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Banda Larga Tim Sardegna

Ecco i benefici di Tim con Kkr in FiberCop

Perché Tim ha deciso di scorporare la rete in FiberCop dove investiranno anche Kkr e Fastweb. L’analisi di Guido Salerno Aletta   Nel settore della banda larga, di questi tempi in Italia n’è per tutti i gusti. Si va dallo spezzatino della rete di Tim, mediante la costituzione della società FiberCop, al collage di co-investitori…

 

Nel settore della banda larga, di questi tempi in Italia n’è per tutti i gusti. Si va dallo spezzatino della rete di Tim, mediante la costituzione della società FiberCop, al collage di co-investitori nell’infrastruttura di accesso che la stessa Tim sta aggregando attorno a questo neonato operatore che venderà solo all’ingrosso (Wholesale Only): si comincia con Fastweb che partecipa al capitale col 4,5% conferendo il suo 20% nella Fiberflash, la partnership con Tim per la cablatura di 29 città, e si prosegue con Tiscali. Anche altri grandi player stanno riflettendo sul da farsi, come Rai e Mediaset, ma già emergono le prime perplessità: si rischia un guazzabuglio ingovernabile.

Come se non bastasse, si bandisce l’arma finale: il ritorno ad una infrastruttura unica attraverso la fusione tra la neonata FiberCop, che verrebbe integrata da parte di Tim con le necessarie risorse di rete primaria, ed Open Fiber, la società partecipata pariteticamente da Cdp ed Enel che vanta fino al 2037/2038 i diritti concessori di costruzione e di gestione della rete di telecomunicazioni di proprietà pubblica che si sta realizzando con i fondi pubblici messi a gara da Infratel.

Non solo in Italia, il settore delle telecomunicazioni è il regno delle alchimie regolatorie: mentre fino a qualche tempo fa Tim aveva considerato come una dichiarazione di guerra la prospettiva di essere obbligata allo scorporo della rete al fine di garantire condizioni di concorrenza equa e trasparente, ora è essa stessa che ha notificato all’Agcom ed alla Commissione europea la “separazione volontaria della sua rete di accesso” mediante la costituzione di FiberCop: lo fa per ottenere la applicazione dall’Agcom, prima ancora che sia stato recepito in Italia, del disposto dell’articolo 78 del nuovo quadro regolamentare europeo (Direttiva UE 2018/1972 che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche). Tim cessa per sua stessa decisione di essere un operatore integrato di rete con Significativo Potere di Mercato al fine di beneficiare di una serie di vantaggi che sono stati già esplicitamente anticipati nella sua Relazione sul bilancio 2019: “Le nuove norme mirano a stimolare gli investimenti nelle reti ad altissima capacità continuando a tutelare la concorrenza e gli interessi degli utenti finali. Il Codice individua due modelli regolamentari, finalizzati a promuovere gli investimenti efficienti nelle reti di accesso:

a)  il modello “wholesale-only”, in base al quale l’Autorità Nazionale di Regolamentazione (ANR) potrà esentare da alcuni obblighi, tra cui quello di orientamento al costo, gli operatori con Significativo Potere di Mercato (SPM) che offrono servizi di comunicazione elettronica esclusivamente nei mercati all’ingrosso, imponendo loro solo gli obblighi di non discriminazione, accesso e di praticare prezzi equi e ragionevoli;

b) il modello di co-investimento, in base al quale l’Autorità Nazionale di Regolamentazione (ANR) potrà esentare da qualsiasi obbligo le reti ad altissima capacità (Very High Capacity Networks – VHCN) degli operatori con significativo potere di mercato, a condizione che siano realizzate sulla base di un’offerta di co-investimento aperta a qualsiasi soggetto e che sia garantito l’accesso alla rete a condizioni trasparenti e non discriminatorie”.

Brutalmente, sulla base dell’art. 78, paragrafo 1 lettera d) della Direttiva ne conseguirà che chi non partecipa al coinvestimento in FiberCop avrà comunque il diritto di accedere alla rete ad banda ultra larga a condizioni trasparenti e non discriminatorie, ma si vedrà applicato un listino con “meccanismo di adeguamento nel tempo”  volto a mantenere fermo l’incentivo posto a favore dei coinvestitori, “in modo da rispecchiare adeguatamente i gradi di rischio sostenuti dai rispettivi coinvestitori nelle diverse fasi della realizzazione e tengano conto della situazione concorrenziale sui mercati al dettaglio”.

Se ci sarà un vantaggio economico per tutti gli aderenti al club dei coinvestitori in FiberCop, quello ulteriore per Tim consisterà sul piano regolatorio nel non essere più obbligata come operatore avente Significativo Potere di Mercato ad offerte orientate ai costi: potrebbe far migrare i propri clienti. e soprattutto acquisirne di nuovi, offrendo una connessione a banda più ampia ma mantenendo lo stesso prezzo. Un vantaggio competitivo enorme, visto il bundling già in corso con i servizi di Tim Video e di altri fornitori di contenuti televisivi che incrementano il fatturato per cliente.

L’ingresso in FiberCop del Fondo KKR, che apporta 1,8 miliardi di euro in cambio di una partecipazione del 37,5% (considerando un enterprise value di 7,7 miliardi, di cui 4,7 di equity e 3 di debito) comporta una riduzione corrispondente dell’indebitamento di Tim, che ha beneficiato anche dei 2 miliardi derivanti dalla operazione Inwit (su 25,6 miliardi di debiti finanziari a medio/lungo termine in essere a fine 2019, un indebitamento finanziario netto di 33 miliardi e circa 18 miliardi di fatturato).

La contropartita della partecipazione azionaria di KKR sta nella riduzione di pari percentuale che si avrà nei profitti complessivi derivanti dalla vendita all’ingrosso dei servizi di accesso offerti da FiberCop, compresi quelli che saranno comprati da Tim per i suoi stessi clienti: nel bilancio del 2019, i proventi del Wholesale National Market che comprende sia il Fisso che il Mobile erano stati pari a 1,8 miliardi di euro, “in aumento rispetto al 2018 di 68 milioni di euro (+3,8%) con una performance positiva, guidata prevalentemente dalla crescita degli accessi trainata dal comparto Ultra BroadBand”. Mentre la riduzione del debito potrebbe dunque costare cara in termini di minori dividendi futuri di pertinenza di Tim, non ci sono indicazioni  per quanto riguarda i nuovi investimenti da parte dei soci nella rete di accesso a banda ultra larga. Niente neppure sui doppini di rame che invecchiano e sulla manutenzione di questa rete che è quella ancora portante: non è una priorità assoluta, essendo considerata un asset in via di dismissione.

Con questa operazione, Tim mette dunque insieme i vantaggi prospettici di una regolazione più favorevole con la riduzione dell’indebitamento.

C’è poi la questione Open Fiber, con i diversi ruoli di Enel e di Cdp: la prima ha in mano una valutazione di circa 7 miliardi da parte di Macquarie (di cui all’incirca 6 di equity e 1,7 di debito) che frutterebbe una forte plusvalenza rispetto ai valori di carico in bilancio. Cdp è invece orientata alla fusione della sua partecipata con FiberCop, per far nascere AccesCo: il 31 agosto, il CdA della Cdp, in contemporanea con quello di Tim, ha dato il via libera alla firma di una lettera di intenti per la costituzione di un operatore Wholesale Only, aperto come già FiberCop al co-investimento di altri operatori e caratterizzato dall’assenza di legami di integrazione verticale con Tim rispetto ai servizi di accesso alla rete. Per la governance di AccessCo si ipotizzano maggioranze qualificate e regole di controllo preventivo. suddividendo i poteri fra Ad e Presidente esecutivo, il primo di nomina da parte di Tim, ed il secondo da parte di Cdp ma reciprocamente approvati. A Tim comunque spetterebbe il 50,1% del capitale di AccessCo, anche senza dover ottenere una maggioranza di componenti nel CdA.

Secondo il Presidente di CDP, Giovanni Gorno Tempini, si è avviato un percorso che potrà condurre alla nascita di una rete unica tecnologicamente all’avanguardia, necessaria per superare il digital divide su tutto il territorio nazionale in un’ottica di sistema e a contribuire allo sviluppo del Paese, con l’obiettivo di restituirgli competitività a livello globale. Si rafforza così il ruolo della Cassa, un “investitore paziente che opera con una logica di sistema di medio-lungo termine, forte del suo legame storico con il territorio, mettendo sempre al centro la tutela del risparmio postale delle famiglie italiane”.

Si valorizza finanziariamente quanto realizzato finora, da una parte Tim che ha ereditato la rete di accesso in rame dalla Sip e dall’altra Openfiber che realizza infrastrutture a larga e larghissima banca con fondi esclusivamente pubblici. Si scovano pure vantaggiose prospettive regolatorie, per aggredire il mercato e battere la concorrenza.

(Estratto di un articolo pubblicato su Mf/Milano Finanza)

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