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Pirelli

Pirelli, tutti i dettagli sulla strana rottura tra Tronchetti Provera e i cinesi

L'unione Pirelli-Sinochem era un "meraviglioso matrimonio" mentre oggi, dice Tronchetti Provera, i cinesi sono diventati "pericolosi". Storia di un amore finito in tragedia (ma le avvisaglie c'erano tutte). Fatti, parole, numeri e capriole (con beatificazioni...)

 

Come cambiano le cose. Nel 2015 Marco Tronchetti Provera, allora e ancora oggi amministratore delegato di Pirelli, fu l’artefice dell’ingresso nell’azienda della società chimica cinese ChemChina: non una partecipazione di minoranza, ma una vera propria acquisizione valutata 7,7 miliardi di dollari.

Tre anni dopo, nel maggio 2018 – la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina era iniziata da cinque mesi, le reciproche diffidenze politiche già prima, e Xi Jinping era al potere dal 2013 -, Tronchetti Provera era a Pechino, ospite del fondatore di ChemChina Ren Jianxin, per celebrare il “meraviglioso matrimonio” tra le due aziende.

Gli anni passano, ChemChina si fonde con il conglomerato statale Sinochem e anche l’Unione europea si convince che l’assertività della Cina di Xi è un problema. Si arriva infine al giugno 2023, con Tronchetti Provera che, durante un’audizione alla presidenza del Consiglio, afferma che “i cinesi sono pericolosi” e che il Partito comunista è una minaccia per Pirelli. Eppure è anche grazie a ChemChina-Sinochem, attualmente azionista con 37 per cento, se Pirelli si è ripresa: nel 2015 il suo bilancio era in perdita; oggi si aggira sui 435 milioni. Una ripresa di cui ha beneficiato economicamente anche lo stesso Tronchetti Provera, la cui holding – Camfin – è azionista di Pirelli con il 14 per cento.

I DUBBI CIRCOLAVANO GIÀ NEL 2015

Il “meraviglioso matrimonio” di Pirelli con i cinesi era visto con sospetto già nel 2015: erano altri tempi, è vero, ma non tempi completamente diversi. Come ha scritto il Financial Times, anche allora quell’accordo fece alzare qualche sopracciglio in Occidente, specialmente tra chi temeva che Pechino potesse forzare dei trasferimenti di tecnologia: esattamente quello che sta succedendo oggi, stando alle dichiarazioni di Tronchetti Provera e degli altri dirigenti di Pirelli al comitato per il golden power.

PIRELLI STRAVOLGE LA COMUNICAZIONE NEL GIRO DI QUALCHE GIORNO?

Pochissimo tempo prima dell’audizione, Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera scrivevano – utilizzando peraltro le stesse parole – della “ferma volontà” di Sinochem “di proteggere l’italianità di Pirelli, considerata un asset imprescindibile per il futuro dell’azienda”. Passano una manciata giorni, e la situazione si rovescia: Il Messaggero pubblica stralci di documenti riservati dove si dice che Sinochem, forte del nuovo patto parasociale che le consegna maggiori poteri, era stata invitata da Pechino ad aumentare il controllo politico su Pirelli.

Il quotidiano romano si era curato di specificare che “il top management” di Pirelli “aveva fatto presente all’azionista cinese i rischi connessi a questa anomala situazione [ossia la forte presenza nell’azionariato, ndr] proponendo di trovare delle soluzioni”. Durante l’audizione al governo, Tronchetti Provera in persona si è lamentato per la crescita delle ingerenze di Sinochem nei processi della società, pur avendo lui stesso favorito l’ingresso dei capitali cinesi.

Non solo: nell’articolo del Messaggero firmato dal vicedirettore Osvaldo De Paolini (che il giorno si è dimesso; o è stato dimissionato?) si legge che “nel nuovo patto, in vigore da metà maggio ma ora congelato dal dipartimento Golden Power in attesa di chiarimenti, è pressoché azzerato il diritto per Camfin, la finanziaria che fa capo a Tronchetti firmataria insieme a Sinochem degli accordi, di indicare i nuovi amministratori delegati, tradendo in modo plateale lo spirito della partnership oltre ad alimentare le perplessità del mercato nella prospettiva che il prossimo capo azienda sia indicato dal socio cinese”.

Insomma nel nuovo patto fra Tronchetti Provera e i cinesi la finanziaria che fa capo a Tronchetti Provera avrebbe avuto sempre meno peso. Quindi quello che prima non preoccupava l’imprenditore dopo qualche giorno diventa una sciagura nazionale.

Una capriola da biasimare che invece in Italia è quasi degna di beatificazione mediatica, leggendo i giornali.

– Leggi anche: I Caltagirone al Messaggero fanno i cinesi con De Paolini su Pirelli?

I CAMPANELLI D’ALLARME DEL 2018 E DEL 2020

L’attuale patto parasociale garantisce la gestione italiana di Pirelli – a Tronchetti Provera succederà infatti Giorgio Bruno, già vice-CEO – fino al 2025; dopodiché il nuovo amministratore delegato sarà espressione dell’azionista cinese.

Ma le prime avvisaglie, per Pirelli, risalgono a ben cinque anni fa, quando gli Stati Uniti hanno imposto un dazio del 75 sulle importazioni dei prodotti di Pirelli provenienti dalla Cina. Nel 2020 Washington ha inserito Sinochem e ChemChina in un elenco di soggetti legati all’apparato militare cinese.

LE INGERENZE AUMENTANO

Stando alle ricostruzioni del Financial Times, le ingerenze di Sinochem negli affari di Pirelli si sono fatte pesanti negli ultimi mesi. A settembre, per esempio, i cinesi hanno chiesto di venire informati in anticipo di qualsiasi incontro dell’azienda con dei funzionari pubblici, sia italiani che non. Dopodiché, alle sussidiarie di Pirelli in Cina è stato detto di allinearsi alle direttive di Xi nella scelta dei dirigenti e dei talenti.

Il quotidiano britannico scrive che Tronchetti Provera avrebbe cercato di convincere Sinochem a ridurre la sua partecipazione in Pirelli dal 37 per cento al 10 per cento circa, senza successo.

“In un faccia a faccia avvenuto a Hong Kong – ricostruito dal Financial Times e collocabile all’inizio di quest’anno sulla base della narrazione fatta – Tronchetti ha proposto a Li Fanrong, diventato pochi mesi prima sia presidente di Sinochem sia di Pirelli, di ridurre la partecipazione dal 37% fino a circa il 10%. La proposta è stata però rifiutata da Li che ha ritenuto di non avere l’autorità per prendere la decisione”, ha sintetizzato il Sole 24 ore sulla scia del quotidiano della City.

“Proteggersi dalle decisioni dei cinesi non è una cattiva idea. La Cina potrebbe obbligare Pirelli a fare investimenti sconsiderati oltre la Muraglia. Potrebbe succedere di tutto una volta che non dovesse più esserci la governance di Tronchetti Provera”, ha spiegato Alberto Forchielli della società di private equity Mindful Capital Partners.

Insomma, alla fine si dovrà pure ringraziare Tronchetti Provera.

– Leggi anche: Ecco come Pirelli continua a putineggiare in Russia

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