La transizione alla mobilità elettrica va governata, altrimenti saranno molte le fabbriche della filiera automobilistica italiana che chiuderanno, annunciando licenziamenti di massa. Lo ha detto Michele De Palma, responsabile del settore automotive della Fiom-Cgil.
LE FABBRICHE AUTOMOTIVE A RISCHIO
Dopo i casi di GKN Driveline a Campi Bisenzio (442 dipendenti), di Gianetti Ruote a Ceriano Laghetto (152 dipendenti) e di Timken a Brescia (106 dipendenti), i prossimi stabilimenti a rischio – secondo De Palma – sono tre: “la Bosch di Bari e la Vitesco di Pisa. Poi, Pratola Serra di Stellantis”. Ma anche “tutte le aziende della Marelli che producono i sistemi di scarico e le lavorazioni per motori endotermici”.
La fabbrica di Bosch (tedesca) a Bari produce componenti per i sistemi di alimentazione motore diesel e a benzina. A Pisa, Vitesco (tedesca) realizza iniettori per motori a benzina e valvole per la riduzione delle emissioni nei motori diesel: 139 lavoratori interinali sono considerati a rischio. Nel sito di Stellantis (nata dalla fusione tra Fiat Chrysler Automobiles e PSA) a Pratola Serra, in Campania, si costruiscono invece motori modulari endotermici.
COSA PREVEDE IL PIANO EUROPEO SULLE AUTOMOBILI
Il piano Fit for 55 – presentato dalla Commissione europea la settimana scorsa e contenente le misure pratiche per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 55 per cento al 2030 – prevede il divieto di vendita di nuove automobili a benzina o a gasolio nell’Unione europea dopo il 2035.
IL COMMENTO DELL’ANFIA
L’ANFIA, l’associazione della filiera dell’industria automobilistica italiana, ha espresso “sconcerto e preoccupazione”. “Pur consapevoli dell’importante ruolo che l’industria automotive può giocare nel raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal europeo”, ha scritto in un comunicato, “riteniamo che lo sforzo richiesto dall’attuale proposta non tenga in debito conto degli impatti industriali, economici e sociali di scelte così ambiziose e categoriche”.
COSA HA DETTO DE PALMA
Secondo Michele De Palma, le tre aziende che hanno annunciato i licenziamenti – GKN, Gianetti Ruote e Timken – “non sono certo imprese in crisi”.
“Sono tutte multinazionali o gruppi controllati da fondi d’investimento, in cui anziché industriale-costruttivo l’investimento è di natura speculativa”, ha aggiunto. GKN Driveline, ad esempio, è di proprietà del fondo britannico Melrose; Gianetti Route, invece, di quello tedesco Quantum Capital Partners.
“Non c’è nessun problema di mercato. Sono scelte di carattere speculativo e di delocalizzazione della produzione”, prosegue il sindacalista. “Le politiche di sostegno all’industria del nostro paese sono le grandi responsabili”.
RESHORING E DELOCALIZZAZIONE
De Palma sostiene che mentre negli altri stati dell’Unione europea si assiste a fenomeni di reshoring – per ‘riportare in patria’ la manifattura delocalizzata all’estero -, l’Italia, al contrario, “subisce le delocalizzazioni” verso l’Europa dell’est o la Francia. Francia che, però, si lamenta dei bassi costi di produzione del Sud Europa. Aurelio Regina di Confindustria ha spiegato al Sole 24 Ore che la competitività italiana è danneggiata dai prezzi alti dell’energia elettrica e del gas.
“C’è una responsabilità oggettiva da un lato dei fondi d’investimento e delle multinazionali, dall’altra della mancanza di una politica industriale del nostro governo, che affronta le crisi solo quando un’azienda chiude i cancelli. Mentre bisogna intervenire prima”, sostiene De Palma.
“Se non produrremo queste automobili in grado di rispettare i limiti imposti dal Green Deal”, prosegue, “saremo costretti ad importarle. Tutti gli altri paesi stanno riportando le produzioni all’interno dei propri confini, noi siamo stati invece gli ultimi, tra Francia e Germania, a costruire una gigafactory”.
Il sindacalista si riferisce alla fabbrica di batterie per i veicoli elettrici che Stellantis realizzerà a Termoli: è la terza in Europa, dopo quelle che il gruppo aveva già pianificato in Francia e Germania.
LE CRITICHE A CINGOLANI
Nell’intervista ad Affari Italiani, De Palma ha anche rivolto delle critiche al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani.
Cingolani infatti, la settimana scorsa aveva affermato che un passaggio troppo brusco alla mobilità elettrica comporterebbe la chiusura della cosiddetta “Motor Valley”, il distretto industriale in Emilia-Romagna dove hanno sede marchi come Ferrari, Maserati, Lamborghini o Pagani. Secondo il ministro, quattordici anni di tempo non sono abbastanza per permettere la conversione all’elettrico delle aziende produttrici di auto ad alte prestazioni.
De Palma dice di non capire “le preoccupazioni di Cingolani”, perché “nella Motor Valley, […] Ferrari i modelli elettrici li ha già messi in cantiere. La stragrande maggioranza dei marchi Premium sta già lavorando sull’elettrico. Sempre in quest’area, i cinesi di Faw hanno investito in maniera consistente con gli americani per costruire auto di lusso elettriche”. Il problema, sostiene, sono piuttosto gli stabilimenti che producono motori diesel, come quello di Stellantis a Pratola Serra.
COSA FANNO LE SUPERCAR SULL’ELETTRICO
Ferrari, in effetti, già offre veicoli ibridi e ha annunciato che metterà in commercio la sua prima auto elettrica entro il 2025. Per agevolare questa transizione industriale, la casa di Maranello ha nominato un nuovo amministratore delegato, Benedetto Vigna, che assumerà l’incarico il prossimo 1 settembre.
A inizio luglio Bugatti, la casa francese del gruppo Volkswagen nota per le auto sportive, passerà sotto il controllo di Rimac Automobili, azienda croata che produce veicoli elettrici ad alte prestazioni. La joint venture Bugatti-Rimac produrrà inizialmente due modelli di hypercar: la Bugatti Chiron e la Rimac Nevera (completamente elettrica).