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Cina Videogiochi

La Cina riprende a giochicchiare coi videogiochi?

Tencent Holdings e NetEase, due dei maggiori sviluppatori di videogiochi della Cina, hanno ricevuto nuove licenze per lanciare titoli a pagamento. Pechino rimette in moto il mercato interno dei videogames dopo le continue strette?

È un rapporto di amore-odio quello tra il partito comunista cinese e il mercato dei videogiochi. Mentre le software house del Dragone stanno conquistando il mercato globale, che finora era stato nelle mani di case di sviluppo nipponiche e statunitensi (ai marchi più capitalizzati, che scorreremo di seguito, si aggiungono anche nomi finora sconosciuti perfino agli esperti del settore, come la società cinese miHoYo che col suo Genshin Impact sta facendo una fortuna inattesa), in patria il governo conduce una lotta serrata al fenomeno. Ricordiamo tutti che, lo scorso anno, l’Economic Information Daily, giornale cinese affiliato all’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, house organ di governo, paragonò i videogiochi a “oppio dello spirito” definendoli “droghe elettroniche”.

COSì LA CINA HA MESSO IN CRISI IL SETTORE DEI VIDEOGIOCHI

Quel giorno Tencent lasciò sul campo il 10,57% a Hong Kong, mentre la sua principale avversaria, NetEase il 15,7%. Un fuggi-fuggi di azionisti che aveva una sua ragion d’essere: di lì a poco sarebbero state varate norme che avrebbero causato la chiusura di circa 14mila studi di sviluppo cinesi. Due le mosse del governo per ridurre quello che viene visto come un problema di distrazione di massa, ovvero la dipendenza dei giovani da Internet e dai videogames (problema che, secondo i dati del governo, starebbe abbassando i voti nelle scuole e il rendimento universitario): da un lato l’imposizione ai minorenni di orari ben precisi per videogiocare, dall’altro la chiusura dei canali attraverso i quali il partito concede le licenze, controllando quindi i prodotti che finiranno sul mercato.

Quanto al primo pacchetto di norme, «per un’efficace prevenzione della dipendenza dei minori dai giochi online» allo scopo, hanno riferito i media ufficiali, «di affrontare il problema dell’uso eccessivo da parte dei minori di giochi online», l’ente preposto, ovvero la National Press and Publication Administration, ha varato un calendario cui tutti i minorenni devono attenersi: vietato videogiocare online di notte, possibili partite per un massimo di tre ore alla settimana (che vengono sensibilmente aumentate nei periodi di vacanza) e comunque mai dopo le 22. Perché, si sa, dopo Carosello tutti a nanna. Dove non arriva il buon senso delle famiglie scatta la tagliola di Pechino. Una tagliola che ovviamente è possibile grazie all’impalcatura che il governo aveva già approntato per controllare gli internauti cinesi: si accede a Internet solo tramite l’identità digitale e in alcuni casi il software controlla anche dati biometrici, come impronte digitali e scansioni del volto, per evitare che i minorenni più furbetti sottraggano le credenziali a mamma e papà.

IN POCHI MESI SPARITE OLTRE 14MILA SOFTWARE HOUSE CINESI

La riduzione delle ore di gioco online ha naturalmente comportato una seria diminuzione degli affari, per le software house cinesi, ma ad aver causato la moria di 14mila studi e gravi danni economici ai colossi già affermati (a iniziare da Tencent) è stato soprattutto il blocco delle licenze in vendita. Non è la prima volta che il partito comunista si muove in tal senso: per tutta la prima decade del 2000, quando la Cina era in pieno boom economico, la richiesta di nuove immatricolazioni d’auto fu tale che il governo iniziò a bandire aste, più simili a lotterie, e solo chi riusciva a vincerle si aggiudicava, a carissimo prezzo, l’agognata targa di circolazione.

La diffusione di nuovi videogiochi viene regolamentata in modo analogo: il governo della Cina concede tot licenze all’anno e ovviamente vaglia pure i contenuti, in modo da controllare il numero di titoli in arrivo come pure il contenuto degli stessi. Negli ultimi mesi la National Press and Publication Administration ha stretto le sue maglie danneggiando molte aziende che stavano investendo migliaia di yuan per titoli che non sarebbero potuti uscire o che comunque avrebbero mancato la finestra di lancio concordata con produttori e distributori. Gli studi più piccoli sono andati in bancarotta, quelli più grandi si stanno ancora leccando le ferite. Perfino Tencent, società per azioni fondata nel 1998 e presieduta da Ma Huateng, le cui controllate forniscono i servizi più variegati nel campo dell’intrattenimento, mass media, internet e telefoni cellulari, ha registrato un primo, storico, calo nei ricavi.

Da quando il colosso cinese è entrato nel comparto dei videogiochi ha finito per dominarlo: nel 2021, anche grazie a marchi per casual gamer molto amati da chi gioca su smartphone come PUBG, Valorant, Brawl Stars e Clash of Clans, ha incassato 32,94 miliardi di dollari, superando di gran lunga la giapponese Sony, che nel settore videoludico è attiva da circa 30 anni.

GLI ULTIMI ACQUISTI DI TENCENT TRA GLI SVILUPPATORI DI VIDEOGIOCHI OCCIDENTALI

Vincolata in patria da norme che non le permettono di fare affari, Tencent ha da tempo rivolto le proprie attenzioni al mercato occidentale, libero da censure e legacci. E lo ha messo nel mirino facendo shopping di etichette già esistenti e presenti nel comparto. Sono anni, per esempio, che il colosso cinese desidera Ubisoft, multinazionale francese con studi ormai ovunque nel mondo, da Milano alla Cina, passando per Abu Dhabi, con IP come Prince of Persia, Rayman, Assassin’s Creed, Far Cry, Rainbow Six e Just Dance, giusto per citare i titoli più noti.

I risultati finanziari dell’etichetta francese nell’ultimo periodo non sono stati eccellenti, tanto da provocare lo slittamento di diversi videogame e una forte stretta nelle spese delle varie filiali e così Tencent nelle ultime settimane si è rifatta avanti con la famiglia Guillemot, che col 15% ha in mano le chiavi della società. Secondo Reuters, il colosso asiatico che ha già acquistato una quota di partecipazione in Ubisoft del 5% nel 2018 avrebbe espresso nuovamente l’interesse di aumentare le sue quote azionarie nell’azienda dell’attuale valore di 5,3 miliardi di dollari, puntando a diventare l’azionista di maggioranza. Per la precisione avrebbe messo sul piatto 297,3 milioni di dollari. L’accordo implicherebbe una valutazione di 80 euro per azione per Ubisoft, che è significativamente superiore al prezzo di mercato dell’ultimo periodo, sui 40 euro.

Nl frattempo Tencent ha portato avanti acquisizioni complete, facendo shopping di software house come Inflexion Games, etichetta con sede a Edmonton, in Canada, composta da ex membri di BioWare, a iniziare dal CEO Aaryn Flynn, che ha firmato saghe di successo del calibro di: Mass Effect, Dragon Age e Star Wars: The Old Republic e PlayTonic, che invece si compone di ex Rare (software house britannica che negli anni ’90 firmò capolavori come Donkey Kong Country, 007 GoldenEye, Perfect Dark, Banjo-Kazooie), ridimensionata nel talento dopo l’acquisto da parte di Microsoft, sebbene negli ultimi tempi abbia sfornato il divertente Sea of Thieves.

In PlayTonic troviamo ex Rare come Gavin Price (capo dell’azienda), Chris Sutherland (principale programmatore di Donkey Kong Country) e Steve Mayles. Proprio l’investimento cinese permetterà ai britannici di sviluppare un terzo capitolo del loro Yooka-Laylee, platform 3D che si rifà in modo plateale a uno dei videogiochi più amati di Rare d’epoca Nintendo 64: Banjo-Kazooie.

A fine agosto 2022, Sony e Tencent hanno poi incrementato le rispettive quote in FromSoftware, lo sviluppatore nipponico del pluripremiato Elden Ring (che, nonostante sia una esclusiva PS5, console tutt’ora difficile da trovare per l’assenza di chip, ha venduto oltre 16,6 milioni di copie nel mondo) e di altri titoli del genere soulslike. Sony ora detiene il 14,09% della software house, mentre Tencent, tramite la sussidiaria Sixjoy, si è portata al 16,25%. Kadokawa Corporation, la casa madre di FromSoftware, possiede ora il 69,66%.

LA NUOVA CONSOLE CLOUD

È passata sotto silenzio, dato che è stata divulgata in pieno agosto, la notizia della partnership tra Logitech G e Tencent Games finalizzata alla creazione di una console portatile interamente basata sul cloud gaming e che supporterà molteplici servizi che sfruttano questa tecnologia, inclusi Xbox Game Pass e Nvidia GeForce Now.

LA CARICA DELLE CINESI

E, come si anticipava, Tencent Games non è la sola software house presente sul mercato. Altre big sono NetEase, che ha nel proprio portafogli titoli come Knives Out, LifeAfter e The Lord of the Rings: Rise to War, ByteDance, che non ha solo TikTok (ha recentemente acquisito pure una delle maggiori catene ospedaliere private cinesi, Amcare Healthcare, per 1,5 miliardi di dollari), l’arrembante miHoYo che ha dato vita a un action RPG free-to-play sostenuto da micro-transazioni in game (che in Cina sono state vietate ai minori) e Chengdu Lingze Technology Co., Ltd. al lavoro sul promettente Wuchang: Fallen Feathers (sviluppato sempre da una software house cinese, Leenzee Games). Ed è solo la punta dell’iceberg, perché l’elenco è sterminato.

LA CINA RIPRENDE A GIOCARE COI VIDEOGIOCHI?

Qualcosa però starebbe per cambiare. Secondo quanto riporta il Wall Street Journal, difatti, Tencent Holdings e NetEase avrebbero ottenuto l’autorizzazione a lanciare nuovi giochi a pagamento. Si tratta del primo imprimatur che arriva dal luglio dello scorso anno, segno che Pechino sta allentando un giro di vite sul settore tecnologico durato due anni. In realtà, Pechino aveva iniziato a concedere nuove autorizzazioni ad aprile, dopo uno stop forzato di otto mesi, ma nessuna licenza era finita ai due colossi del settore.

Non è detto se tale atteggiamento fosse da considerare punitivo o, più cinicamente, è stato ritenuto che le due big avessero le spalle sufficientemente larghe per reggere qualche altro periodo di “apnea”. Tra aprile e agosto, le autorità cinesi di regolamentazione dei giochi hanno concesso 241 autorizzazioni per nuovi titoli di videogiochi a software house secondarie. Ora, la National Press and Publication Administration ha concesso licenze di pubblicazione per 73 giochi online, tra cui 69 giochi per cellulari. Coinvolti anche altri sviluppatori, tra cui Zhong Qing Bao, Leiting, XD Inc e CMGE Technology Group. La Cina insomma si riavvicina ai videogiochi, ma considerato l’alto numero di software house presenti, le licenze sono ancora troppo poche per permettere al mercato di ripartire senza un alto numero di fallimenti.

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