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Via Della Seta Cina

Con il MoU l’Italia sarà sottomessa alla Cina. Parla Giulio Terzi (ex ministro degli Esteri nel governo Monti)

Conversazione di Start Magazine con Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri nel governo Monti, già ministro degli Esteri e ambasciatore d’Italia in Israele e negli Stati Uniti, ora vicino al movimento Fratelli d'Italia e presidente della società CybSec

Oggi è il gran giorno: nel pomeriggio, due Boeing 747 atterreranno a Roma facendo scendere Xi Jinping con il suo folto seguito. È la prima visita di Stato dell’attuale presidente cinese in Italia ed è anche, a quanto pare, l’atto primo di una incipiente collaborazione italo-cinese che si dispiegherà sul terreno dell’ormai famosa “Belt and Road Initiative” (Bri), la Nuova Via della Seta.

Sabato mattina, insieme al premier Giuseppe Conte e al capo del Mise Luigi di Maio, il n. 1 della Repubblica Popolare firmerà il Memorandum of Understanding (MoU) che regolamenterà la nostra partecipazione alla Bri. Primo Paese del G7 e primo membro fondatore dell’Unione Europea a fare questo passo, l’Italia diventerà così un tassello fondamentale della strategia cinese che, per il tramite di ambiziosi progetti infrastrutturali, incrementerà non poco la penetrazione economica del Dragone nel Vecchio Continente. Dando comunque al nostro Paese l’opportunità, debitamente sottolineata da autorevoli esponenti del governo gialloverde, di inserirsi nei robusti flussi commerciali che scorreranno lungo la Via della Seta, facendo così sperabilmente aumentare il nostro export in direzione del mercato cinese.

In cambio di questi benefici economici, però, la Repubblica Italiana pagherà un prezzo. E molto caro. A sottolinearlo, e a lanciare l’allarme, è l’ex ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi. Che, da un paio di settimane a questa parte, è particolarmente attivo su Twitter. Dal suo profilo sono partiti numerosi moniti e denunce. Che descrivono i pericoli insiti nella firma del MoU. Pericoli che, in questa conversazione con Start Magazine, Terzi snocciola, uno per uno, sollevando una serie di problemi rilevanti.

Dunque, Giulio Terzi: abbiamo osservato la sua fervida attività su Twitter, e non potevamo non notare che lei ha definito la firma del Mou “una follia” e lanciato addirittura l’hashtag #ViadellaSottomissione. Si vuole spiegare?

Ho scoperto una cosa: come se non bastasse il MoU, è stata redatta una dichiarazione congiunta che sarà emanata alla fine della visita di Xi. In quel testo si dice che l’Italia riconosce il principio di “una sola Cina”. Ricordo che noi quel principio lo intendiamo come “una Cina, due sistemi”. Noi infatti riconosciamo Taiwan, sia pure non con rapporti diplomatici ma con la presenza di un ufficio di rappresentanza nell’isola, e con uno di Taiwan da noi. Taiwan è una realtà che va tutelata, perché ha valori occidentali, rispetta lo Stato di diritto, i diritti umani. Prima di Xi, la Cina riconosceva la diversità dei sistemi. Da quando c’è Xi, non è più così.

Che altro dice questa dichiarazione?

Si dice che le parti sosterranno le questioni che sono di interesse prioritario, ossia le questioni che sono prioritarie per la politica estera dei due paesi. Affermare una cosa del genere da parte di un Paese che è parte di un’alleanza politica, militare e strategica con gli Stati Uniti e che ha degli interessi di sicurezza comuni con il Giappone e l’Australia, e in un certo senso anche con le Filippine, è assurdo. È assurdo affermare una cosa del genere assieme ad un Paese che ha rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale in aperto conflitto con tanti paesi, tra cui le Filippine per esempio, le quali hanno ottenuto una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia contro il comportamento della Cina, condannata per aver militarizzato di nove isolotti in un mare che Pechino considera un mare interno, quando invece è un mare aperto. La Cina ha come preoccupazione fondamentale appropriarsi di quel Mare in contrasto con Vietnam, Filippine, Brunei, Indonesia. Quindi, firmando quella dichiarazione, l’Italia si allontanerà dal rispetto del diritto internazionale che dice il contrario di quanto affermano i cinesi, e si impegna invece a sostenere le rivendicazioni cinesi quando questo problema verrà fuori in qualsiasi sede multilaterale o bilaterale. Questo solo per dirne una.

C’è dell’altro?

Certamente. Se la Cina è preoccupata di cambiare la composizione etnica dello Xinjang e di espellere i tibetani dal Tibet per sostituirli con i cinesi Han, come sta facendo da parecchi anni, noi non potremo associarci con le posizioni europee ed occidentali che esprimono preoccupazione per questi fenomeni. E dovremo dire che ha ragione la Cina nello spopolare il Tibet o nel reprimere i musulmani dello Xinjang, La nostra quindi è una posizione inquietante.

Ma tutto questo, scusi, cosa c’entra con il MoU, che è un accordo bilaterale tra Paesi di pari dignità?

Questo ragionamento oscura il problema di fondo della Bri. La Cina persegue, nei rapporti con gli altri Paesi nell’ambito della Via della Seta, un vero e proprio dominio globale. Persegue una presenza strategica basata su una caratteristica fondamentale: l’integrazione tra componente civile e militare. I porti coinvolti nella Bri saranno sì utilizzati per motivi commerciali, ma allo stesso tempo saranno predisposti con l’organizzazione di punti d’appoggio per la flotta cinese. Una flotta non più limitata alle acque territoriali cinesi, ma di grande proiezione, che comprende la presenza di portaerei e caccia. Questa integrazione la si vede chiaramente nei campi dell’alta tecnologia e dell’innovazione. Tutta l’agenda cinese sulla sfera Cyber, o sull’AI, sullo spazio, sui robot, parte dall’individuazione di tutte le tecnologie che possano far fare dei salti di qualità e di efficienza al sistema militare. È tutto un sistema integrato, finalizzato a ottenere la superiorità in tutti i campi. Quindi, andare a firmare con un gigante che ha queste ambizioni un’intesa politica, confermata dalla dichiarazione politica di cui parlavo prima, che prevede di adattare la nostra politica estera ai desiderata di Pechino, è semplicemente una follia.

Ma, ripeto, non stiamo parlando di un accordo bilaterale, basato quindi sulla reciprocità?

Sarebbe reciproco se l’Italia avesse un peso economico e militare anche lontanamente assimilabile a quello della Cina. Ma noi siamo uno gnomo che ha a che fare con un gigante. Allora il rapporto nasce sbilanciato. Sa questo gigante cosa farà d’ora in poi? Dirà che i nostri obiettivi sono una scemenza al confronto dei suoi. Questo atteggiamento la Cina l’ha già mostrato in vari incontri internazionali. Per fare un esempio, un paio di anni fa ad un meeting dei Paesi del Sud-est Asiatico, qualcuno, credo il Vietnam, disse che bisognava parlare tra pari. Sa cosa rispose il ministro degli Esteri cinese? Rispose: ma quale pari e pari! Voi avete a che fare con un Paese di un miliardo e trecento milioni di persone! Quindi, come vi permettete di dire che le cose che interessano a noi sono pari ai vostri interessi? Se lo fanno con i paesi asiatici, si figuri se non lo faranno con noi.

Quindi, per sintetizzare, stiamo per firmare la nostra annessione all’impero cinese?

Il nostro è un atteggiamento sottomesso. Il governo ci dice, naturalmente, che il MoU non è un trattato. Però attenzione: è un documento, che vale cinque anni, tra lo Stato italiano e quello cinese. È dunque politicamente impegnativo. Quindi, se domani ci fosse un altro governo, la Cina avrà modo di dire che è vincolato da quel documento, almeno per cinque anni. Ci rendiamo conto della leva enorme che un simile documento costituisce per condizionare l’Italia? Ad ogni passo che faremo d’ora in poi su qualcosa che può infastidire la Cina, il nostro ambasciatore a Pechino sarà convocato e gli si chiederanno spiegazioni. Il MoU è un documento di sottomissione.

Lei tra l’altro su Twitter ha ricordato che anche che il dossier telecomunicazioni è parte integrante dell’accordo con Pechino.

Certamente. Sta scritto nel MoU. Mi sembra indicativo anche il modo in cui è stato prima inserito nella bozza di novembre, e poi per lungo tempo ci sono state smentite. Sembrava che, dopo l’intervento del Quirinale, fosse subentrato un momento di attesa. Invece, nel MoU adesso si trova la parola telecomunicazioni. Che vuol dire tutto: Cyber, 5G, Huawei.

Quindi, oltre ad aspetti di sostanza, lei contesta anche il metodo con cui si è arrivati al MoU.

Senz’altro. Un passo così importante doveva essere fatto sotto i riflettori. Doveva esserci la massima trasparenza nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica. Invece c’è stato un gioco di sotterfugi, falsità e doppiezze. Non si capisce davvero come venga declinato l’interesse nazionale. Vogliamo davvero che Trieste faccia la fine del Pireo? Lo sa chi costruirà le infrastrutture a Trieste? Le costruirà la CCCC, una società di Stato cinese, fintamente privatizzata ma con capitali di Stato. La CCCC si occuperà di tutto, dal progetto alle maestranze. Noi non toccheremo palla.

Quindi hanno ragione gli americani: quelli cinesi sono investimenti predatori.

Certamente. È così in tutto il mondo. I primi otto Paesi che hanno aderito alla Via della Seta, in due anni, hanno nettamente peggiorato il loro indebitamento, grazie agli interessi sul debito, alle scadenze non onorate e agli impegni che sono stati costretti a prendere da Pechino. Le cito come sono cambiati i dati sul rapporto debito-Pil per effetto degli investimenti Bri: Laos, dal 50 al 70%; Kirghizistan, dal 23 al 74%; Maldive, dal 39 al 75%; Montenegro, dal 10 al 42%; Gibuti, dall’80 al 95%; Tagikistan, dal 50 all’80%; Mongolia, dal 40 al 60%; Pakistan, dal 12 al 48%. Si dice che la Bri porti ricchezza, e invece porta povertà. Porta ricchezza solo per i cinesi.

C’è un ritratto di Michele Geraci – il sottosegretario al Mise in quota Lega che è il regista dell’operazione Bri – sul South China Morning Post di ieri. Che ne pensa?

È normale. Per i cinesi, Geraci è un eroe. Gli daranno sicuramente la più alta onorificenza.

 

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