sanzioni contro la Russia

L'Italia è uno dei Paesi europei meno favorevoli all'imposizione di sanzioni dure contro la Russia. Ecco perché e quali sono i settori, le aziende e gli istituti di credito più attivi a Mosca. Fatti, nomi, numeri e analisi

Martedì 22 febbraio i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno deciso di imporre sanzioni contro la Russia per il riconoscimento formale dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Doneck e Lugansk e per l’invio di truppe in Ucraina orientale.

FARE “MALE” ALLA RUSSIA CON LE SANZIONI

Le sanzioni sono rivolte verso tutti i membri della Duma di stato (la camera bassa del parlamento russo) che hanno votato a favore del riconoscimento dei territori separatisti, verso ventisette individui o entità che minacciano direttamente l’integrità territoriale ucraina e verso le banche che finanziano i ribelli del Donbass (la regione dell’Ucraina orientale dove si trovano le repubbliche in questione).

Secondo Josep Borrell, il rappresentante della politica estera dell’Unione europea, il pacchetto di sanzioni approvato da Bruxelles “farà molto male” alla Russia, e dovrebbe servire a disincentivare il Cremlino dal lanciare un’operazione militare più vasta in Ucraina.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA

L’Italia è uno dei paesi dell’Unione europea maggiormente filorussi, e vorrebbe pertanto sanzioni limitate in risposta alle mosse di Vladimir Putin. Questa posizione – e l’approccio cauto che emerge dalle dichiarazioni dei politici, incluso il presidente del Consiglio Mario Draghi – ha tre spiegazioni: la volontà di proteggere gli importanti rapporti economici; la dipendenza dalle forniture di gas russo per il soddisfacimento del fabbisogno energetico; una certa fascinazione politico-culturale, sia a destra che a sinistra, per la Russia e/o per Putin.

L’Italia è molto dipendente dalle importazioni di gas russo, che rappresenta il 43 per cento degli acquisti dall’estero (dati 2020). Seguono a distanza quello algerino (circa 23 per cento), quello norvegese (11 per cento) e quello qatariota (10 per cento).

Il nostro, inoltre, è uno dei paesi europei più vulnerabili a un’interruzione delle forniture russe: sia per i volumi importati, sia perché è molto legato alle condotte russe che passano per l’Ucraina, ovvero quelle che più probabilmente verrebbero interrotte in caso di guerra. L’Italia condivide quest’ultima vulnerabilità con l’Austria, che infatti rientra nel blocco degli stati europei meno inclini alla durezza sanzionatoria verso Mosca.

QUANTO VALE IL COMMERCIO ITALIA-RUSSIA

Secondo la Sace, società del ministero dell’Economia che si occupa di assicurare gli investimenti italiani all’estero, la Russia è il quattordicesimo mercato di destinazione per le esportazioni italiane.

Nel 2021 l’export italiano in Russia è valso 8 miliardi di euro, leggermente superiore ai valori del 2019 e nettamente rispetto a quelli del 2020 (7,1 miliardi). Le previsioni al 2024 indicano un incremento progressivo su base annua, da 8,8 miliardi nel 2023 a 9,1 nel 2024.

Nel 2020, a fronte di esportazioni per 7,1 miliardi, le importazioni italiane dalla Russia sono valse 9,1 miliardi.

La Sace, come dichiarato dall’amministratore delegato Pierfrancesco Latini, possiede un portafoglio di attività in Russia dal valore di circa 3,2 miliardi di euro.

LA QUOTA DI MERCATO DELL’ITALIA

I dati Sace fissano la quota di mercato dell’export italiano in Russia al 4,4 per cento. Si tratta di un valore superiore a quelli di Francia (3,5 per cento) e Spagna (1,3 per cento), ma inferiore a quello della Germania (10,2 per cento).

ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI

L’Italia esporta in Russia principalmente macchinari, abbigliamento, apparecchi elettronici e prodotti chimico-farmaceutici. Vi importa, invece, soprattutto prodotti minerari, petroliferi e metallurgici. La bilancia commerciale pende nettamente dalla parte della Russia.

RISCHIO POLITICO

Secondo la valutazione della Sace, il rischio politico in Russia è medio (52/100). Ma il rischio di guerra e disordini civili è considerato più alto (61/100), così come quello di credito (61/100) e di mancato pagamento dalla controparte bancaria (68/100) e corporate (74/100).

COSA FANNO UNICREDIT E INTESA SANPAOLO

Antonio Fallico – presidente di Banca Intesa Russia (Intesa Sanpaolo) e dell’Associazione Conoscere Eurasia, e definito “l’italiano più potente di Mosca” – aveva detto di pensare che gli affari tra Italia e Russia debbano “svolgersi regolarmente”, nonostante le tensioni sull’Ucraina. Intesa Sanpaolo ha ventotto filiali in Russia e possiede asset per 1 miliardo di euro circa, oltre a gestire la maggior parte degli investimenti italiani in Russia e viceversa.

Secondo uno studio di Credit Suisse, le banche italiane sono tra quelle più esposte verso la Russia a livello europeo, assieme agli istituti francesi ed austriaci. Dopo Raiffeisen Bank International e Société générale, la terza banca per esposizione è infatti UniCredit: è presente in Russia dal 2005 e possiede due milioni di clienti retail e 30mila corporate. Nel 2021 l’utile della controllata russa del gruppo è stato di 180 milioni di euro, su un totale però di 3,9 miliardi. UniCredit – come spiega MF-Milano Finanza – aveva mostrato interesse per la banca russa Otkritie, “nazionalizzata nel 2017 a seguito di un bailout causato dall’eccessivo ammontare di crediti deteriorati”.

I RISCHI PER CALZATURE E ABBIGLIAMENTO

Arturo Venanzi, presidente della sezione Calzature di Confindustria Fermo, ha recentemente dichiarato al Sole 24 Ore che “l’’eventuale varo di nuove sanzioni [alla Russia] sarebbe un disastro perché qui sul territorio ci sono almeno 20mila addetti impegnati nel distretto delle calzature e in media per le aziende la Russia vale il 30% dei ricavi”. Si stima che circa il 7 per cento delle esportazioni di calzature nell’area di Fermo si diriga in Russia.

Niccolò Ricci, amministratore delegato di Stefano Ricci, marchio di abbigliamento di lusso, ha detto che Russia e Ucraina valgono il 15 per cento dei ricavi della società.

I CONTRATTI DI SAIPEM E MAIRE TECNIMONT

Molto attiva in Russia – ma poco toccata dalle sanzioni imposte anni fa, si legge sul quotidiano Domani – è Saipem, la società di tecnologie per l’energia in difficoltà finanziarie dopo il profit warning di fine gennaio. È coinvolta nel progetto Arctic LNG 2 sul gas liquefatto, sviluppato assieme a Novatek (il primo treno di liquefazione dovrebbe entrare in funzione nel 2023), per un valore di 3,3 miliardi di euro. Saipem sta inoltre lavorando con Gazpromneft, società del gruppo gasifero statale Gazprom, alla costruzione di un nuovo impianto nella raffineria di Mosca.

Ancora più presente di Saipem in Russia è Maire Tecnimont, altra società ingegneristica italiana focalizzata sul settore energetico: nel 2017 ha ottenuto un contratto da 3,4 miliardi per la costruzione di un sito di trattamento del gas nella regione di Amur. Il progetto – definito uno dei più grandi al mondo – è portato avanti da Gazprom e i fondi sono stati forniti, tra le altre, dalle banche statali russe Sberbank e VTB, che gli Stati Uniti potrebbero sanzionare.

LE VALUTAZIONI DI INTESA SANPAOLO

Visto il rischio di una guerra tra Mosca e Kiev, Intesa Sanpaolo ha esaminato l’esposizione al mercato russo di tutte le aziende italiane sotto la sua copertura. Pochissime di queste – riporta MF-Milano Finanza – presentano un’esposizione significativa (al 10 per cento o superiore).

Per Eni, Elica e Aeffe l’esposizione al mercato russo vale il 2 per cento dei ricavi. Moncler, Safilo e Triboo sono sotto il 2 per cento. Salvatore Ferragamo è sotto l’1 per cento.

Più alta è l’esposizione di Brunello Cucinelli, al 5 per cento, e di Campari, al 3 per cento; De Longhi è al 6 per cento, Geox all’8.

Le società più esposte sono invece Maire Tecnimont e TraWell con il 25 per cento dei ricavi, Buzzi Unicem con il 10 per cento, Lu-Ve con il 7,6 per cento e Recordati con il 4,5. Seguono con oltre il 3 per cento dei ricavi Sit e Prima Industrie. Pirelli è al 3 per cento, Comer al 2, Interpump all’1,5, Biesse all’1,3, Seco all’1 e Zignago Vetro allo 0,2.

Per quanto riguarda le società energetiche come A2A, Acea, Enel, Hera e Iren, secondo Intesa Sanpaolo l’impatto che avvertirebbero dipenderà dall’attività di approvvigionamento di gas in Europa, che potrebbe ridursi. “Quanto a Enel”, scrive MF, “la banca ritiene che la società possa risentire delle stesse considerazioni, al di là dell’attività del gruppo in Russia, pari allo 0,4% del fatturato consolidato/ebitda”.

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