Come e perché il governo Meloni è intervento su Pirelli? Quali sono le reali conseguenze? Cosa si aspettava Marco Tronchetti Provera? E cosa faranno ora i cinesi?
Ecco fatti, commenti e approfondimenti.
La scorsa settimana il governo ha deciso di esercitare il golden power – quell’insieme di poteri speciali cui l’esecutivo può fare ricorso per tutelare l’interesse nazionale nei settori strategici – su Pirelli, l’azienda italiana di pneumatici guidata da Marco Tronchetti Provera ma legata al colosso statale cinese Sinochem, che ne possiede il 37 per cento.
Attraverso il golden power , il governo ha voluto tutelare sia alcune tecnologie considerate critiche (gli pneumatici dotati di sensori per comunicare con i sistemi di bordo del veicolo), sia l’autonomia dell’azienda (il nuovo patto parasociale di maggio assegnava maggiori poteri a Sinochem, e indirettamente al Partito comunista cinese).
CHE COSA HA DECISO IL GOVERNO SU PIRELLI, SECONDO IL GOVERNO
Il 16 giugno il governo ha comunicato di aver “disposto l’esercizio dei poteri speciali ‘golden power’” sul patto parasociale di Pirelli con l’obiettivo di tutelare l'”asset strategico costituito da sensori CYBER impiantabili negli pneumatici […], l’autonomia di Pirelli & C. S.p.A e del suo management; la sicurezza delle procedure; la protezione delle informazioni di rilevanza strategica; il know-how posseduto dalla società”.
Secondo Palazzo Chigi, i sensori CYBER “sono in grado di raccogliere dati del veicolo riguardanti, tra l’altro, gli assetti viari, la geolocalizzazione e lo stato delle infrastrutture. Le informazioni così raccolte possono essere trasmesse a sistemi di elaborazione cloud e super calcolatori per la creazione, tramite intelligenza artificiale, di complessi modelli digitali utilizzabili in sistemi all’avanguardia come Smart city e digital twin […]. L’uso improprio di questa tecnologia può comportare notevoli rischi non solo per la riservatezza dei dati degli utenti, ma anche per il possibile trasferimento di informazioni rilevanti per la sicurezza”.
L’intervento governativo è volto a “creare una rete di misure” a tutela dell’autonomia di Pirelli, del suo know-how e delle informazioni “di rilevanza strategica”. L’azienda è stata dunque dotata di “un nulla osta di sicurezza industriale strategico” che stabilisce dei limiti all’accessibilità delle informazioni, e si è deciso che “per alcuni strategiche” sarà necessario il voto favorevole di “almeno i 4/5” del consiglio di amministrazione.
Il patto parasociale del maggio scorso prevedeva infatti un rafforzamento della posizione di Sinochem nel consiglio di amministrazione: il conglomerato cinese avrebbe portato da otto a nove i suoi consiglieri in Pirelli, mentre Camfin – la holding di Tronchetti Provera, che possiede il 14 per cento – ne avrebbe perso uno, da quattro a tre; resteranno invariati i tre consiglieri indipendenti. Il timore è che, alla scadenza del patto (nel 2025), il nuovo amministratore delegato di Pirelli non sarebbe stato più italiano ma cinese, in quanto espressione della lista di Sinochem. Per il momento, comunque, a Tronchetti Provera succederà Giorgio Bruno, già vice-CEO.
CHE COSA HA DECISO IL GOVERNO SU PIRELLI, SECONDO PIRELLI
In una nota pubblicata il 18 giugno, Pirelli ha spiegato tutte le prescrizioni che dovrà rispettare a seguito del golden power. I soci cinesi di CNRC/Sinochem dovranno garantire “piena autonomia” a Pirelli nei rapporti con i fornitori e nell’elaborazione di piani strategici-finanziari. Inoltre, dovranno “garantire che Pirelli non sia soggetta a istruzioni da parte del Gruppo Sinochem”: pare che il governo cinese abbia invitato la società ad adottare le linee guida del XX Congresso del Partito comunista cinese sull’aumento del controllo politico sulle imprese partecipate.
Sinochem dovrà inoltre “impegnarsi a far sì che l’amministratore delegato di Pirelli, tratto dalla lista di maggioranza, sia indicato da Camfin”. Come visto, il patto parasociale di maggio già lo prevedeva, dato che il successore di Tronchetti Provera alla guida dell’azienda, Giorgio Bruno, è stato indicato proprio da Camfin di Tronchetti Provera.
Pirelli dovrà poi dotarsi di un nulla osta di sicurezza industriale che limiti l’accessibilità ad alcune informazioni, e dovrà istituire un’unità organizzativa autonoma per la sicurezza. L’attuazione delle prescrizioni verrà monitorata dal ministero delle Imprese, che ha gestito l’intera questione golden power.
LE NOVITÀ DELL’INTERVENTO GOVERNATIVO SU PIRELLI
Secondo Repubblica, “la prescrizione più significativa” è quella che prevede che l’amministratore delegato di Pirelli tratto dalla lista di maggioranza venga indicato da Camfin. Il quotidiano scrive che “questa prescrizione modifica il patto di sindacato firmato nel maggio 2022 tra Sinochem e Camfin”, anche se il patto in questione durerà fino al 2025 e per quella data Tronchetti Provera ha già selezionato un amministratore delegato, come detto.
Prosegue Repubblica: “Tutte le figure con deleghe dell’azienda dovranno inoltre essere scelte tra gli amministratori di emanazione Camfin e tutti i direttori e vicedirettori dell’azienda dovranno essere scelti o dal vicepresidente esecutivo (oggi è Tronchetti) o dall’ad (che nel prossimo triennio dovrebbe essere Giorgio Bruno, indicato da Tronchetti)”.
Inoltre, Pirelli dovrà modificare il proprio statuto per indicare la necessità di una maggioranza dei quattro quinti del consiglio di amministrazione nelle decisioni sui settori strategici: “In pratica la maggioranza qualificata in queste materie richiede il consenso di 12 consiglieri su 15, dunque i cinesi non possono assolutamente agire senza il consenso dell’ad e di almeno altri tre consiglieri di Camfin o del mercato (lista Assogestioni)”.
GOLDEN POWER SOFT O HARD?
Insomma: l’intervento governativo è stato morbido oppure duro? La risposta sta probabilmente nel mezzo: il golden power non è stato hard perché non ci sono stati interventi normativi sul capitale per ridurre la quota dei cinesi, ma non è stato nemmeno soft come l’esecutivo ha cercato di farlo passare dal suo comunicato.
Come ha sottolineato il Corriere della Sera, “il governo ha alzato uno scudo a tutela dell’autonomia del management e sulla tecnologia del gruppo milanese fermando i possibili tentativi di influenza dei soci cinesi, che negli ultimi mesi si erano intensificati. Nel patto di sindacato che regola i rapporti” tra Sinochem e Camfin “non cambia molto. Almeno nella forma. Ma la sostanza della governance del gruppo milanese subirà degli importanti aggiustamenti. A cominciare dalla nomina del consiglio, che vedrà passare da 3 a 4 i membri indicati da Camfin – su 15 consiglieri totali – a cui spetta anche l’indicazione dell’amministratore delegato, fermo restando il ruolo ricoperto da Tronchetti”.
IL DOSSIER AMMINISTRATORE DELEGATO
Secondo la ricostruzione di Start Magazine, l’imposizione più rigida non è quella sull’amministratore delegato di Pirelli ma quella sui consiglieri cinesi, riportati a otto anziché a nove.
La questione del CEO non è invece così determinante, dato che è stato Tronchetti Provera a decidere il suo successore. Fra tre anni però, quando scadrà il patto attuale e Pirelli dovrà definirne uno nuovo, la scelta potrebbe passare ai cinesi: ma si sapeva già.
LE STILETTATE DI HUFFINGTON POST ITALIA A TRONCHETTI PROVERA E AL GOVERNO
Sull’HuffPost diretto da Mattia Feltri la giornalista esperta di economia e finanza Carlotta Scozzari ha scritto che “non sembra trattarsi di quel golden power estremo, con obbligo di vendita di azioni o con sterilizzazione dei diritti di voto di Sinochem, che qualcuno aveva pure ipotizzato e che probabilmente avrebbe fatto piacere a Tronchetti (che secondo il Financial Times riteneva ormai i soci cinesi, il cui ingresso nel capitale lui stesso aveva favorito nel 2015, “un pericolo” per l’azienda). Ma in ogni caso non sembra trattarsi di quei poteri speciali blandi, prettamente a presidio delle tecnologie, descritti da Palazzo Chigi nella nota di ieri sera. Che il governo abbia tentato di non fare arrabbiare troppo la Cina di Xi Jinping, nel momento in cui già si staglia all’orizzonte la decisione della premier Meloni di abbandonare (verosimilmente in autunno) gli accordi sulla via della Seta? Possibile. Ma in ogni caso la storia del golden power di Pirelli meriterebbe un po’ più di chiarezza, non foss’altro perché il gruppo è quotato in Borsa”.
LA NARRAZIONE TRONCHETTIANA
Nel 2015 fu proprio Marco Tronchetti Provera, anche allora amministratore delegato di Pirelli, ’artefice dell’ingresso nell’azienda della società chimica cinese ChemChina (successivamente fusasi con Sinochem): non una partecipazione di minoranza, ma una vera propria acquisizione valutata 7,7 miliardi di dollari.
Qualche settimana fa, in audizione alla presidenza del Consiglio, Tronchetti Provera ha detto che “i cinesi sono pericolosi” e che il Partito comunista è una minaccia per Pirelli. Eppure è anche grazie a ChemChina-Sinochem se Pirelli si è ripresa: nel 2015 il suo bilancio era in perdita; oggi si aggira sui 435 milioni. Una ripresa di cui ha beneficiato economicamente anche lo stesso Tronchetti Provera, attraverso la holding Camfin.
Durante l’audizione, Tronchetti Provera si era anche lamentato per la crescita delle ingerenze di Sinochem nei processi della società.
Il massiccio ingresso di ChemChina in Pirelli era visto con qualche dubbio già nel 2015. Nel 2018 ancora si celebrava il “meraviglioso matrimonio” tra le due aziende: eppure la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina era iniziata da cinque mesi, le reciproche diffidenze politiche già da prima, e Xi Jinping era al potere in Cina dal 2013.
Nei giorni precedenti all’applicazione del golden power, si pensava che il governo avrebbe forzato una diluizione dei capitali cinesi in Pirelli attraverso un’espansione del ruolo di Brembo, azionista con il 6 per cento circa. Tra Bembo e Camfin esiste infatti un accordo che permetterebbe ai due soggetti di raggiungere una quota del 20 per cento; se si aggiungesse, come da patti, la famiglia cinese Niu, che possiede circa il 3,7 per cento, si salirebbe al 24 per cento.
Insomma la narrazione tronchettista presente nei giornali italiani delle scorse settimane (che ha avuto uno dei culmini in un articolo del quotidiano Il Messaggero) prefigurava – auspicandolo – un robusto intervento anti cinese preludio di una operazione di sistema su Pirelli orchestrata con l’ausilio non solo di Brembo ma anche di Intesa Sanpaolo, come scritto nei giorni scorsi dalle cronache finanziarie.
LA VERSIONE DEL MINISTRO ADOLFO URSO
Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha spiegato ieri al Corriere della Sera che non c’è “nessun pregiudizio ideologico” dietro al golden power anti-Cina su Pirelli; “noi interveniamo quando c’è di mezzo la tutela della sicurezza nazionale, ma anche a tutela del sistema produttivo, lo abbiamo fatto altre volte e se ci fosse bisogno interverremo ancora”.
L’intervento governativo, ha rimarcato il ministro, serve a “dare delle prescrizioni, non dei divieti, entro cui le aziende possono muoversi, un sistema che preferiamo piuttosto a quello dei divieti, per intervenire meglio e per non scoraggiare gli investitori esteri” nel “massimo rispetto della governance”.
PERCHÉ IL GOVERNO MELONI NON HA AFFONDATO IL COLPO?
Dice a Start Magazine un analista che ha seguito il dossier: “Il governo ha deciso un intervento non troppo invasivo. Il segnale anti Cina è forte e chiaro. Ma al contempo non sono state impartite limitazioni per i cinesi nel capitale di Pirelli, ovvero congelate le azioni. Un tipo di golden power hard che evidentemente stato ritenuto troppo dirompente specie per una società quotata come Pirelli e dalla ramificazione mondiale per il business”.
L’ANALISI DEL QUOTIDIANO REPUBBLICA
Il direttore del quotidiano Repubblica, Maurizio Molinari, ha dato una chiave di lettura sul tipo d’intervento del governo: “Sorge il dubbio che la scelta di adoperare il “Golden Power” senza congelare le azioni di Sinochem celi la convinzione di poter arrivare ad un compromesso anche sull’adesione alla “Nuova Via della Seta” al fine di proteggere importanti accordi ed investimenti che numerose aziende italiane hanno siglato con partner cinesi. Resta il fatto che, secondo fonti diplomatiche americane, “difficilmente l’amministrazione Biden accetterà niente di meno che l’uscita dell’Italia dalla Via della Seta” per il semplice fatto che c’è una forte convergenza bipartisan fra Casa Bianca democratica ed opposizione repubblicana sulla “sfida strategica” con Pechino”.
Molinari si è anche profuso in una ricostruzione dell’ingresso dei cinesi in Pirelli in concomitanza con l’uscita della russa Rosneft; una concomitanza che però non c’è stata, come emerge anche dall’archivio di Repubblica.
LO SCENARIO SECONDO IL SOLE 24 ORE
Ci sarà una reazione legale di cinesi? Secondo il Sole 24 ore, sì: “Secondo qualche osservatore, se il governo non ha voluto adottare provvedimenti invasivi come la sterilizzazione dei diritti di voto è anche vero che le misure adottate nei fatti ottengono lo stesso effetto: i cinesi non possono votare, su temi critici e nomine, se non in accordo con i soci italiani. Altrimenti il loro voto non vale nulla. La situazione che si viene a creare con le disposizioni approvate giovedì, mette Sinochem/ChemChina in una posizione complessa: gli investimenti di ChemChina, infatti, sono vincolati al fatto che essa detenga partecipazioni di controllo. Questo può portare i cinesi, nel medio periodo, a valutare di accettare un riassetto azionario a favore dei soci italiani che riduca la partecipazione azionaria degli asiatici o persino che essi valutino l’uscita. Anche a questo scopo non è da escludere che i cinesi decidano di impugnare di fronte al Tar del Lazio il Dpcm, entro i 60 giorni canonici previsti dalla legge”.
I REPORT DEGLI ANALISTI
“Sinochem potrebbe ricorrere entro 60 giorni al Tar o al Consiglio di Stato, ma riteniamo improbabile che ciò possa stravolgere quando deciso – commenta Equita Sim – Non escludiamo che alla luce di questo provvedimento Sinochem possa decidere di ridurre la sua quota, avviando quel reshuffle dell’azionariato che commentiamo da tempo. Anche per Intermonte l’esito della procedura potrebbe spingere Sinochem a valutare l’uscita dal capitale, dopo 8 anni, e il mercato già sconta questo scenario visto che i multipli a cui tratta Pirelli in Borsa sono inferiori rispetto alla media dei concorrenti. Da inizio anno Pirelli ha recuperato il 15% circa in Borsa a fronte del +17,5% di Piazza Affari e del +22% del sottoindice Stoxx Auto&Parts. Per Intermonte l’opzione primaria in caso di disimpegno di Pechino resta l’assorbimento della quota in cessione da parte di azionisti esistenti o comunque in accordo con l’attuale vicepresidente esecutivo e ceo Marco Tronchetti Provera.