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Cloud, ecco fini e rischi delle mosse anti Amazon, Microsoft e Google in Italia

Progetto europeo Gaia-X, spinte franco-tedesche e cloud nazionali (non solo in Italia). L’approfondimento di Francis Walsingham

L’Europa ha “perso” la battaglia globale nel cloud computing, ma dovrebbe comunque riprendere la lotta, ha detto lunedì il presidente francese Emmanuel Macron. “Se vogliamo che il nostro ecosistema sia sostenibile, deve essere sovrano“, ha detto Macron durante una conferenza, ribadendo che l’Europa non dovrebbe fare affidamento “su alcuna potenza non europea” per la sicurezza dei dati e il 5G.

Sanno un po’ di gollismo in salsa confindustriale transalpina le parole del presidente della Repubblica francese. I suoi commenti arrivano infatti a seguito dell’annuncio di lunedì di una partnership tra Deutsche Telekom e il provider di servizi cloud francese OVHcloud che – nel quadro del progetto Gaia-X – mira a costruire una nuova offerta di cloud computing per le aziende europee e gli enti del settore pubblico ritenuti di importanza strategica. Il messaggio delle due aziende è stato molto chiaro riguardo alla necessità di essere “supportate” dagli Stati: “Per fare in modo che un’infrastruttura cloud europea sovrana abbia successo, dobbiamo scalare rapidamente”, ha affermato Frank Strecker, responsabile del business cloud pubblico di Deutsche Telekom. “E abbiamo bisogno del sostegno del settore pubblico”. Ciò tanto più dopo le aziende tedesche ha dichiarato apertamente di non avere alcuna intenzione di lasciare i servizi cloud americani, avendo la necessità di accedere alle migliori tecnologie esistenti sul mercato.

SOVRANITÀ DIGITALE

Le parole di Macron riaccendono il dibattito sul tema della sovranità digitale, spinto molto fortemente a livello europeo dal commissario Thierry Breton. Quest’ultimo non certo un novizio sul tema cloud, visto che quando era Ceo della francese Atos aveva lavorato proprio con OVH per mettere in piedi un piano – poi fallito – per un cloud nazionale francese.

Nato intorno al concetto di privacy, il concetto di sovranità digitale si è notevolmente ampliato di fronte all’incapacità delle società europee di tenere il passo dei fornitori di servizi cloud americani e cinesi. In alcuni Stati europei – con Francia e Germania in testa – sta quindi crescendo l’idea che alle società non Ue non dovrebbe essere consentito fornire servizi cloud per la gestione dei dati dei cittadini europei. “Il potere dei dati europei non dovrebbe più ricadere nelle mani di altre società extracomunitarie”, le parole rilasciate ad Handelsblatt dal ministro federale della Ricerca Anja Karliczek (Cdu).

GAIA-X

Presentato nell’ottobre 2019, Gaia X nasce con l’idea – fiorita all’interno dell’International Data Space (IDS) del governo federale e della Fraunhofer-Gesellschaft tedeschi – di mettere in rete le capacità del server di molte piccole e grandi aziende, in modo tale che “i dati possano essere resi disponibili, riuniti e condivisi in modo veloce e sicuro”, secondo quanto scriveva la Frankfurter Allgemeine Zeitung, realizzando una “infrastruttura dati potente e competitiva, sicura e affidabile per l’Europa”.

Il progetto è stato descritto dal ministero dell’Economia tedesco come “un abilitatore per piattaforme” Made in Europe”, aggiungendo che “consentirebbe alle aziende e ai modelli di business di scalare l’Europa in modo competitivo a livello mondiale“. Gli organizzatori del progetto prevedono inoltre che un pool così ampio di dati possa diventare una risorsa preziosa per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

L’unico problema è che più che europeo il progetto appare molto orientato alla crescita solo di aziende tech franco-tedesche, peraltro senza fornire a Pubblica amministrazione ed aziende europee la migliore capacità tecnologica disponibile sul mercato, anche in termini di sicurezza informatica, su cui più che una separazione si dovrebbe auspicare una sempre maggior cooperazione.

IL MERCATO DEL CLOUD

La partnership franco-tedesca è il primo vero tentativo di offrire un’alternativa europea ad Amazon, Microsoft e Google nel cloud computing (seppure anche i colossi americani potranno partecipare al progetto). Secondo la società di ricerca Gartner, si tratta di un business previsto in crescita del 6,3% nel 2020 a 257,9 miliardi di dollari. La spinta fornita dalla pandemia Covid dal momento che molte persone lavorano da casa a causa delle misure per il contenimento del contagio.

Secondo la società, i tre colossi statunitensi avevano una quota di mercato mondiale combinata del 60% nel secondo trimestre. Un dominio che al momento sembra impossibile da scalfire, visto anche il livello di investimenti in infrastrutture e ricerca da parte dei giganti americani, capaci di conseguenza di fornire servizi e prezzi impossibili da pareggiare per qualsiasi competitor UE. “AWS [Amazon Web Services] è una droga leggera. Più lo prendi, più ti piace, quindi… abbandonarla mi sembra complicato“, ha dichiarato lo scorso anno il vice ministro dell’Economia (con delega all’industria) francese Agnes Pannier-Runacher, sottolineando la portata globale e i prezzi del gigante di Seattle.

I TENTATIVI ITALIANI

Anche l’Italia non è estranea al dibattito sulla sovranità digitale, spinto principalmente dal ministro dell’Innovazione Paola Pisano (M5s) con le sue proposte per la realizzazione di un “cloud nazionale”, idea fortemente sponsorizzata dal fondatore del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo. Progetto che potrebbe trovare spazio all’interno dell’operazione sulla “rete unica” condotta da Tim e Cassa Depositi e Prestiti, anche se al momento non sembra esserci molto di reale oltre alle dichiarazioni di rito rilasciate nelle scorse settimane dalla stessa Pisano e dal ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli.

Da più parti sono infatti emerse perplessità, anche da parte dello stesso Grillo, in relazione all’estendere il progetto “rete unica” con Tim anche al cloud, con riferimento all’accordo su data center e tecnologie tra Tim e Google reso noto lo scorso anno, che di fatto farebbe entrare dalla finestra ciò che si vorrebbe far uscire dalla porta. E non può essere certo considerato un “cloud nazionale” un progetto come quello spinto dalla società pubblica di ICT Sogei inserito nella lista infinita da finanziare col Recovery Fund.

La via del sovranismo digitale non è stata però intrapresa solo dal M5S. Anche nel Pd iniziano a farsi sentire voci, come quella di Francesca Bria, presidente del Fondo Nazionale Innovazione (Cdp Venture Capital Sgr) e responsabile de facto dell’innovazione del Pd (quella ufficiale è Marianna Madia), oltre che moglie di Evgenj Morozov, l’intellettuale bielorusso oppositore storico delle Big Tech.

La Bria insiste da tempo sul concetto del riprenderci il controllo dei dati (ma in realtà sul cloud i dati sono nel pieno controllo del titolare, fanno notare molti addetti ai lavori) e riconoscere le informazioni come un bene pubblico. È lei a spingere “da sinistra” l’uso del digitale per la sovranità nazionale, con qualche tirata di troppo contro l’imperialismo Usa, affiancandosi così alla narrativa grillina mirata ad escluderne le aziende statunitensi.

IL RISCHIO PROTEZIONISTICO

La posizione del Governo sul tema cloud può creare problemi all’Italia. Al di là dell’impatto nullo sulla crescita tecnologica del Paese, dove il primo investimento andrebbe fatto innanzitutto sulle competenze, su cui il nostro Paese un profondo deficit,  il rischio è un altro. Laddove infatti sono emersi attriti con gli Stati Uniti sul tema Web Tax, l’esclusione intenzionale di aziende americane dal mercato della pubblica amministrazione potrebbe creare una guerra commerciale – chiunque sarà il presidente in carica dal 2021 – con impatti senza precedenti sulle esportazioni verso gli Usa (nostro terzo partner commerciale dopo Francia e Germania, col 9,2%) o su business italiani con forte presenza in America come ad esempio Leonardo ed Enel. Un tema che sarà probabilmente in agenda a fine mese in occasione della visita in Italia del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo.

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