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Francia Fit For 55

Fit for 55, tutte le tensioni tra Francia e Germania

In Francia l'industria dell'auto protesta per il piano europeo Fit for 55, che invece non impensierisce la tedesca Volkswagen. Macron lavora a modifiche pro auto ibride per tutelare le Case francesi attive nel settore. Tra Parigi e Berlino è scontro anche sul nucleare. Tutti i dettagli

 

L’industria automobilistica della Francia non è contenta del piano Fit for 55 dell’Unione europea, quello che dovrebbe permettere di realizzare l’obiettivo di riduzione del 55 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2030.

L’INCONTRO ALL’ELISEO

Lunedì scorso – due giorni prima della presentazione del piano – il presidente francese Emmanuel Macron si è riunito con i rappresentanti del settore. Che hanno chiesto sussidi statali per 17,5 miliardi di euro per compensare la graduale scomparsa dei veicoli con motore a combustione interna, sostituiti da quelli elettrici a batteria.

La riunione, spiega Le Monde, è servita a fare “il punto della situazione” del programma di salvataggio dell’industria francese dell’auto emesso l’anno prima, nell’estate del 2020. Luc Chatel, il presidente della PFA (il gruppo che racchiude la filiera automobilistica nazionale), sostiene che l’accelerazione verso la mobilità elettrica “avrà delle conseguenze devastanti”.

COSA C’È NEL FIT FOR 55 CHE NON PIACE ALLA FRANCIA

Tra le iniziative presenti nel piano Fit for 55 c’è infatti il divieto di vendita di nuove automobili a benzina o a gasolio dopo il 2035. Tale divieto ha lo scopo sia di incoraggiare il passaggio alla mobilità elettrica, sia di garantire il raggiungimento della neutralità carbonica (ovvero l’azzeramento netto delle emissioni) entro il 2050. Le automobili sono responsabili del 12 per cento circa delle emissioni totali di CO2 dell’Unione europea.

In Francia la filiera automobilistica rappresentata dalla PFA conta 400mila occupati. Chatel pensa che una transizione troppo rapida e troppo restrittiva porterà alla perdita di 100mila posti di lavoro entro il 2035 e la cancellazione di “cento anni di know-how europeo” sul motore termico.

UN FAVORE ALLA CINA?

Chatel non si è lamentato soltanto del divieto di vendita di auto tradizionali dopo il 2035, ma anche del futuro standard Euro VII (“che si preannuncia molto severo”, dice) e dell’abolizione delle vetture a gasolio a Parigi dal 2024. L’unione di tutte queste misure costringerebbe l’industria automobilista francese a “muoversi molto rapidamente verso un’unica soluzione tecnologica, che è l’auto elettrica a batteria”.

Una tecnologia però – aggiunge Chatel – “su cui i cinesi sono dieci anni avanti a noi”. Si riferisce al primato della Cina nella produzione di batterie agli ioni di litio, la tecnologia attualmente più diffusa: il paese detiene una quota del 69 per cento circa del totale globale.

17,5 MILIARDI PER COLONNINE DI RICARICA E TRASFORMAZIONE INDUSTRIALE

Chatel, assieme agli altri rappresentanti dell’industria francese, ha chiesto a Macron un “sostegno forte dello stato”, da 17,5 miliardi in quattro anni, per permettere una transizione morbida all’auto elettrica.

Serve, ha detto, un “piano Marshall da 8,5 miliardi di euro” per favorire l’installazione di punti di ricarica: la Francia deve arrivare a 100mila stazioni entro la fine dell’anno e a 700mila entro il 2030.

In secondo luogo, ha chiesto aiuti per 9 miliardi per garantire la competitività industriale francese. Vuole che il paese arrivi a rappresentare il 20 per cento del mercato europeo delle batterie, il 25 per cento di quello dell’idrogeno e il 25 per cento della componentistica elettronica per i veicoli elettrici entro il 2030.

RISCHIO DI DELOCALIZZAZIONE

La filiera automobilistica francese vorrebbe che Macron spingesse di più, in sede europea, per colmare il divario interno all’Unione sui costi di produzione. Chatel ha dichiarato che realizzare un veicolo in Francia costa 600 euro in più rispetto all’Europa dell’est e 300 euro in più rispetto all’Europa del sud.

COSA HA DECISO L’UE SUI VEICOLI IBRIDI

Nel piano Fit for 55 l’Unione europea non ha chiuso del tutto la porta alle auto ibride plug-in, quelle che possiedono sia un motore a combustione che uno elettrico, e che possono ricaricarsi da una fonte esterna: saranno incluse nel gruppo dei veicoli a basse emissioni di carbonio, ma fino al 2030.

L’azienda francese Renault ha quindi potuto tirare un mezzo respiro di sollievo, visti i grandi investimenti fatti in questo tipo di vetture.

Repubblica scrive che l’amministrazione Macron sta lavorando per spostare la data di “tolleranza” degli ibridi plug-in dal 2030 al 2040. Dal 1 gennaio 2022 la Francia ricoprirà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che potrebbe sfruttare per far avanzare le sue richieste.

SCONTRO FRANCIA-GERMANIA?

Non solo Renault, ma anche la tedesca BMW ha puntato molto sugli ibridi. Il divieto di vendita delle auto a motore a combustione interna non ha invece sconvolto Volkswagen, visto che la decisione è perfettamente in linea con le tempistiche del suo piano di transizione alla mobilità elettrica.

Sempre Repubblica parla di un contrasto tra Francia e Germania in merito all’inclusione del nucleare tra le fonti energetiche “pulite”, quelle coerenti con la transizione ecologica intrapresa da Bruxelles e quindi abilitate all’emissione di green bond.

Almeno per il momento, il nucleare è stato escluso dallo standard europeo sulle obbligazioni verdi: è un problema per la Francia, dato che questa fonte occupa una fetta molto rilevante (circa il 40 per cento) nel suo mix energetico.

Come scritto su Start Magazine, di recente i ministri di cinque paesi europei – Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Lussemburgo – hanno inviato una lettera alla Commissione per chiedere di escludere il nucleare dalle fonti verde, impedendogli così di accedere ad aiuti e misure di sostegno varie.

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