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Come sarà il futuro per le compagnie petrolifere?

Il progressivo distacco dai combustibili fossili stravolgerà il modello di business delle compagnie petrolifere. Ma nel settore c'è chi continua a pensare che il mondo abbia bisogno di più idrocarburi, non meno.

Gli impegni dei governi per la riduzione delle emissioni di gas serra e per la transizione verso fonti di energia “pulite” implicherà un distacco via via più netto dai combustibili fossili: dal carbone, innanzitutto; ma anche dal gas naturale e dal greggio. Il futuro delle società petrolifere, i cui modelli di business si basano proprio sull’estrazione e la vendita di idrocarburi, sembrerebbe non essere particolarmente roseo. Nel settore, però, non tutti la pensano così.

SERVE PIÙ PETROLIO?

La situazione di alti prezzi del greggio sui mercati ha spinto diverse personalità dell’industria petrolifera a elaborare un messaggio apparentemente incoerente con gli impegni internazionali per la neutralità carbonica: transizione o no, dicono, il mondo ha bisogno di più investimenti nei combustibili fossili, non meno. Se non si investe non si produce, e non si produce l’offerta cala, i prezzi salgono, l’economia va peggio e il malcontento popolare si diffonde.

COSA PENSA L’OPEC

È il pensiero – inevitabilmente viziato dalla posizione che ricopre – di Mohammad Barkindo, segretario generale dell’OPEC, il cartello dei paesi esportatori di petrolio. Sostiene che siano necessari quasi 12mila miliardi di dollari di investimenti nei fossili da oggi al 2045 per soddisfare la richiesta di greggio e gas.

Che ci sia bisogno, quantomeno nell’immediato, di più petrolio e gas lo si è visto sia in Europa (dove i prezzi del gas naturale hanno raggiunto livelli altissimi a ottobre) sia negli Stati Uniti (che hanno attinto alla loro riserva strategica perché preoccupati per il caro benzina).

LE PAROLE DI CHEVRON E HESS

L’amministratore delegato di Chevron, Mike Wirth, ha dichiarato che “petrolio e gas continuano a svolgere un ruolo cruciale nel soddisfare i fabbisogni energetici mondiali e noi [le società petrolifere, ndr] svolgiamo un ruolo essenziale nel fornirli in una maniera a basse emissioni di carbonio”. L’amministratore delegato di Hess, John Hess, ha detto che “il petrolio e il gas saranno necessari per i prossimi dieci-vent’anni” ma “la sfida più grande” per il settore sono gli “investimenti”.

Lo pensa anche l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi: il divario tra la domanda e l’offerta, limitata dagli scarsi investimenti, potrebbe far sì che i prezzi delle fonti fossili resteranno alti in futuro.

PIÙ OTTIMISMO

Wirth pensa che la transizione energetica abbia bisogno di più “ottimismo”. In effetti, come fa notare Bloomberg, le aziende petrolifere hanno motivo per essere ottimisti, almeno oggi. Al netto dei cali legati alla diffusione della variante Omicron del coronavirus, quest’anno i prezzi del greggio sono cresciuti del 45 per cento, attestandosi sui 75 dollari al barile. Il prezzo dei futures del gas nederlandese è arrivato sopra i 30 dollari per milione di Btu, cinque volte tanto rispetto alla fine del 2020.

Bloomberg scrive che le aziende che ricercano giacimenti di petrolio stanno registrando i flussi di cassa più corposi da quando, sette anni fa, il petrolio si scambiava al di sopra dei 100 dollari al barile; anche l’industria americana dello shale sta registrando profitti notevoli.

IL PARERE DI PENATI

Su Domani l’economista Alessandro Penati ha scritto che la performance in borsa delle società petrolifere riflette lo scenario di progressiva eliminazione dei fonti fossili: “il prezzo medio delle quattro maggiori europee – Eni, Shell, BP, Total – in rapporto agli utili attesi nel 2022 è di 7,4 volte, la metà di quello dell’indice di mercato (15,4); un rapporto che è analogo a quella delle tre maggiori americane – Exxon, Chevron, Conoco”.

Ma mentre Chevron sta sfruttando questa fase di alti prezzi e forte domanda di combustibili fossili per ridistribuire profitti agli azionisti, Eni sta utilizzando quelle risorse per investire in energie rinnovabili e assomigliare più a una società elettrica che a una compagnia petrolifera (il caso Plenitude sembra dimostrarlo).

DIFFERENZE DI APPROCCIO

Le società petrolifere americane come ExxonMobil e Chevron, per adeguarsi agli obiettivi climatici internazionali, hanno preso l’impegno a tagliare le emissioni Scope 1 e 2 (quelle cioè sotto il diretto controllo dell’azienda). A differenza di quelle europee, pensano che le Scope 3 (quelle indirette, legate all’utilizzo dei prodotti, nonché le più voluminose) siano responsabilità dei consumatori.

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