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Gabanelli Energia

Milena Gabanelli affonda la riforma M5S sull’acqua pubblica?

Che cosa si legge nella sezione Data Room del Corsera curata dalla giornalista Milena Gabanelli (molto apprezzata da base e vertici M5S almeno in passato) sulla riforma targata 5 Stelle dell'acqua pubblica

 

Milena Gabanelli sul Corriere della Sera affonda la riforma voluta in particolare dal Movimento 5 Stelle per il ritorno dell’acqua pubblica?

E’ quello che agli addetti ai lavori e molti grillini si sono chiesti leggendo l’inchiesta di Data Room, la sezione del Corriere della Sera con il timbro di Gabanelli, dedicata proprio alla riforma gradita dai Pentastellati e presente peraltro anche nel contratto di governo con la Lega (che però frena in Parlamento rispetto agli indirizzi voluti da M5S).

“Alla fine il costo totale a carico dei contribuenti si aggirerebbe fra i 14,6-16,5 miliardi”, così finisce – in maniera critica verso la riforma pentastellata – l’articolo di approfondimento firmato da Franco Stefanoni, già al settimanale di economia e finanza di Rcs, Il Mondo.

COSA PREVEDE LA RIFORMA DELL’ACQUA PUBBLICA

La riforma che porta il nome della deputata pentastellata Federica Daga (M5S) prevede che le aziende di gestione non siano separate da chi eroga i servizi, tornino a essere di diritto pubblico, siano aziende speciali e non spa, senza finalità di lucro, e riportare il controllo al ministero dell’Ambiente sottraendolo all’Arera. Le concessioni non potranno avere durata superiore ai dieci anni, mentre per quelle in essere è stabilito che decadano al 31 dicembre 2020.

LE AZIENDE COLPITE DALLE NUOVE NORME

Come scritto da Start Magazine, in Italia le società che gestiscono i servizi idrici sono, secondo i dati Arera, 2.033 (sono compresi anche i comuni). Tra le aziende che dovranno rinunciare a gestire i servizi idrici ci sono Acea, Hera, Iren Acqua, A2A ciclo idrico, 2i Rete Gas, Acsm-Agam, Ecotec, Gestione Acqua, Girgenti acque, Hidrogest, Ireti, Italgas acqua, Nuove acque, Publiacqua.

I COSTI DELLA RIFORMA

Gli esperti da tempo si interrogano su costi e oneri che comporterebbe una gestione pubblica e partecipata dell’acqua. La risposta è 7 miliardi di euro all’anno di oneri ricorrenti, cui si aggiungono altri 16 miliardi di euro una tantum. Sono i calcoli del Laboratorio Ref, gruppo di lavoro diretto da Donato Berardi (qui l’approfondimento di Start Magazine sul paper del Laboratorio Ref). Per l’Istituto Bruno Leoni la riforma sull’acqua pubblica comporterebbe ingenti costi per lo Stato: si stima circa un punto di Pil per indennizzare gli attuali gestori.

LO SCENARIO FISCALE

“Il testo in discussione prevede che sia di nuovo la fiscalità generale, cioè lo Stato attraverso le imposte, a coprire il grosso delle spese per realizzare e gestire i servizi”, chiosa l’inchiesta di Data Room di Gabanelli sul Corriere della Sera.

IL QUADRO TARIFFE ATTUALI

Qual è la realtà sulle tariffe? Dove i gestori hanno investito di più nella rete, sono aumentate, come accaduto in Toscana o Emilia-Romagna (perdite da tubazione però del 20% contro il 40% nazionale), scrive Data Room: “Il quadro, comunque, appare variabile: al metro cubo, nel 2017, le tariffe risultano essere di 3 euro a Firenze, 1,9 euro a Palermo, 1,66 a Venezia, 1,49 a Roma, 1,28 a Napoli e 0,76 a Milano (dati Global water intelligence). Ref segnala come nel periodo 2018-2019, nel Nord Italia, in alcuni casi le tariffe siano diminuite: meno 13% nel Veneto orientale, meno 11,5% a Bologna, meno 6% a Reggio Emilia. Viceversa, nel Lazio, Toscana, Marche e Umbria sono aumentate, in media del 4%, così come al Sud e nelle isole. Altroconsumo, su dati Istat, tra il 2014 e il 2017 ha calcolato in Italia un aumento medio dell’11% per una famiglia tipo di tre persone. Le città più care? Pisa con 596 euro, Siena a 560. Quelle dove si spende di meno Campobasso con 138 euro e Milano con 181″.

LA CONCLUSIONE DI DATA ROOM DI GABANELLI

“Dunque, le tariffe dovrebbero diminuire, ma non la pressione fiscale (a meno che non si riducano pure gli investimenti che determinano la qualità dei servizi) – si legge ancora su Data Room del Corriere della Sera – La proposta di riforma ha creato il panico tra gli attuali gestori e le lobby si sono attivate. La società di consulenza Oxera, per conto di Utilitalia, ha calcolato tra gli 8,7 e i 10,6 miliardi di euro il complesso d’indennizzi da versare ai concessionari a causa delle revoche, cui si sommerebbero 3,2 miliardi per il rimborso del debito finanziario a carico degli enti locali, altri 2 miliardi per i mancati introiti da canoni di concessione e gli 0,7 miliardi per il rimborso del debito intercompany sempre a carico dei Comuni. Alla fine il costo totale a carico dei contribuenti si aggirerebbe fra i 14,6-16,5 miliardi”.

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