Probabilmente irritato per aver perso i cinesi di Chery (andranno a costruire auto elettriche in Spagna) e dunque consapevole di aver perso parte del proprio potere contrattuale in quell’ormai eterno tavolo (è stato aperto la scorsa estate) con Stellantis che ha preso le fattezze di un match di braccio di ferro, il ministro delle Imprese Adolfo Urso deve essersi ricordato che il proprio dicastero è stato ribattezzato “del Made in Italy” (il Mimit, insomma) e ha attaccato il gruppo guidato da Carlos Tavares per la presunta denominazione fuorviante della nuova Alfa Romeo “Milano”, prima Suv elettrica del costruttore che porta il biscione nel marchio.
COSA HA DETTO URSO SULL’ALFA ROMEO MILANO
“Un’auto chiamata Milano non si può produrre in Polonia”, è stata la sferzata di Urso. Che ha proseguito evocando norme e divieti così da sgomberare il campo da dubbi che si tratti solo di una boutade polemica: “Lo vieta la legge italiana che ha definito l’Italian Sounding, una legge che prevede che non bisogna dare indicazioni che inducano in errore il consumatore. Sarebbero indicazioni fallaci legate in maniera esplicita alle indicazioni geografiche. Quindi un’auto chiamata Milano si deve produrre in Italia, altrimenti si dà un’indicazione fallace che non è consentita dalla legge italiana”.
LA LEGGE EVOCATA DA URSO
Urso fa riferimento a una normativa introdotta nel nostro ordinamento durante gli ultimi giorni del 2003 e che permette di perseguire tutti quei prodotti, per lo più in ambito alimentare, che si fregiano di presunti caratteri italiani per vendere, ma vengono prodotti altrove.
Una legge che tutela il made in Italy soprattutto di facciata, dato che si tratta di prodotti venduti per lo più da imprese straniere all’estero (un italiano difficilmente cadrebbe in errore, e comunque non riuscirebbero a competere a livello qualitativo, dato che di norma si tratta di cibi assai difformi dagli originali) in territori dove non arriva la nostra giurisdizione.
A ogni modo, la norma evocata da Urso contro l’uso di Milano per l’Alfa Romeo recita: “Costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli”.
FINE DEL DIALOGO TRA URSO E STELLANTIS
Saranno ora gli avvocati, eventualmente, a scervellarsi per comprendere se la norma possa applicarsi al caso di specie. In realtà dalla lettura del testo emergono già parecchi dubbi. Anche perché, a voler andare per il sottile, l’Alfa Romeo ha perso la propria milanesità da tempo. Gli ultimi modelli prodotti, la Giulia e la Stelvio, sono stati sfornati nello stabilimento di Piedimonte San Germano, vicino a Cassino in provincia di Frosinone, perciò anche se fosse fatta in Italia si potrebbe ribattere che il nome “Milano” sarebbe comunque fuorviante. Come a voler ribattezzare una linea di bicchieri creati in una vetreria di Gela “Burano”.
Ma, a prescindere dal fatto che Adolfo Urso e quindi lo Stato voglia realmente intentare una causa a difesa dell’italianità contro Stellantis (ipotesi remota), la sparata dell’esponente dell’esecutivo lascia ben intendere a quale livello siano giunti, o meglio precipitati, i rapporti con Carlos Tavares accusato, è ben noto, di aver orchestrato un rapido disimpegno dal Paese a seguito della fusione con i francesi di PSA.
LE FIAT PRODOTTE ALL’ESTERO
Una accusa che vede una volta tanto schierati sul medesimo versante il governo Meloni e i sindacati allarmati dagli importanti dimagrimenti in atto all’interno dell’organico italiano, diretta conseguenza, sostiene l’esecutivo, della scelta di delocalizzare altrove i modelli Fiat un tempo sfornati nel nostro Paese come la 500 algerina, la Panda serba, la Topolino marocchina e la 600 polacca. E, appunto, l’Alfa Romeo Milano fatta in Polonia.
REPUBBLICA CHIAMA L’AVVOCATO
Ancora nelle ultime ore Carlos Tavares ha bollato le accuse di allontanamento dall’Italia come “fake news”, ma almeno al momento il manager portoghese, certo non disabituato alla polemica, non ha ancora risposto a Urso.
Lo ha fatto – e forse ciò non dovrebbe nemmeno più stupire – Repubblica, accusata a più riprese da Carlo Calenda di essere così filo-Stellantis (il gruppo ha come primo azionista Exor che controlla, attraverso Gedi, anche la testata fondata da Scalfari) da non difendere più gli operai nonostante la collocazione politica del quotidiano.
La testata diretta da Maurizio Molinari (sfiduciato dalla redazione per un articolo riscritto e firmato non dall’autore del pezzo originario) infatti si è subito rivolta a Luigi Mansani, partner dello studio legale Hogan Lovells International, che in merito rassicura (Stellantis? Exor? Repubblica?): «Un’auto non è come il Barolo o il Parmigiano, non ha un’identità geografica protetta o un disciplinare. Un conto è perseguire il Parmisan, fake del Parmigiano, altro è il nome di una vettura».
Quindi Repubblica chiosa soddisfatta: “Nessun ministro ha mai pensato di denunciare la Ford che ha prodotto la Capri. Forse perché non ha mai pensato che dovesse essere prodotta in Italia o che il nome potesse indurre in errore i consumatori”. Interessante notare come il quotidiano, che pure ai tempi di Sergio Marchionne si scagliava contro la delocalizzazione (qui per esempio l’editoriale dal titolo evocativo “Lingotto, la falsa scorciatoia della de-localizzazione” e qui l’analisi dello stesso Scalfari sul trasferimento di volumi in atto nel 2010 da Pomigliano a favore della Serbia), oggi preferisca difendere le scelte strategiche di Tavares anziché i lavoratori italiani lasciati a piedi da quell’Alfa Romeo Milano prodotta in Polonia.