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Vannacci

Vannacci è (anche) un influencer

"Penso che il generale Vannacci usi le tecniche Pnl (programmazione linguaggio neuro linguistico) cui vengono addestrati i corpi speciali delle Forze Armate nei corsi di Humint (Human Intelligence)". L'intervento di Marco Mayer, professore di Intelligence e Sicurezza nazionale presso la Lumsa, già direttore del master Intelligence & Security alla Link Campus e docente al Cybersecurity Master della Luiss.

Ieri sera per la prima volta ho ascoltato il generale Roberto Vannacci in questa intervista televisiva di due giorni fa.

La cosa che mi ha più colpito non è cosa dice, ma come parla.

Su Vannacci si sono consumati fiumi di parole, ma nessuno ha notato che il generale usa le tecniche Pnl (sta per programmazione linguaggio neuro linguistico) cui vengono addestrati i corpi speciali delle Forze Armate nei corsi di Humint (Human Intelligence). In parole semplici si tratta di metodologie che consentono di acquisire capacità e abilità di persuasione non comuni per influenzare – talora in modo molto spregiudicato – i propri interlocutori e convincerli ad assumere determinati comportamenti. Da queste discipline trae origine anche il termine “influencer” oggi tanto di moda.

Per chi fosse interessato ad approfondire la materia suggerisco di consultare Gnosis, la rivista dell’agenzia dei nostri servizi interni (Aisi) nonché l’Istituto Gino Germani che promuove pubblicazioni e corsi sulle tematiche Humint/Pnl.

Le particolarità caratteristiche comunicative del Generale Vannacci sono fisiologiche data la sua formazione specialistica e i tanti anni di esperienza, niente da dire.

Il discorso, invece, riguarda da vicino il mondo giornalistico e soprattutto gli intervistatori.

Per il libro c’è poco da fare. Roberto Vannacci ama presentare il suo libro in solitario senza discussant e di conseguenza senza contraddittorio. Non lo fa perché ha paura di essere criticato, ma perché in questo modo può affermare in modo assertivo le sue posizioni e coltivare i suoi fan.

Quando rilascia interviste, invece, i giornalisti hanno — o meglio avrebbero — molto più spazio per mettere in difficoltà il generale. Ma in casi come questi (verso chi è abituato a comandare) l’approccio dovrebbe essere diretto, ironico e pungente come accade nelle interviste Hard Talk della Bbc.

Vedremo stasera cosa succederà su Rete 4.

Circa il suo impegno in politica, da mesi il generale Roberto Vannacci ha detto tutto e il contrario di tutto. Un giorno la politica non gli interessa, il giorno dopo sì e si impegnerà a studiare per farla bene, un giorno ringrazia Salvini per la candidatura nella Lega alle europee, il giorno dopo accredita l’ipotesi di voler fondare un nuovo partito.

Queste manfrine in gergo si chiamano deception (ovvero confondere le acque per non far trasparire le proprie vere intenzioni).

La stessa tecnica Vannacci la usa quando fa finta di non conoscere l’uso elogiativo del termine statista. Definisce Benito Mussolini statista come se fosse un termine neutro per strizzare un occhio agli elettori nostalgici, senza esplicitamente parlare bene del Duce, ma neppure parlandone male.

Dire e non dire, lanciare il sasso e nascondere la mano: sono tattiche NPL utilissime quando si tratta di depistare il nemico e ancora più quando una persona è in emergenza e cerca disperatamente una via di uscita.

In condizioni normali no: quando cade la maschera il rischio è di cadere — se non nella “disinformatia” — certo in una scivolosa ambiguità.

Il mentore di Roberto Vannacci, il noto generale Marco Bertolini su Facebook — rispondendo ad un mio post — ha negato che Vannacci utilizzi l’approccio NPL.

Può darsi: sono curioso di conoscere cosa ne pensano i lettori di Startmag. Forse, come ha scritto Andrea Cangini, la soluzione è molto più semplice. Per Cangini, Vannacci e Bertolini sono semplicemente filoputiniani.

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