Proposta vera o una provocazione per cercare di sbloccare lo stallo sulla rete tlc? Oppure la mossa cela fini reconditi opposti rispetto a quelli esplicitati? Sono le domande che rimbalzano tra analisti finanziari e addetti ai lavori nei ministeri dopo l’offerta lanciata dal fondo americano Kkr sulla rete di Tim.
Anche perché il governo, a cominciare dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha sempre parlato della necessità di una rete «nazionale» e «sotto il controllo pubblico».
Ecco tutti i dettagli.
EFFETTO KKR IN BORSA PER TIM
Telecom Italia +9,08% in volata a Piazza Affari, dopo che Kkr ha presentato un’offerta non vincolante per l’acquisto di una quota da definire in una costituenda società coincidente con il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, inclusivo degli asset e attività di FiberCop, nonché della partecipazione in Sparkle (la cosiddetta «Netco»).
I NUMERI DELL’OFFERTA DI KKR SU TIM
L’offerta non vincolante di Kkr per la rete di Tim. Secondo indiscrezioni, Kkr valuterebbe le attività a circa 20 miliardi di euro (22 miliardi di dollari) compreso il debito, dal momento che il colosso statunitense del private equity cercherebbe una quota di controllo dell’unità. A riportarlo è Bloomberg, riferendosi a fonti vicine al dossier.
LE INDISCREZIONI DI BLOOMBERG
Sempre Bloomberg, che cita fonti vicine al dossier senza citarle, riporta che l’offerta del fondo Kkr per la rete dell’ex monopolista telefonico italiano comporterebbe l’acquisizione di una quantità significativa di debito in capo a Tim.
LA POSIZIONE DEL GOVERNO
Il governo “segue con attenzione l’offerta presentata dal fondo Kkr” per una quota in Netco di Tim, “azienda che oggi ha un ruolo cruciale nei servizi di telefonia, nella realizzazione della banda larga nel nostro Paese e della infrastruttura del Polo Strategico Nazionale”, si legge in una nota del ministero delle Imprese e del made in Italy (MIMIT).
Il governo “reputa centrali la salvaguardia dei livelli occupazionali e la sicurezza di una infrastruttura strategica quale la rete nazionale di telecomunicazioni. Su questi presupposti si valuteranno gli sviluppi che riguardano la prima azienda di telefonia italiana”.
IL CASO DELL’OFFERTA SBANDIERATA E ARENATA, PER NON DIRE STOPPATA
Si riapre dunque, a distanza di due anni e con gli stessi protagonisti, la tentata conquista di Tim da parte del fondo Usa. Una storia, di fatto, partita a novembre del 2021 quando proprio Kkr aveva manifestato l’interesse per il lancio di una offerta pubblica di acquisto sull’intero gruppo Tlc, che valutava le azioni Tim 0,50 euro ciascuna, ricorda Il Sole 24 Ore: “L’operazione fu bocciata dal consiglio di amministrazione del gruppo telefonico dopo un lungo confronto con gli americani ai quali, all’atto finale, fu anche imputato di non aver mai presentato un’offerta, ma di essere rimasti fermi a una manifestazione di interesse. Punto, questo, sul quale Kkr ha però sempre replicato di non aver avuto l’ok di Tim a una due diligence confirmatoria”.
Ma secondo la ricostruzione di Start Magazine, ci fu anche il niet informale del governo Draghi all’offerta americana. Nonostante l’appoggio di economisti turbo-liberisti filo Draghi.
LE MIRE DI KKR
Ma Kkr è ovviamente rimasto spettatore interessato per via di quel 37,5% di FiberCop acquistato nell’aprile del 2021 e pagato 1,8 miliardi con la promessa di un rendimento garantito di oltre il 9%, ha ricordato oggi La Stampa: “Proprio per proteggere quell’investimento Kkr non è mai rimasto insensibile al destino della rete. Il destino è segnato: l’infrastruttura dovrà essere separata dai servizi di Tim. Il come è ancora da inventare”.
IL TAVOLO ARENATO DI URSO
Da dicembre il ministero delle Imprese e del made in Italy sta portando avanti un tavolo coi principali soci di Tim, Vivendi (23,75%) e Cdp (9,8%), ma tutto è arenato sulle divergenze di prezzo. Per i francesi la rete vale almeno 31 miliardi; per Cdp si è sempre parlato di una stima non superiore a 19 miliardi..
Da tempo i soci forti di Tim – Vivendi con il suo 23,75% e Cdp con il suo 9,8% – a quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, da tempo stavano cercando di portare Kkr a bordo di una proposta per la rete Tim. L’offerta del fondo Usa mostra quindi così il nulla di fatto delle interlocuzioni con gli altri due soggetti, azionisti peraltro di Open Fiber (al 60% Cdp e al 40% Macquarie).
I TIMORI ANTITRUST
Proprio questo aspetto e i timori di vincoli antitrust con conseguente allungamento dei tempi per l’approvazione di qualsiasi deal avrebbero convinto il fondo Usa – secondo le indiscrezioni pilotate dagli advisor italiani del fondo – al suo passo in avanti.
DOSSIER FIBERCOP
Si ricorderà che il primo di aprile dell’anno scorso Kkr Infrastructure e Fastweb entrarono ufficialmente nella nuova società, in cui sono confluite la rete secondaria di Tim, quella che va dall’armadio in strada alle abitazioni dei clienti, e la rete in fibra sviluppata da FlashFiber, la joint-venture di Tim (80%) e Fastweb (20%).
Kkr Infrastructure concluse l’acquisto del 37,5% di Fibercop da Tim per un controvalore di 1,8 miliardi, sulla base di un enterprise value di circa 7,7 miliardi di euro (equity value 4,7 miliardi di euro), comportando anche una riduzione corrispondente dell’indebitamento di Tim (uno degli obiettivi della gestione del gruppo da parte dell’ex ad, Luigi Gubitosi), sottolineò l’editorialista ed esperto di tlc, Guido Salerno Aletta.
RUMORS E SCENARI
Ma grazie all’operazione che architettò anche Gubitosi, gli americani di Kkr ebbero una sorta di garanzia sul ritorno degli investimenti talmente congruo che ora non vedono nel progetto di rete unica Tim/Fibercop/Open Fiber il mantenimento di quegli obiettivi e quelle “garanzie” (ritorni, secondo alcuni analisti, in oltre 140 milioni di euro l’anno), si scrisse mesi fa.
Così, per scongiurare una loro uscita da Fibercop – si ipotizza in ambienti governativi -, ora gli americani “provocano” evocando un’offerta sulla rete Tim. Che ben difficilmente avrà il via libera dell’esecutivo, visto il “controllo pubblico” invocato da Meloni