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Consiglio

Perché Scholz (e non Meloni) è il vero vincitore del Consiglio europeo

Giorgia Meloni ha celebrato le conclusioni del Consiglio europeo straordinario come un successo per l'Italia, ma il vero vincitore è il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Che cosa emerge dai commenti di analisti ed editorialisti

 

Il Consiglio europeo straordinario del 9 e 10 febbraio scorsi è servito a parlare soprattutto di politica economica comune, alla luce dei sussidi statunitensi e cinesi alla manifattura di tecnologie pulite, come le batterie dei veicoli elettrici.

Spaventata dalla possibilità che l’Unione europea perda la sua rilevanza industriale, la Commissione ha elaborato un piano – il Green Deal Industrial Plan – fondato sull’allentamento della normativa sugli aiuti di stato, di cui i rappresentanti dei paesi membri hanno discusso la settimana scorsa a Bruxelles.

COSA HA DECISO IL CONSIGLIO SUGLI AIUTI DI STATO

Nelle conclusioni del Consiglio si parla appunto di semplificazione e sveltimento delle procedure per l’assegnazione di aiuti di stato nazionali alle aziende coinvolte nella transizione ecologica, che dovranno essere “mirati, temporanei e proporzionati”.

Nel commentare questa precisazione, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’ha definita una vittoria per l’Italia. Il tema degli aiuti di stato è particolarmente sentito da Roma che, non godendo delle stesse capacità di spesa di Germania e Francia, ha paura che le aziende italiane possano perdere di competitività sul mercato unico rispetto a quelle tedesche e francesi, maggiormente supportate.

IL VERO VINCITORE DEL CONSIGLIO EUROPEO

Più che Meloni, però, il vero vincitore del Consiglio europeo sembra essere il cancelliere tedesco Olaf Scholz: come ha scritto l’editorialista economico Federico Fubini sul Corriere della Sera, “la Germania ha ottenuto tutto ciò che voleva e non ha concesso niente di ciò che non voleva”.

“La Germania chiedeva maggiore discrezionalità nel distribuire aiuti di Stato dal suo bilancio – il più robusto d’Europa – ai settori toccati dal rincaro dell’energia o dalla concorrenza americana nella transizione verde”, come quelli automobilistico e chimico, e l’ha ottenuto. Dei 672 miliardi di euro di aiuti di stato che la Commissione ha approvato nel 2022, la Germania è valsa il 53 per cento del totale (356 miliardi), seguita dalla Francia con il 24 per cento (161 miliardi) e, a grande distanza, dall’Italia, con il 7 per cento circa (51 miliardi).

“Quel che la Germania non voleva”, prosegue Fubini, “era, essenzialmente, più Europa. Non voleva né un fondo relativamente piccolo, ma in tempi brevi, per accompagnare progetti industriali europei. Né in prospettiva il progetto di un fondo strategico più ampio che incentivi settori industriali su scala europea nelle tecnologie del futuro”.

Il Green Deal Industrial Plan non contiene nuovi finanziamenti, ma si fonda sull’espansione delle possibilità di fornire aiuti nazionali alle imprese e attinge alle risorse economiche comuni già stanziate. Nei prossimi mesi, forse quest’estate, la Commissione dovrebbe però proporre la creazione di un nuovo strumento, un fondo sovrano europeo, destinato agli investimenti nelle tecnologie emergenti.

L’ALLINEAMENTO GERMANIA-FRANCIA

La risposta della Germania ai sussidi statunitensi e cinesi all’industria verde – ovvero supportare le aziende nazionali con abbondanti aiuti di stato – è sostanzialmente la stessa elaborata dalla Francia. A questo proposito, POLITICO aveva scritto che Berlino e Parigi “sono in buona parte sulla stessa lunghezza d’onda quando si tratta di come rispondere al massiccio piano americano di sussidi verdi”; ma gli altri membri dell’Unione temono che “le due potenze industriali [stiano cercando] di sostenere le proprie industrie a spese dei paesi meno abbienti del mercato unico”.

“A Bruxelles”, prosegue il quotidiano, “si mormora anche che la Francia, in particolare, stia esagerando la minaccia rappresentata dall’IRA [l’Inflation Reduction Act, la legge di Joe Biden da 369 miliardi di dollari, ndr] e la stia usando come scusa per far passare la sua agenda”.

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COSA (NON) HA OTTENUTO L’ITALIA

Le conclusioni del Consiglio europeo straordinario parlano della necessità di “mantenere l’integrità del mercato unico e la parità di condizioni al suo interno” e di evitare la frammentazione del mercato unico”: viene affermato che “una risposta politica dell’UE pienamente efficace richiede un accesso equo ai mezzi finanziari” e che, di conseguenza, “i fondi UE esistenti dovrebbero essere impiegati in modo più flessibile e si dovrebbero esaminare opzioni per agevolare l’accesso ai finanziamenti”.

“La proposta italiana”, aveva dichiarato Meloni in conferenza stampa, “era […] la possibilità di una flessibilità sui fondi esistenti. Vale a dire: noi abbiamo dei fondi attualmente già stanziati, che vanno da REPowerEU a NextGenerationEU passando per i fondi di coesione; quello che abbiamo chiesto è la possibilità di utilizzare appieno queste risorse”.

Come nota però Fubini, nel documento non si accenna a un’idea che l’Italia spinge da tempo, ossia l’alleggerimento dell’impatto sul deficit degli investimenti statali nei settori strategici, quelli oggetto del rilassamento della normativa sugli aiuti pubblici. “Senza quel trattamento speciale”, prosegue il giornalista, “l’Italia rischia di poter distribuire ben pochi sussidi. Spendere per quelli potrebbe infatti scontrarsi con i vincoli del Patto di stabilità: poco importa che il governo di Roma possa disporre di più ‘flessibilità’ nell’uso dei fondi europei”.

COSA SIGNIFICA, NEL CONCRETO, FLESSIBILITÀ

Sul Sole 24 Ore il giornalista Gianni Trovati ha fatto notare come “per valutare davvero quanta flessibilità potrà essere introdotta ‘senza minare gli obiettivi della politica di coesione’, come recita l’altro vincolo scritto nelle conclusioni ufficiali del vertice, bisognerà far entrare nel vivo i negoziati sulle revisioni dei PNRR, e sulle integrazioni con gli altri filoni a partire dal REPowerEU”.

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“Una delle possibili declinazioni pratiche di questa flessibilità”, prosegue Trovati, cioè “l’estensione di un anno al 2027 del calendario per completare gli investimenti finanziati da Next Generation EU, appare fra le più complicate. L’Italia ha posto il tema sul tavolo, […] ma nelle conclusioni del Consiglio europeo non si incontra alcun riferimento”.

L’ANALISI DI LITURRI

Su Startmag Giuseppe Liturri ha scritto che “il rinvio ai ‘fondi UE esistenti che dovrebbero essere impiegati in modo più flessibile e si dovrebbero esaminare opzioni per agevolare l’accesso ai finanziamenti’ è una doccia gelata per chi chiede nuovi fondi, ma anche una buona notizia per l’Italia, che dei fondi esistenti è la principale assegnataria”.

“In altre parole”, conclude, “in Europa ha prevalso la corrente dei Paesi che sostengono – con fondate motivazioni – che ci sono ancora oltre 200 miliardi del NextGenUE (tutti prestiti, non a caso) non ancora impegnati dopo ben 2 anni dal varo del programma”.

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