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Disabilità

Anche le persone con disabilità hanno il diritto di lavorare, ma la strada è ancora lunga

Il tema delle difficoltà per l'inserimento nel mondo del lavoro delle persone con disabilità è noto da tempo, tuttavia, a oggi mi sembra vi sia ancora una certa difficoltà a fornire soluzioni capaci di produrre risultati immediati e concreti. L'intervento di Francesco Alberto Comellini

 

Leggendo l’articolo pubblicato lo scorso 7 novembre da La Nuova Ferrara di analisi e recensione del libro dell’Avv. Marco Campanini in materia di collocamento obbligatorio delle persone con disabilità, mi ha colpito come venga posto in evidenza il tema delle sanzioni dovute dalle Aziende private per l’inottemperanza degli obblighi di cui alla legge 68/99. Anche se il tema delle sanzioni, che è ben più complesso e andrebbe esaminato con la dovuta attenzione, si divide, esemplificando, tra sanzioni e somme corrisposte dalle imprese al fine di essere, sulla base di rigidi requisiti, esonerate in parte dagli obblighi di legge.

Il tema delle difficoltà per l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone con disabilità o meglio delle “sanzioni” che le aziende pagano per l’inottemperanza alle norme di legge, o delle somme per l’esonero parziale che poi vengono versate nel fondo per l’occupazione, è noto da tempo, tuttavia a oggi mi sembra vi sia ancora una certa difficoltà a fornire soluzioni capaci di produrre risultati immediati e concreti, che pongano su di un piano di parità sostanziale nell’accesso alle opportunità lavorative le persone con e senza disabilità e che contestualmente tengano in debita considerazione i bisogni delle imprese, sotto ogni profilo. Questo nonostante vi siano esperienze di inserimento lavorativo delle persone con disabilità che rappresentano casi virtuosi posti in essere grazie anche alle misure di incentivazione attivabili proprio attraverso i fondi regionali alimentati dalle sanzioni e dalle somme versate dalle imprese in esonero parziale.

Nella passata legislatura si è parlato del tema delle somme che le imprese pagano per non ottemperare agli obblighi del collocamento delle persone con disabilità di cui alla legge 68/1999, pensando di aumentare le stesse rispetto a quanto già fatto per alcuni versi dal dlgs 151/2015 (numerose le proposte emendative depositate dalle forze politiche) ma poi, le probabili, ma forse visti gli effetti quasi certe, pressioni di certo mondo delle imprese, hanno ricondotto a mere parole l’azione politica che era volta a favorire un cambiamento importante ma che non poteva essere solo basato sull’inasprimento delle sanzioni o delle somme da versare per gli esoneri. Occorre guardare oltre.

Il tema che ci deve muovere non è il dividere il mondo delle imprese in buone e cattive, si tratta invece di comprenderne, come in parte sembra si stia cercando di fare, non solo le dimensioni della singola impresa dalle quali discende l’obbligo di legge ma le sue dinamiche e le sue attività produttive nel contesto anche territoriale nelle quali si sviluppano per ricercare, favorire e sostenere, spazi di occupabilità accessibile, attraverso un auspicato cambiamento, prioritariamente culturale, del fare e saper fare impresa che caratterizza il nostro tessuto imprenditoriale e, contestualmente, inclusione e sostegno sociale. Al riguardo tra i molti studi in materia, suggerisco la lettura del paper del 2021 realizzato dall’Università Cattolica sulla Legge 68/99 sulla base delle esperienze delle imprese di Assolombarda e dei suoi stakeholder, nel quale si effettua una analisi dello stato dell’arte e si formulano proposte di miglioramento, partendo prioritariamente da una semplificazione degli adempimenti per porsi in linea con quanto previsto negli altri paesi europei.

In questo processo occorre dare atto della, seppur tardiva, positiva pubblicazione lo scorso 11 marzo 2022, delle linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità, previste dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, che come scritto nel documento rappresentano, tuttavia meri “strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale” e che “pur non sostituendosi alle legislazioni regionali che hanno regolamentato l’applicazione del collocamento mirato sui territori, intendono offrire un quadro di riferimento complessivo rispetto a principi, interventi e metodologie di attuazione”.

Un esercizio di studio quindi, anche se come detto tardivo, di cui però si dovrà vedere l’applicazione nel concreto.

Nel frattempo, e forse da qui potranno derivare ulteriori riflessioni e spunti applicativi per favorire il processo di inclusione occupazionale delle persone con disabilità, è stato pubblicato il D.Lgs. 30 giugno 2022, n. 105, in attuazione della direttiva europea (UE) 2019/1158 recante disposizioni per migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare. Il dlgs che novella la legge 22 maggio 2017, n. 81 tra l’altro riconosce priorità da parte dei datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Ma le criticità della legge 68/99, e in un certo senso il suo senso di fallimento, perché dal racconto di Marco questo si evince, anche a prescindere dalle buone intenzioni della norma, che a mio avviso parte da presupposti positivi ma continua a necessitare di una profonda revisione alla luce dei cambiamenti nel mondo del lavoro che sono in atto anche grazie al peso sempre maggiore del lavoro da remoto e svolto in modalità agile, è un dato di fatto certificato non tanto dalle lunghe liste di attesa, ma dal fatto che vi siano persone iscritte negli elenchi che attendono da decenni una chiamata al lavoro, che non arriva. Chi restituirà a queste persone il tempo perso nell’attesa di quella dignità sociale e di realizzazione di vita che solo il lavoro ci consente?

Un “senso di fallimento” percepito quindi dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie quello della 68/99 che deve smuovere la coscienza di chi ha l’autorità di realizzare un cambiamento atteso ma che nel frattempo, almeno per il pubblico impiego, ho cercato di tamponare, con il prezioso aiuto dell’amico Andrea Cangini, ex senatore di Forza Italia, oggi segretario generale della Fondazione Einaudi, e con la ex-Sen. Paola Binetti che firmò la modifica legislativa che le era stata proposta, introducendo il piccolo mattone per la costruzione del tempio dei diritti delle persone con disabilità: la valutazione delle “abilità residue” delle persone con disabilità nelle procedure dei concorsi pubblici per l’assunzione di personale non dirigenziale.

Misura questa che avevo già scritto in passato e che era stata inserita, con una lungimiranza non da poco, dall’allora ministro per la funzione pubblica Giulia Buongiorno nel testo del disegno di legge del governo per la riforma del pubblico impiego che, purtroppo incardinato in Senato lì è rimasto sino alla fine della XVII Legislatura, terminata la quale è decaduto, finendo su un binario morto.

Tuttavia anche la norma sulle abilità residue, che è a mio parere la chiave di volta per il superamento della legge 68/99 in caso di sua non applicabilità per carenza di quote di riserva e che potrebbe divenire invece il pilastro per favorire la partecipazione alle procedure concorsuali in condizioni di pari opportunità alle persone con disabilità e dsa, e che è divenuta legge (Decreto-Legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79, dove con l’art.3, si modifica l’art. 35-quater in materia di procedimento per l’assunzione del personale non dirigenziale, del dlgs 165/2001) forse per mancanza di una formazione specifica in materia di disabilità nelle sedi deputate alla redazione dei bandi di concorso per l’accesso alla PA, resta ancora inattuata. O almeno così risulta da una approfondita analisi dei bandi di concorso pubblicati dalle Pubbliche Amministrazioni dal 1 luglio 2022, che stiamo valutando con l’Osservatorio permanente sulle disabilità Osperdi di cui mi onoro di essere un componente.

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