Non solo Byd nei piani del governo.
L’esecutivo di Giorgia Meloni ha intenzione di attirare almeno un secondo costruttore di automobili in Italia per bilanciare il disimpegno di Stellantis – ad oggi l’unico presente nel nostro paese, proprietario di marchi come Fiat, Alfa Romeo e Maserati – e alimentare la concorrenza nel settore.
Come rivelato da Bloomberg, il governo ha contattato la casa automobilistica cinese BYD con l’obiettivo di concludere un accordo di investimento. La società non ha escluso la possibilità, ma ha precisato che “dipenderà dalle nostre vendite” in Europa. BYD ha confermato il progetto per un primo stabilimento di veicoli elettrici nel continente – in Ungheria, per la precisione – solo pochi mesi fa.
Per sviluppare la filiera automobilistica nazionale e incoraggiare l’insediamento in Italia di un nuovo produttore, il governo Meloni ha elaborato un programma di incentivi, il “Fondo automotive”, con risorse per circa 6 miliardi di euro.
L’INTERESSE PER TOYOTA
La casa estera che Palazzo Chigi preferirebbe avere in Italia pare essere la giapponese Toyota: così sostiene Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova. E però Toyota, nonostante l’interesse a espandersi nel mercato europeo, non ha confermato alcun piano per l’installazione di capacità produttiva nel nostro paese.
I COLLOQUI CON TESLA
In audizione alla Camera, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha detto che il governo è in contatto con Tesla e che dai colloqui “stiamo avendo riscontri molto positivi. Ma si tratta di un processo che richiede prudenza”, ha aggiunto.
Il ministro ha fatto intendere che l’Italia potrebbe sfruttare suo vantaggio il voto contrario della città di Grünheide, in Germania, nei confronti del piano di Tesla per l’espansione del grande stabilimento di Berlino-Brandenburgo. La bocciatura, secondo Urso, “comporterà certamente una decisione del gruppo” automobilistico, che quindi – ma siamo nel campo delle possibilità – potrebbe decidere di volgersi all’Italia.
Tra l’amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, e la presidente Giorgia Meloni Tesla sembra esserci una certa affinità personale-ideologica, tanto che Musk ha pure partecipato ad Atreju, l’evento politico di Fratelli d’Italia.
LE CASE AUTOMOBILISTICHE CINESI INTERESSATE, FORSE, ALL’ITALIA
Oltre a BYD, comunque, ci sono altre case automobilistiche cinesi che il governo sta cercando di attirare. I nomi elencati dal Corriere della Sera sono quattro: Chery, Geely, SAIC Motor e, “più defilato”, Great Wall Motor.
Chery, di proprietà statale, già fornisce componenti automobilistici per l’azienda molisana DR Automobiles Groupe, specializzata nell’importazione e nella distribuzione. Come riportato da Repubblica, Chery ha intenzione di costruire uno stabilimento in Europa e l’Italia è una delle mete possibili.
Geely, fondata e controllata dal miliardario cinese Li Shufu, è proprietaria di marchi come Volvo, Polestar e Lotus. In passato ha mostrato interesse per la cosiddetta “Motor Valley“, il distretto industriale in Emilia-Romagna specializzato in veicoli ad alte prestazioni: vi hanno sede Ferrari, Maserati, Lamborghini e Pagani, ad esempio.
SAIC Motor, di proprietà statale cinese, possiede il marchio britannico MG. Andrea Bartolomeo, country manager per l’Italia, ha detto che SAIC vuole aprire uno stabilimento in Europa e “l’Italia è un mercato importante […] nella short-list degli stati dove realizzare la fabbrica”. Repubblica specifica tuttavia che l’Italia non sarebbe la destinazione prediletta dal gruppo cinese per via della bassa competitività e dei costi di produzione più alti. MG è il primo marchio di proprietà cinese per vendite in Italia, con oltre 30.000 unità nel 2023.
Great Wall Motor, infine, è presente sul mercato europeo con i marchi Ora e Wey.
COSA PUÒ OFFRIRE L’ITALIA
Le case automobilistiche cinesi potrebbero essere stimolate ad aprire stabilimenti in Europa per proteggersi dagli eventuali dazi che l’Unione europea potrebbe imporre sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina, nei confronti dei quali la Commissione europea ha aperto un’inchiesta anti-sovvenzioni.
Il paese europeo meglio posizionato per diventare il punto d’accesso delle società cinesi al mercato comunitario sembra essere l’Ungheria, in virtù principalmente del basso costo del lavoro rispetto al resto dell’Unione. L’Italia, invece, avrebbe da offrire – al di là degli incentivi economici – fabbriche dismesse da riconvertire, infrastrutture di connettività come i porti e una filiera già pronta, benché focalizzata sul motore a combustione interna piuttosto che sulla mobilità elettrica.
COSA MANCA: LA FILIERA
La questione della filiera, in verità, è più complessa in quanto non esistono attualmente rapporti tra i fornitori di componentistica italiani e le case produttrici cinesi. Queste ultime, peraltro, si affidano alla supply chain cinese – il paese è il maggiore produttore al mondo di batterie e il maggiore raffinatore delle varie materie prime – oppure, come nel caso di BYD, producono internamente la maggior parte dei componenti. BYD non è solo la maggiore venditrice di auto elettriche al mondo, ma anche una delle principali società produttrici di batterie.
A differenza delle società cinesi, la giapponese Toyota è meglio integrata nel contesto industriale italiano, dato che nel nostro paese, ad Atessa, già costruisce veicoli commerciali in collaborazione con Stellantis.
LE PAROLE DEL MINISTRO URSO
A questo proposito, il ministro Urso ha detto al Foglio che il governo ha posto a BYD, come condizione per l’investimento, che i veicoli prodotti contengano parti italiane e non cinesi: “Un’opzione di difficile realizzazione per la BYD”, nota il quotidiano.