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Vi spiego perché sono fatue le paranoie di Bruxelles sull’Italia

La ricchezza finanziaria dell’Italia è tale da poter garantire una cifra ben più alta del debito pubblico accumulato. E i suoi debiti privati sono di gran lungo inferiori a quelli di ciascun altro nell’Eurozona. Ma questi due distinti parametri non entrano nella testa di quelli di Bruxelles. L'analisi di Gianfranco Polillo

Settimana pesante quella che inizia oggi. Si discuterà di come finanziare la ripresa produttiva. Ma, soprattutto, si parlerà di Europa e del suo possibile futuro. Chissà se i Paesi del Nord oltre ad essere frugali, come dicono di loro stessi, sapranno anche superare un atteggiamento che sa sempre più di paranoia: il terrore di dover foraggiare un popolo di scrocconi. Stereotipo fuorviante. La ricchezza finanziaria dell’Italia è tale da poter garantire una cifra ben più alta del debito pubblico accumulato. I suoi debiti privati, inoltre, sono di gran lungo inferiori a quelli di ciascun altro nell’Eurozona. Ma questi due distinti parametri non entrano nella testa di quelli di Bruxelles.

Eppure era stato Silvio Berlusconi, nell’ormai lontano 2011, a dover sudare sette camice, per inserire almeno il secondo – lo scarso ammontare del debito privato – nei parametri su cui fondare il giudizio di sostenibilità di una qualsiasi economia. Alla fine riuscì nell’intento. Ma subito dopo quell’argomento fu quasi archiviato e si tornò alle defaticanti discussioni se accordare o meno (e quanto concederne) flessibilità ai singoli a Paesi, che non mostravano progressi lungo la via impervia del pareggio di bilancio. Nel frattempo in Europa nasceva l’European Systemic Risk Board, con la missione di contrastare l’eventuale insorgere di una qualsiasi crisi finanziaria. Sede a Francoforte. Dependance in tutti i Paesi membri. Ma l’Italia non ha ancora provveduto.

Ma torniamo ai numeri, che rappresentano il miglior biglietto da visita per il nostro Paese. Secondo i dati forniti dall’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia, il debito complessivo delle famiglie è pari (anno 2019) al 41,3 per cento del Pil. Solo l’Irlanda sta leggermente meglio: 40,4. La media dell’Eurozona è del 57,8 per cento. Posizione di classifica più o meno identica, quella italiana, se si considera l’indebitamento delle società non finanziarie. Per l’Italia c’è un buon terzo posto, con il 68,9 per cento; dopo Grecia e Germania. L’Irlanda, in questo secondo caso, si colloca all’ultimo posto, con una percentuale pari al 200,9 per cento. L’Olanda, così lesta a fare le pulci agli altri, ha un debito privato cumulato (famiglie ed imprese) del 266 per cento, al top della relativa classifica. Se qualcuno dovesse avere un dubbio sulla tenuta finanziaria in vista degli Eurobond, questi dovrebbe essere l’Italia.

Sommando debito pubblico e debito privato il quadro cambia notevolmente rispetto alle prediche più volte ascoltate sugli eccessi delle cicale. Il debito pubblico italiano è inferiore solo a quello giapponese e greco. Ma se consideriamo l’indebitamento complessivo. Quello italiano risulta pari al 246,4 per cento del Pil, comunque inferiore a quello medio dell’Eurozona pari al 252,1 per cento. Tra le economie maggiori, solo la Germania, l’Austria e la Finlandia possono vantare una performance migliore. Una distanza di 74 punti rispetto alla Germania – la vera anomalia internazionale – di un piccolo pugno rispetto alle altre realtà considerate.

Da qui, una prima conclusione. L’Italia avrà anche tanti difetti. Ma non rappresenta l’anello debole della catena europea. Al contrario la sua struttura finanziaria, se giustamente valutata nella sua complessità, rappresenta un punto di forza e non di debolezza. La cosa dovrebbe tranquillizzare Olandesi, Tedeschi e Finlandesi, che tanto si oppongono all’emissione degli Eurobond. Non saranno chiamati a pagare gli stravizi italiani, per il semplice fatto che i nostri debiti sono pari, se non inferiori, ai loro. E quindi prima di giungere ad ipotesi di ristrutturazione del debito pubblico, vi sarà la possibilità di intervenire con risorse interne, in grado di determinare un’inversione nell’andamento della curva.

Perché non farlo prima? Ma se permettono gli eurocrati di Bruxelles, questi sono affari nostri. Se si va in banca a chiedere un prestito, la relativa motivazione è l’ultimo dei parametri considerati. Il direttore si limiterà a verificare, con la centrale rischi, se vi sono rapporti debitori con altre banche, quindi analizzerà le garanzie. Garanzie specifiche (ipoteche, pegni, collaterali e via dicendo) e garanzie generiche che derivano dall’entità del patrimonio posseduto, dalla solvibilità passata (pagamento degli interessi e dei rimborsi) e così via. A livello macro la garanzia dell’intero Paese è data, quindi, dall’entità della ricchezza finanziaria posseduta e dalla correttezza dimostrata nell’onorare il debito scaduto.

L’Olanda e la Germania dovrebbero essere preoccupati se la ricchezza finanziaria italiana fosse equivalente a quella tedesca, pari nel 2017 a 6,1 volte il Pil. Ma quella italiana era pari, nello stesso anno, a 8,4 volte. Al primo posto in una classifica che vedeva presente, oltre la Germania, la Francia, il Canada, il Giappone, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Altro che cicale, gli italiani sono state e sono formiche, che cercano di risparmiare soprattutto a causa dell’incertezza circa il proprio futuro. Non si fidano tanto – gli si può dare torto? – dello Stato e quindi accumulano in privato. Le risorse del 2017 sono state pari ad oltre 9.400 miliardi. Più che sufficienti per coprire un debito pubblico pari a 2.124 miliardi.

Si dirà: ma il 60 per cento della ricchezza finanziaria netta italiana è legata al valore degli immobili, sia abitazioni che non residenziali. Asset, quindi, difficilmente smobilizzabili nel caso dell’emergenza. Sennonché il restante 40 per cento cuba comunque quasi 3.900 miliardi. Se non due volte l’ammontare del debito pubblico italiano, poco ci manca. Alla luce di questi dati, quindi, è difficile giustificare quella sorta di complesso d’inferiorità che troppo spesso attanaglia le viscere dei nostri governanti. Non saremmo, ovviamente, né la Cina né gli Stati Uniti. Ma siamo pur sempre la terza potenza europea, con un reddito nazionale che è pari al 15 per cento del complesso dell’Eurozona.

Questa è la differenza vera con la Grecia (un Pil meno del 2% dell’Eurozona) di Alexīs Tsipras e Gianīs Varoufakīs da alcuni, molto spesso evocati, per indurci a più miti consigli. Che sono sempre benvenuti, ma a condizione che non siano in intelligence con il nemico. Con coloro cioè che, per non affrontare i propri sovranisti interni, ne lisciano il pelo a danno dell’intera Europa.

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