A fine luglio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà in Cina per la prima visita da quando – nel dicembre 2023 – il suo governo ha comunicato ufficialmente a Pechino l’uscita dalla cosiddetta “Nuova via della seta“, ovvero il progetto logistico-politico al quale l’Italia aveva aderito nel 2019 con un memorandum. Geopolitica a parte, il mondo industriale italiano spera che il viaggio di Meloni – preceduto da quello del ministro delle Imprese Adolfo Urso, a inizio mese – possa portare a “qualcosa di veramente significativo”. Lo ha detto al Corriere della Sera, in un’intervista pubblicata su L’Economia di oggi, il presidente di Federmeccanica Federico Visentin (nella a foto a destra con il ministro Urso), che il quotidiano descrive come “la persona che si è spesa con maggiore convinzione a favore dell’ipotesi di attrarre un player cinese per produrre in Italia vetture elettriche a basso costo”.
IL PIANO DEL GOVERNO MELONI SULLE AUTO E IL PENSIERO DI VISENTIN
Il governo Meloni, infatti, ha intenzione di attirare in Italia almeno un secondo costruttore di automobili per bilanciare il disimpegno di Stellantis – ad oggi l’unico presente nel nostro paese, proprietario di marchi come Fiat, Alfa Romeo e Maserati – e alimentare la concorrenza nel settore, oltre che per favorire la transizione all’elettrico dell’intero comparto, considerato il divieto europeo alle immatricolazioni di veicoli endotermici dal 2035.
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La Cina è molto avanti nella produzione sia di veicoli elettrici sia di batterie e di magneti in terre rare, due dei componenti più importanti. Lo ha riconosciuto anche Visentin, secondo cui “i cinesi sono tecnologicamente superiori agli europei nell’auto elettrica […]. Oltre al know how industriale i cinesi hanno accesso ai principali fattori di costo, ad esempio nella raffinazione dei materiali rari”.
VISENTIN CONTRO I DAZI EUROPEI E CONTRO GLI INCENTIVI ALLE AUTO ELETTRICHE
Il presidente di Federmeccanica è favorevole dunque alla collaborazione con le case automobilistiche cinesi e contrario ai nuovi dazi europei “perché l’Europa è esportatrice netta” e verrebbe penalizzata dalle ritorsioni commerciali di Pechino. “Non mi convince nemmeno la tesi”, ha aggiunto, “che noi applichiamo i dazi per persuadere Pechino a venire a produrre in Europa, non è questa la strategia giusta. Dobbiamo convincerli con altri argomenti”.
Visentin ha poi difeso la politica cinese sui sussidi alle industrie (“non sono elargizioni a pioggia” ma “politica industriale”) e criticato invece l’approccio europeo basato sugli incentivi alla domanda, che ritiene essere “più distorsivi”.
COSA FARE
A detta di Visentin, l’Unione europea – e in particolare l’Italia – dovrebbero attivarsi per portare sul loro territorio un centro di sviluppo di batterie avanzate in modo da poter accedere a una tecnologia critica e accrescere l’attrattività per i costruttori automobilistici. Gli impianti di assemblaggio non bastano, spiega, “perché se ci fermassimo qui sarebbe difficile convincere qualsiasi produttore cinese che l’Italia è da preferire all’Ungheria”. È proprio in Ungheria che BYD – che si contende con Tesla il primato mondiale nella vendita di veicoli elettrici – sta costruendo uno stabilimento e ne sta valutando un secondo; sempre in Ungheria, CATL – la più grande azienda produttrice di batterie al mondo – ha in programma una gigafactory a Debrecen.
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Visentin pensa che l’Italia debba “mettere in campo i [suoi] distretti di fornitura della componentistica che rappresentano un patrimonio di tecnologia e creatività che altri Paesi non hanno”.
LA STANGATA A STELLANTIS
Alla domanda se l’ingresso di un costruttore cinese possa mettere in difficoltà Stellantis, Visentin ha detto di non credere “che Stellantis consideri la produzione italiana competitiva, la giudica troppo costosa. Le promesse restano sempre promesse, sono senza valore. Carlos Tavares [l’amministratore delegato, ndr] è concentrato sui fornitori francesi e nelle sue prospettive c’è molto Nord Africa”.
LA FILIERA E LE PREOCCUPAZIONI DELL’ANFIA
Il vantaggio competitivo dell’Ungheria rispetto al resto dell’Unione europea è il suo basso costo del lavoro. L’Italia, invece, potrebbe offrire fabbriche dismesse da riconvertire, infrastrutture di connettività come i porti e una filiera già pronta, benché focalizzata sul motore a combustione interna piuttosto che sulla mobilità elettrica.
La questione della filiera, in verità, è più complessa in quanto attualmente non esistono rapporti tra i fornitori di componentistica italiani e le case automobilistiche cinesi. Queste ultime, peraltro, si affidano alla supply chain cinese – il paese è il maggiore produttore al mondo di batterie e il maggiore raffinatore delle varie materie prime – oppure, come nel caso di BYD, producono internamente la maggior parte dei componenti.
E infatti la filiera automobilistica italiana percepisce la Cina più come un rischio che come un’opportunità. I risultati dell’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana e sui servizi per la mobilità, presentati dall’Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) lo scorso ottobre, dicono per l’appunto che il 36 per cento delle aziende della filiera automotive considera la Cina come una minaccia; solo il 16 per cento parla di opportunità da cogliere, mentre il 48 per cento dice di non riuscire a esprimere un giudizio, “manifestando incertezze nel valutare a oggi le implicazioni”.
CHI C’È IN FEDERMECCANICA
Tra i vicepresidenti di Federmeccanica ci sono esponenti di aziende importanti come Leonardo e Fincantieri; l’advisory board è composto da Alberto Bombassei di Brembo, Andrea Pontremoli di Dallara Automobili e Manuela Soffientini di Electrolux.
Federico Visentin è presidente di Mevis, azienda di componenti metallici destinati anche al settore automobilistico.