Non avendo un esercito europeo, né alcuna voglia, se mai lo avesse, di spedirlo in aiuto all’Ucraina, le sanzioni economiche sono l’unica arma con cui l’Unione europea può rispondere a Vladimir Putin per l’occupazione militare del Donbass. Ma decidere quali sanzioni mettere in atto non è stato facile per Bruxelles, tanto che Politico ne ha parlato come di un «incubo» per l’euroburocrazia. Dietro la facciata dell’intesa unitaria, l’Europa si è divisa. Basti dire che Italia e Germania, pur ritenendo inevitabili le sanzioni, sotto sotto hanno fatto di tutto per evitare che a pagarne il prezzo più alto siano le loro economie, legate a quella russa da legami vitali nel settore dell’energia e del commercio. Uno scenario che, per la prima volta, ha visto il premier Mario Draghi in parziale disaccordo sia con i vertici della Commissione Ue che con la Casa Bianca.
Giocando d’anticipo, secondo Bloomberg, Draghi «aveva inviato a Bruxelles un documento non ufficiale, chiedendo di lavorare su un meccanismo di compensazione per attutire sui paesi Ue il colpo delle sanzioni anti-Putin». Concetto ribadito pubblicamente da Draghi venerdì scorso, quando ha detto che «le sanzioni dovrebbero essere efficaci, ma anche sostenibili». Traduzione: le sanzioni non dovrebbero includere l’energia, vista la forte dipendenza dell’Italia dal gas russo. Questa presa di posizione è stata accolta con un certo disappunto alla Casa Bianca, dove Joe Biden ha sempre avuto grande stima per l’amico Draghi. Disappunto confermato dalla vicepresidente Kamala Harris, che alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha detto: «La Nato è un’alleanza di nazioni in cui ognuno ha le proprie priorità e le proprie preoccupazioni individuali. Ancora una volta non negherei all’Italia di avere la sua prospettiva o il suo elenco di preoccupazioni. Lo facciamo tutti».
Il significato? Intervistato da Federico Ferraù per ilSussidiario.net, il politologo Paolo Quercia, docente di Studi strategici all’università di Perugia, sostiene che quello della Harris «è stato un invito all’Italia ad avere un ruolo più attivo nel mondo delle sanzioni e dell’uso coercitivo della forza economica. Se non vuoi combattere e non vuoi che le sanzioni danneggino i tuoi interessi economici vitali, devi essere in grado di proporre misure restrittive alternative. Oppure subire quelle che gli alleati decideranno per te». Un rabbuffo esplicito, dunque, a cui Draghi non ha risposto, salvo dichiarare quello di Putin «un passo inaccettabile», e che «la via del dialogo resta essenziale», con l’Italia «pronta a definire misure e sanzioni nei confronti della Russia». Un invito alla gradualità, partendo dalle misure.
Quanto a Bruxelles, la gestazione delle sanzioni non è stata agevole. Prima ancora dell’invasione del Donbass, il rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, diceva che il pacchetto delle sanzioni contro la Russia era pronto ed aveva ricevuto il sostegno unanime dei 27 paesi membri. In realtà, ha ricostruito Bloomberg, la Commissione Ue aveva discusso la bozza delle sanzioni separatamente con gli Stati membri, evitando di portala su un tavolo congiunto dei 27 per evitare veti incrociati, con Italia e Germania pronte a tirare il freno.
Tuttavia, dopo che Vladimir Putin ha firmato il riconoscimento delle due regioni separatiste del Donbass, Ursula von der Leyen ha avuto la via spianata per le sanzioni. Il pacchetto prevede una gradualità crescente, fino a tagliare fuori la Russia dal sistema bancario internazionale, nell’ipotesi estrema. Interrogata dalla Cnbc, Von der Leyen aveva detto di non condividere le osservazioni di Mario Draghi, e promesso che «tutte le opzioni sono sul tavolo quando si tratta del settore energetico». Inoltre, aveva precisato che, parlando con Draghi, gli aveva suggerito di diversificare rispetto ai gasdotti russi, passando al Gas naturale liquido da importare via nave. Un cambiamento di strategia già escluso in quanto impossibile da realizzare in breve tempo, visto che l’Italia dipende dal gas russo per circa il 40%. Inoltre, un blocco totale degli scambi commerciali danneggerebbe più l’economia italiana di quella russa, essendo l’Italia il settimo fornitore commerciale della Russia, con un flusso di oltre 20 miliardi di euro l’anno.
Per Politico, anche la Germania, «non è entusiasta di eventuali restrizioni sui flussi di gas dalla Russia, in primis la cancellazione del Nord Stream 2». La Bdi, Confindustria tedesca, ha avvertito il governo di Berlino e Bruxelles che l’aumento dei prezzi dell’energia e del gas «minaccia di schiacciare l’economia». Inoltre «la situazione è così grave che anche le medie imprese tedesche stanno prendendo in considerazione la possibilità di trasferirsi all’estero». E il capo del gruppo parlamentare della Spd, Rolf Mutzenich, ha invocato una maggiore attenzione sugli effetti a catena delle sanzioni: colpendo l’energia, si rischia di svuotare del tutto le riserve nazionali di gas.
Di fronte all’uso geopolitico che Putin sta facendo del gas, sono in molti a giudicare urgente la riduzione del suo acquisto. L’Ue si era impegnato a farlo già nel 2014, dopo l’invasione della Crimea.
Il risultato? La dipendenza Ue dal gas russo, invece di diminuire, è aumentata: era pari al 26% del totale importato nel 2010, è salita al 35% nel 2020 e al 42% nel 2021, anno in cui era prevista l’attivazione del Nord Stream 2, voluto da Angela Merkel per supplire alla chiusura delle centrali nucleari con il gas, oltre che con le fonti rinnovabili. Voleva essere l’inizio di una rivoluzione verde, rilanciata poi dall’Ue con il Green Deal europeo. Un cambiamento che ora, se Putin chiudesse per ritorsione il rubinetto del gas, rischia una fine prematura.
Articolo pubblicato su ItaliaOggi.it