In tutti i conflitti, parallelamente alla guerra combattuta sul campo di battaglia, se ne è sempre svolta una virtuale: quella dell’informazione e della propaganda. Tipico della guerra in Ucraina è stato il costante scontro fra le “narrative” giustificative delle ragioni russe dell’aggressione e quelle occidentali del sostegno a Kiev. Per l’Ucraina non era tanto difficile spiegare perché combattesse. Infatti, perché era stata aggredita. A parer mio, solo chi era in completa malafede “si arrampicava sugli specchi” facendo eco alle affermazioni di Mosca, che il conflitto fosse stato provocato dall’Occidente per distruggere la Russia e che la guerra consistesse in uno “scontro di civiltà”.
Tale interpretazione, che mira a rappresentare il Cremlino come aggredito, accantonando il fatto che resta l’aggressore, è stata di recente aggiornata con la “favoletta” che gli USA e l’UK avrebbero convinto Kiev a non accettare le condizioni di pace generosamente offerte da Mosca nei negoziati svoltisi a Istanbul all’inizio della primavera 2022. Dalla loro approfondita ricostruzione pubblicata su Foreign Affairs risulta che non si raggiunse mai un accordo. Il Cremlino non rinunciò mai agli obiettivi illustrati da Putin nella riunione pubblica del Consiglio di Sicurezza che precedette l’aggressione. Il presidente russo non poteva rinunciare a una vittoria completa, senza mettere in gioco il suo futuro politico.
A parte lo scontro fra le “narrative” sulle cause del conflitto, la guerra in Ucraina ha visto anche un’inedita mobilitazione del Patriarcato Ortodosso di Mosca a sostegno della politica del Cremlino. Il ricorso alla religione per sostenere il morale dell’esercito e della popolazione è un fatto costante nella storia delle guerre. Nel caso dell’Ucraina ha assunto un’intensità sconosciuta dopo le guerre di religione del XVI-XVII secolo. Si è verificata al riguardo una netta asimmetria non solo fra il Patriarcato di Mosca e la Chiesa ortodossa ucraina che mira ad una completa autonomia dal primo, ma anche fra la Chiesa Ortodossa Russa e quella Cattolica. Per la prima, l’“operazione militare speciale” è stata rappresentata e come una “guerra santa” – e rimane tale -, volta a salvare l’Ucraina – parte costituente del Russkij Mir e dello spazio canonico del Patriarcato di Mosca – dal satanismo e dal peccato, a cui la condanna l’adesione al permissivismo occidentale.
La posizione del Vaticano è stata formalmente di equidistanza. Con la sua condanna di qualsiasi guerra, con la non sempre chiara distinzione fra aggressore e aggredito e con la ripetuta condanna delle armi – come se esse fossero responsabili delle guerre – la sua posizione è stata sfruttata – spesso in misura spudorata – da chi era contrario al sostegno militare all’Ucraina. Qualora, in caso di sconfitta dell’Ucraina, l’aggressione russa dovesse estendersi ad altri paesi europei, al Vaticano potrebbe essere addebitato parte del disastro dell’Occidente.
Con la posizione assunta per la guerra in Ucraina sembra sia stata sostanzialmente abbandonata dalla Santa Sede la tradizionale dottrina della “guerra giusta”, di derivazione agostiniano-tomistica, sostituendo la ricerca della pace, costante nella Chiesa, con un pacifismo di tipo radicale.
L’impatto non va trascurato. Un senatore USA, facente parte della Christian Right e radicale sostenitore di Trump, è giunto a ringraziare il Patriarcato di Mosca per essere il vero difensore della Cristianità. La crescente contrapposizione fra l’Occidente e il Global South è certamente influenzata dal fattore religioso, in cui il Cristianesimo è spesso considerato dai paesi non occidentali la religione dei colonizzatori e degli sfruttatori, la cui potenza declinante costituisce un rischio per la pace mondiale, poiché attiva i noti meccanismi della “Trappola di Tucidide”.