Si è chiuso la settimana scorsa il ciclo di audizioni nell’ambito dell’esame della proposta di legge per la gestione pubblica e partecipata del ciclo integrale delle acque, in discussione alla Camera.
“La riforma del sistema che sovrintende alla gestione delle risorse idriche in Italia non è più rinviabile”, preme Federica Daga, deputata del Movimento 5 stelle e prima firmataria della proposta di legge. “Ce lo chiedono i cittadini che hanno votato per l’acqua pubblica al referendum del 2011 e ce lo impongono le criticità dell’attuale modello emerse dalla lunga fase di audizioni in commissione Ambiente della Camera sulla nostra proposta di legge”.
Nel frattempo che la Commissione Ambiente valuti tutta la documentazione ricevuta, ci si interroga sui costi e oneri che comporterebbe una gestione pubblica e partecipata dell’acqua. La risposta è 7 miliardi di euro all’anno di oneri ricorrenti, cui si aggiungono altri 16 miliardi di euro una tantum.
Sono i calcoli del Laboratorio Ref, gruppo di lavoro diretto da Donato Berardi, al quale hanno aderito Acea, Utilitalia-Utilitatis, Smat, Iren, Veolia, Acquedotto Pugliese, Hera, Metropolitana Milanese, CRIF Ratings, Cassa per Servizi Energetici e Ambientali, Cassa Depositi e Prestiti, Viveracqua, Romagna Acque, Water Alliance, CIIP, Abbanoa, CAFC, GAIA, FCC Aqualia Italia.
I COSTI UNA TANTUM DELLA RIPUBBLICIZZAZIONE
All’entrata in vigore della legge, tutte le aziende dovrebbero essere ripubblicizzate grazie a quote del Ministero Ambiente, interrompendo al 31 dicembre 2020 tutte le concessioni esistenti. L’articolo 11 del Pdl Daga prevede l’istituzione del Fondo nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato.
Per dare corso alla “nazionalizzazione” delle gestioni, nei termini indicati, occorrerà riconoscere al gestore uscente un indennizzo coerente con il valore degli investimenti realizzati e non ammortizzati, oltre a conguagli per costi pregressi che ancora non hanno trovato un riconoscimento in tariffa. Il costo a carico della finanza pubblica per queste operazioni è stimato intorno ai 4-5 miliardi di euro.
Ma non è finita qui. Un altro aspetto riguarda la necessità di rimborso dei finanziamenti accesi dalle società di gestione idrica. I finanziamenti complessivamente accesi dalle società idriche che dovrebbero essere rimborsati ammontano a 10,6 miliardi di euro.
Vi sono poi altri «costi di transizione» di difficile quantificazione che possono ritardare l’operatività delle aziende speciali come: l’eventualità di un contenzioso fiscale, la mancata nomina degli organi con conseguente vuoto decisionale, i bilanci non approvati, i disagi e gli oneri di riconciliazione dei contributi da lavoro in carico ai dipendenti nel passaggio dalla gestione INPS a quella INPDAP. A questi andrebbero aggiunti i costi dello scorporo dei rami d’azienda idrici nel caso delle società multiutility, con perdita delle economie di scopo (es. uffici unici per le funzioni di staff .
LE AZIENDE COLPITE DALLE NUOVE NORME
Come scritto da Start Magazine, in Italia le società che gestiscono i servizi idrici sono, secondo i dati Arera, 2.033 (sono compresi anche i comuni). Tra le aziende che dovranno rinunciare a gestire i servizi idrici ci sono Acea, Hera, Iren Acqua, A2A ciclo idrico, 2i Rete Gas, Acsm-Agam, Ecotec, Gestione Acqua, Girgenti acque, Hidrogest, Ireti, Italgas acqua, Nuove acque, Publiacqua.
E QUELLI RICORRENTI
Oltre alla gestione pubblica, la riforma Daga sull’acqua prevede degli investimenti per garantire il consumo minimo vitale (art.12) oltre a investimenti nel servizio idrico integrato, con particolare riferimento alla ristrutturazione della rete idrica (art.13).
Il finanziamento di questi investimenti ricadrà tra gli oneri ricorrenti a carico dalla fiscalità generale. Con riferimento all’erogazione gratuita di 50 litri pro capite/giorno, l’onere connesso è quantificabile in circa 2 miliardi di euro all’anno.
Per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti, va ricordato che gli investimenti programmati nel biennio 2018-2019 raggiungono i 3,5 miliardi di euro all’anno, e che uno scenario coerente con il recupero dei ritardi accumulati rispetto alla media dell’Europa a 15 suggerisce un fabbisogno di almeno 5 miliardi di euro l’anno per i prossimi 20 anni. Pertanto 7 miliardi di euro all’anno complessivi.