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"Nato All'incontrario" Scritto Dal Giornalista Francesco Curridori

Vi racconto la mia tosta vita all’incontrario

Pubblichiamo un estratto del libro "Nato all'incontrario" scritto dal giornalista Francesco Curridori

Non so quando terminerà la mia vita terrena, ma sono consapevole che nessuno dei miei problemi fisici o esistenziali avrà mai una degna conclusione. Forse non mi sposerò mai o forse troverò la donna della mia vita, ma chi può dire se sarò davvero felice accanto a lei? Chi mi assicura il lieto fine? Nessuno. Forse vivrò nella precarietà lavorativa ancora per qualche tempo oppure no, ma di sicuro i dubbi e le ansie magari non passeranno con uno schiocco di dita. E la disabilità? Non credo che sparirà con un battito di ciglio. Anche qualora guarissi, avrei davvero la garanzia di vivere felice e contento? Il fatto che non avrò mai la certezza di “un lieto fine” non significa che mi debba accontentare della mediocrità perché, come canta il sommo poeta, “chi s’accontenta gode, così così…”. Dopo tutte le peripezie che ho dovuto affrontare, mi merito una felicità piena e autentica e non un qualcosa di finto che spaccio per vera. Mi spiego meglio.

Moltissimi vip, ma anche molte persone comuni, hanno una salute di ferro eppure conducono una vita di merda. L’ho scritto, l’ho ripetuto più volte e lo ribadisco di nuovo: avere una buona salute non è la via per la felicità. Bastasse così poco, la vita sarebbe una pacchia. Ho visto bambini con la sindrome di down che, con il loro sorriso e i loro occhi, illuminavano i volti scuri dei loro genitori. Il lieto fine classico, forse, per me non arriverà mai eppure mi potrei ritenere abbastanza felice e contento se fossi capace di percorrere ogni giorno il tragitto che precede la mia morte con un briciolo di quella luce. Sono in cammino e devo tendere verso quella luce se non voglio ricadere nella depressione.

Ho cercato il più possibile di non scrivere un libro autocelebrativo e mi auguro vivamente di essere riuscito in questo intento. Odio essere compatito e spero che sia passato un messaggio chiaro e semplice: la mia vita non inizia e non finisce in un letto d’ospedale. La mia vita non è racchiusa in una cartella d’ospedale. Un disabile, purtroppo, viene ancora visto solo come un malato, mentre la disabilità è soltanto un aspetto della mia esistenza e non è nemmeno il più rilevante. Sono anzitutto un giornalista che, in più, ha la peculiarità di essere anche disabile. Molti strabuzzano gli occhi quando racconto quel che mi è successo e ritengono che il trapianto sia stato l’evento più importante della mia vita. Io, invece, credo di non aver fatto nulla di eccezionale, a parte cercare di non arrendermi.

E, qui, arriviamo al secondo quesito. Ho vinto oppure ho perso? Se per “vincere” si intende avere una famiglia, una casa di proprietà, un lavoro stabile e una salute di ferro, allora ho toppato clamorosamente. Se, per vincere, si intende che mi sono rialzato come Rocky Balboa ogni qual volta che sono finito al tappetto, allora ho decisamente vinto. E, a tal proposito, non posso non citare il sommo poeta, Silvester Stallone: “Il mondo non è tutto rosa e fiori, è davvero un ‘postaccio’ misero e sporco e per quanto forte tu possa essere se glielo permetti ti mette in ginocchio e ti lascia senza niente per sempre. Né io, né tu, nessuno, può colpire duro come fa la vita, perciò, andando avanti non è importante come colpisci. L’importante è come sai resistere ai colpi, come incastri e se finisci al tappeto hai la forza di rialzarti. Così sei un vincente e se credi di essere forte lo devi dimostrare che sei forte, perché un uomo vince solo se sa resistere. Non se ne va in giro a puntare il dito contro chi non centra accusando prima questo e poi quell’altro di quanto sbaglia”.

Ecco, le malattie hanno soltanto reso più accidentato il cammino, mi hanno rallentato e soprattutto hanno forgiato il mio carattere. Ma, se ho continuato a lottare, non è solo merito della mia ostinazione o testardaggine. Se lo sconforto e la depressione non hanno prevalso è grazie a tutte quelle persone che hanno reso il mio percorso lieto: i medici che mi hanno curato, le suore che hanno pregato per me, la mia famiglia che mi ha sostenuto.

Nel libro ho dedicato ampio spazio agli amici e agli amori non corrisposti perché la relazione col prossimo è la miglior cura per chi soffre. L’importante non è essere sani o malati, sposarsi oppure restare single. L’importante è amare e lasciarsi amare. La vera guarigione non consiste nel poter guidare un’automobile, ma nell’aver qualcuno da ringraziare quando si viene scarrozzati da una parte all’altra della città in maniera totalmente gratuita e disinteressata. La vera svolta della mia vita è arrivata pian piano quando, trasferitomi a Roma, col tempo, ho iniziato a percepire costantemente di aver incontrato delle persone che hanno avuto fiducia in me e che mi hanno tolto dalla solitudine. Si parla spesso di inclusione sociale, si scrivono leggi e si stanziano fondi (sono sempre troppo pochi) per i disabili, ma si dimentica l’ingrediente più importante: l’amore. Il trapianto in sé è un intervento come tanti altri che non guarisce le ferite vere del cuore. Poi, com’è ovvio e naturale, ci sono e ci saranno sempre delle persone che, consapevolmente o meno, mi faranno del male, ma tutto concorre al bene, anche il più tragico degli eventi.

(Estratto del libro “Nato all’incontrario” scritto dal giornalista Francesco Curridori)

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