Slitta ancora la discussione alla Camera della riforma sull’acqua pubblica. Calendarizzata per lo scorso 25 marzo, a un anno dalla presentazione della Pdl Daga, dal nome della firmataria la deputata grillina Federica Daga, l’avvio della discussione è stato fissato per il prossimo 29 aprile. A remare contro la discussione della proposta di legge AC 52 in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque sono circa 240 emendamenti, sia dalla maggioranza sia dall’opposizione con l’eccezione di Leu. Oltre le proteste delle aziende del settore.
MANCA ANCORA LA RELAZIONE TECNICA
A giustificare il ritardo in Aula è intervenuta la stessa relatrice Daga spiegando che le opposizioni hanno chiesto una relazione tecnica sul testo, anche dopo aver già depositato emendamenti, quindi si aspetta la relazione tecnica. Peccato però che la relazione tecnica non sia ancora arrivata. D’altronde la relazione non compete un solo ministero ma ne sono coinvolti almeno cinque.
COSA PREVEDE LA RIFORMA DELL’ACQUA PUBBLICA
All’entrata in vigore della legge, tutte le aziende dovrebbero essere ripubblicizzate grazie a quote del ministero dell’Ambiente, interrompendo al 31 dicembre 2020 tutte le concessioni esistenti. La proposta di legge prevede inoltre la trasformazione dei gestori in società di diritto pubblico e il finanziamento del settore a carico della fiscalità generale, spostando la politica tariffaria dall’Arera al ministero dell’Ambiente. Si propone di riportare il servizio di distribuzione e depurazione dell’acqua sotto il controllo “totalmente” pubblico. Quindi di toglierlo a qualsiasi forma di società “commerciale”: sia ai privati, sia alle società per azioni anche quando sono controllate dal pubblico.
LE AZIENDE COLPITE DALLE NUOVE NORME
Come scritto da Start Magazine, in Italia le società che gestiscono i servizi idrici sono, secondo i dati Arera, 2.033 (sono compresi anche i comuni). Quest’ultime, anche nelle forme miste pubblico-privato (come le quotate in Borsa), coprono il 97% del servizio in Italia. Tra le aziende che dovranno rinunciare a gestire i servizi idrici ci sono Acea, Hera, Iren Acqua, A2A ciclo idrico, 2i Rete Gas, Acsm-Agam, Ecotec, Gestione Acqua, Girgenti acque, Hidrogest, Ireti, Italgas acqua, Nuove acque, Publiacqua.
PER ACEA APPRODO FINALE DELLA PDL DAGA DIVERSO DAL TESTO DI PARTENZA
Intervistato dal Sole 24 Ore, l’amministratore delegato di Acea, Stefano Donnarumma, ha dissipato eventuali preoccupazioni riguardo al pesante impatto per Acea fino al delisting stimato da Utilitalia, se il Ddl Daga andasse in porto. “Non ho timori e credo che il Ddl stia vivendo un percorso di modificazione, come si vede anche dagli emendamenti in discussione, e che approderà a una legge sicuramente diversa dal testo di partenza”. E ha aggiunto: “L’approdo finale non potrà non considerare l’assoluta necessità di salvaguardare la durata delle concessioni esistenti”.
ANCHE PER HERA LA RIFORMA PASSO INDIETRO DI 30 ANNI
Ha manifestato tutta la sua contrarietà alla proposta di legge così come presentata anche Hera, la multiutility dell’Emilia Romagna. “Questa proposta di legge ci fa tornare indietro di 30 anni– ha sentenziato Franco Fogacci, direttore acqua del Gruppo Hera intervenuto a un convegno organizzato in regione la scorsa settimana – non danneggia tanto i gestori ma i cittadini, che non avranno alcun beneficio da questa legge. Anzi, ci sarà sicuramente un blocco degli investimenti e un’incapacità di poter gestire le sfide del futuro come i cambiamenti climatici e il miglioramento del servizio nel suo complesso”.
DITO PUNTATO CONTRO ARERA
Oltre alle problematiche di gestione e investimenti, il secondo aspetto critico della riforma riguarda l’autorità regolatrice. Dopo il referendum del 2011, il servizio idrico è stato regolato da un’unica authority nazionale (oggi Arera) e da 64 enti di gestione a cui si aggiungono i 148 Consorzi di Bonifica. Complessivamente, circa 200 soggetti. La Daga propone di frammentare il sistema, raddoppiando il numero degli enti coinvolti. Il testo della PdL prevede infatti di istituire un’autorità per ogni distretto idrografico (7 sul territorio nazionale), composto da uno o più bacini e sottobacini idrografici.
I COSTI DELLA RIFORMA
Come dicevamo all’inizio, alcuni emendamenti sono stati presentati addirittura dalla Lega, nonostante sull’acqua pubblica ci sia un passaggio anche nel contratto di governo che unisce le due forze di maggioranza. Il collega di esecutivo non è contrario in toto al provvedimento ma ha forti perplessità relative a costi e oneri che comporterebbe una gestione pubblica e partecipata dell’acqua. Secondo i calcoli del Laboratorio Ref, gruppo di lavoro diretto da Donato Berardi, la risposta all’interrogativo dei costi è 7 miliardi di euro all’anno di oneri ricorrenti, cui si aggiungono altri 16 miliardi di euro una tantum Per l’Istituto Bruno Leoni la riforma sull’acqua pubblica comporterebbe ingenti costi per lo Stato: si stima circa un punto di Pil per indennizzare gli attuali gestori. Numeri che vanno a rafforzare gli oppositori, impegnati nel naufragio della riforma sull’acqua pubblica.