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Narcisismo

Le tre grandi umiliazioni inferte dalla scienza moderna al narcisismo del genere umano

Il Bloc Notes di Michele Magno

In un saggio del 1917, apparso sulla rivista viennese “Imago” con il titolo Una difficoltà della psicoanalisi, Sigmund Freud ritornò sul mito di Narciso (di cui esistono due versioni, quella ellenica e quella romana di Ovidio), il giovane superbo e vanitoso che si innamora di se stesso contemplando la propria immagine riflessa nell’acqua. Se ne era occupato a lungo fra il 1912 e il 1914, esaminando il rapporto tra nevrosi e mondo magico, accostando quest’ultimo al mondo dell’infanzia, nel quale si crede che la realtà possa essere cambiata (proprio come nei riti magici) solo con le parole.

Al narcisismo del genere umano, sostiene in quel saggio, la scienza moderna ha inferto tre gravi umiliazioni. Alla metà del Cinquecento era stato Nicolò Copernico a scardinare il sistema tolemaico, dove l’uomo si credeva il signore dell’universo. Mentre la Terra, la sua casa, non è che una microscopica realtà in uno spazio infinito. Questa è la prima umiliazione, quella cosmologica. Dopo Copernico, prosegue Freud, Charles Darwin ha rovesciato la concezione antropocentrica, togliendo all’uomo un’altra grande illusione: quella di non appartenere al regno animale, anche se nel corso della storia della civiltà è riuscito a scavare un abisso con le altre specie viventi. Questa è la seconda umiliazione inferta al suo narcisismo, quella biologica.

Restava un ultimo regno, in apparenza incontrastato e intoccabile: quello dell’anima, che è per ciascuno di noi la “nostra” anima. Qui l’uomo poteva continuare a credere di essere un sovrano assoluto. La psicoanalisi ha invece mostrato che l’attività psichica non coincide o non si esaurisce nella coscienza. L’io si sente spesso a disagio, incontra limiti al suo potere dentro di sé, nella sua stessa dimora. Appaiono improvvisamente pensieri di cui non conosciamo l’origine, che rischiano di impadronirsi di noi e che non riusciamo facilmente a scacciare. Questa è la terza umiliazione che il sapere ha inferto all’uomo, quella psicologica.

La scienza moderna, dunque, ha smontato il narcisismo del genere umano. Una tesi sviluppata più avanti in un testo, L’avvenire di un’illusione, che costituisce una delle sue difese più lucide e brillanti messe in campo nel primo trentennio del secolo scorso (siamo nel 1927, l’anno stesso della pubblicazione di un’opera che è ai suoi antipodi, Essere e Tempo di Martin Heidegger). Possiamo dire, scrive l’autore di Totem e tabù- che “l’intelletto umano è senza forza a paragone della vita pulsionale e possiamo aver ragione in questo. Ma c’è qualcosa di particolare in questa debolezza: la voce dell’intelletto è fioca, ma non ha pace finché non ottiene ascolto. Alla fine, dopo ripetuti e innumerevoli rifiuti, lo trova. Questo è uno dei pochi punti sui quali si può essere ottimisti per l’avvenire dell’umanità, ma non è un punto di poca importanza”.

Al di là delle mode e dell’uso, talvolta insopportabilmente parrocchiale, che ne fanno i suoi seguaci, il padre della psicoanalisi resta un gigante del pensiero del Novecento. I grandi classici -e Freud senza dubbio lo è- hanno questo di straordinario: anticipano, in forma sintetica, ciò che più tardi diventerà senso comune.

 

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