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Vi spiego fini e rischi del trattato con la Francia (benedetto dagli Usa). Parla Pelanda

Conversazione di Start Magazine con Carlo Pelanda, analista, saggista e professore di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi, sulla firma del trattato del Quirinale tra Francia e Italia

 

Italia e Francia hanno rafforzato la loro “amicizia” e avvicinato le loro posizioni attraverso l’evocativo “Trattato del Quirinale“. Un accordo che impegna i due Stati a collaborare fianco a fianco sui temi della ricerca e dell’innovazione ma anche sulla politica estera, migrazione e la cooperazione europea.

La stipula del trattato ha avuto un iter lungo con tavoli negoziali durati lungo tutto il 2021. Carlo Pelanda, analista, saggista e professore di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi, spiega cosa si cela dietro le dichiarazioni di intenti e quale sia la “strategia della spugna” cui l’Italia è stata obbligata.

Ci sono più rischi o benefici per l’Italia con il trattato del Quirinale?

Più che di Trattato parlerei di una lettera di intenti che, in quanto tale, non è vincolante. Il vincolo viene trasferito al documento del piano di lavoro che è un allegato del Trattato che impegna le parti a una consultazione piuttosto intensa su tante materie. La nostra diplomazia ha cercato di evitare un eccesso di condizionalità da parte francese, a loro volta i francesi hanno accettato ma sono convinti di poter fare il bello e il cattivo tempo e di uscire vincitori da ogni contesa con l’Italia. L’Italia deve rafforzare la propria capacità di negoziare con la Francia con un occhio alla Germania. Non ci sono pericoli immediati ma se l’Italia non rinforza la sua capacità di negoziare ci potrebbero essere seri problemi. Inoltre questo accordo può essere una potenziale leva negoziale con la Germania, anche se ancora non sappiamo quanto rigorista sarà il nuovo Governo tedesco. 

Quali sono le parti salienti del trattato?

Sicuramente la parte dello spazio è molto delicata. Molto preoccupante è che a lato del Trattato l’Agenzia Spaziale italiana ha fatto una bozza di accordo con l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, per trasferire sia soldi del PNRR sia risorse umane all’ESA segnalando una incapacità di spendere questi soldi. Se questo poi viene confermato possiamo anche chiudere l’Agenzia Spaziale Italiana.

Perché l’Esa ha sede a Parigi?

Si ma in questo caso il problema è la debolezza italiana. Effettivamente l’Asi come stazione appaltante ha delle difficoltà burocratiche italiane, per cui è chiaro che i francesi proveranno a prendere i soldi del PNRR italiano per usarlo nell’ESA. L’Italia ha provato a difendersi ma è debole. Facciamo fatica a impiegare i nostri soldi, per via della burocrazia. La Francia ha fiutato questa vulnerabilità e la stanno sfruttando, il rischio è che sfondino come un coltello caldo nel burro.

Quali effetti per Leonardo e l’industria dell’aerospazio italiana?

No, sicuramente c’è stata una controreazione infatti questa bozza di cui sto parlando doveva essere firmata dal ministro Colao ma è stata bloccata. Questo è un accordo bilaterale laterale al Trattato del Quirinale ma in qualche modo fa parte del Trattato stesso. L’Italia non ha ancora firmato con la scusa che ci vuole un passaggio interministeriale ma in realtà sta prendendo tempo. La partita è aperta però qui è l’Italia che deve rafforzare la propria capacità negoziale. È chiaro che i francesi hanno sempre un atteggiamento predatorio che viene attutito solo nei modi.

Ci fa un esempio di questo atteggiamento predatorio?

Certo. Nel trattato vengono citati i lanciatori Ariane 6 e Vega italiano per le esplorazioni spaziali. L’industria italiana ha una grande capacità di produrre combustibili solidi, un po’ meno quelli liquidi. I francesi e i tedeschi al contrario sono più forti sulla tecnologia combustibili liquidi. Ci sono stati dei sabotaggi, da parte francese, sui missili del lanciatore Vega perché è un concorrente molto efficiente del vettore Ariane. Negli accordi laterali al Trattato l’Italia è molto in difficoltà, i francesi hanno provato a creare asimmetrie: non si impegnano alla commercializzazione del Vega ma costringono l’Italia a impegnarsi nella commercializzazione dei lanci dell’Ariane. Questo per dire che la diplomazia italiana è riuscita a rendere il Trattato una lettera d’intenti senza conseguenze immediate però ai lati del trattato la Francia sta spingendo molto, hanno fatto un’analisi precisa delle vulnerabilità italiane e con un sorriso cercano di prendere soldi e capacità italiane sotto il comando francese per annullare la concorrenza. L’Italia ha preso tempo contro una pressione che si sta facendo sempre più pesante.

Perché l’Italia ha deciso di firmare questa lettera d’Intenti? Quali sono le spinte profonde che hanno portato a firmare?

Prima di tutto la pressione francese sull’Italia dal 2018. La Francia ha bisogno di formalizzare il fatto che comanda sull’Italia. In politica estera c’è una priorità del Governo italiano che riguarda la Libia. Nei colloqui riservati Draghi e Macron stanno tentando di raggiungere un accordo. Dietro questo accordo ce n’è anche uno tra Eni e Total, quindi diciamo che l’Italia ha la speranza strategica di convergere con la Francia per mettere a posto la Libia. In secondo luogo nella logica italiana pesa molto l’idea che insieme alla Francia si possa frenare un ritorno al rigore alla maniera tedesca nelle regole europee. Infine c’era la necessità di finire una guerra economica con la Francia che l’Italia stava perdendo. È come quando un pugile è suonato e sta prendendo colpi da tutte le parti. Cosa fa? Abbraccia l’avversario. Qui c’è la stessa logica: attutire la pressione francese. In diplomazia questa si chiama “mossa della Spugna”, se non posso combattere l’avversario lo rallento. Anche io usai questa tecnica in una situazione analoga tra il 2001 e il 2005 quando ero consigliere per le strategie del ministro della difesa Antonio Martino. In quel periodo la Francia voleva comprarsi Finmeccanica, con i nostri soldi peraltro, e riuscimmo a bloccarli senza litigare troppo perché l’Italia non può permettersi di litigare troppo per la questione del debito.

E quali sono gli interessi della Francia?

La Francia ha la necessità di mettersi accanto l’Italia per bilanciare il peso tedesco. Perché la Germania prende in giro la Francia, ha sottoscritto un trattato bilaterale ma fa gli affaracci suoi. In termini di geopolitica tradizionale l’Italia ha fatto una mossa sensata. Se la Francia aiuta l’Italia a stabilizzare la Libia è una buona notizia. Esiste un potenziale interesse dell’Italia in un accordo sistemico ma lo sapremo solo tra diversi mesi.

Italia e Francia sono riuscite a “spaventare” la Germania?

È un po’ illusorio pensare che la Germania si faccia impressionare da Italia e Francia, come se fosse possibile bloccare il ritorno del rigore in Europa. Italia e Francia non possono modificare la regola europea, l’euro è una moneta senza Stato, e nessuno vuole dare uno Stato all’euro tantomeno i francesi. La forza dell’euro arriva dal rigore. Magari Italia e Francia possono lavorare per attutirlo un po’, porteranno i parametri del debito dal 60% al 100% nell’arco dei prossimi 10 anni, anche perché la Francia è arrivata al 120%. La Germania quindi non è preoccupata, saranno più attente le aziende tedesche. L’Italia si muove in emergenza con un Governo in cui il primo ministro deve fare compromessi subottimali ogni giorno. E questa non è una critica a Draghi. Quando ero assistente di Cossiga al Quirinale lui mi diceva che “bisognava accendere il fuoco con la legna a disposizione”. Non c’è nulla di immediato, il trattato è una fuffa, l’immagine è quella del pugile suonato che cerca di evitare pugni.

Come cambierà, se cambierà, il rapporto con la Germania? E con gli Usa?

Con gli Usa non cambierà nulla. Nel trattato viene ribadito che la difesa europea sarà complementare alla Nato, questo attutisce le posizioni francesi sulla Nato, anche se cosa voglia dire complementarietà è lasciato al futuro. Gli Usa hanno favorito i rapporti tra Francia e Italia, nella persona del segretario di stato Antony Blinken, che è di formazione francese. Questo perché gli Usa vogliono concentrarsi sull’indopacifico e vogliono che qualcuno si prenda cura dell’area del Mediterraneo. Loro non sono più tanto grandi da poter presidiare tutto il mondo, più lo spazio e il cyber spazio. Per quanto riguarda la Germania possiamo dire che non è preoccupata, anzi i tecnici di analisi tedeschi si sono messi a ridere. Il giornale Süddeutsche Zeitung, bavarese, con ironia ha pubblicato un articolo in cui si chiedeva quanto tempo sarebbe passato prima che i cugini italiani e francesi iniziassero a litigare.

Il nostro Governo avrà la capacità di trasformare in opportunità l’accordo con la Francia?

Questo non lo sappiamo, l’unica cosa che sappiamo è che abbiamo preso del tempo per riuscire a rafforzare l’Italia. Il problema è che l’Italia è debole di suo, non per meriti altrui. È anomalo che l’Italia, un paese del G7, sia così debole nella difesa dei suoi interessi ma questo è successo perché per decenni si è affidata alla protezione americana e non ha voluto essere un attore autonomo. L’Italia deve sviluppare una capacità negoziale reale, posizionarsi meglio in Europa. Non possiamo pretendere di stare tra Francia e Germania senza sviluppare una forza nostra. L’Italia deve imparare a trattare con chi è più grosso e cattivo. Deve cambiare le norme e renderle più competitive, deve avere un consiglio della sicurezza nazionale, deve imparare a fare strategia e capace di difendere i propri interessi seppur in un linguaggio cooperativo.

Dario Fabbri, di Limes, su “La Stampa” ha scritto: “All’Italia il trattato con la Francia serve sia per evitare il ritorno dell’austerità di matrice tedesca in Europa, sia per proteggersi dalla Turchia, che ha il controllo della Tripolitania libica ed è molto presente (anche militarmente) nei Balcani. Ricapitolando: a Roma conviene stare dalla parte di Parigi per tutelarsi da Berlino e Ankara”. Lei cosa ne pensa?

Io la penso diversamente. Credo sia un’analisi un po’ parziale. Roma ha l’interesse di far finta di essere convergente con Parigi per poter trattare meglio con la Germania. Ma questa sarà comunque più morbida che in passato perché anche lei sta facendo debito. Il punto è che l’Italia deve avere un maggior rigore interno per ridurre autonomamente il proprio debito. Per quanto riguarda la Turchia c’è l’interesse della Nato a non umiliarla e ad aspettare che venga eletto un nuovo Presidente al posto di Erdgoan. Non possiamo permetterci di perdere la Turchia perché, se è vero che per metà è una nazione arretrata, per un’altra metà è un paese moderno, è un paese europeo. Noi non abbiamo bisogno di difenderci dalla Turchia perché non ha la capacità di espandere troppo la sua influenza. La Turchia non è un nostro nemico, anzi è un nostro grande cliente, l’interscambio economico è molto forte, a differenza della Francia. Infine gli Usa non vogliono che ci sia un’uscita della Turchia dalla Nato. È vero la i turchi stanno crescendo nei Balcani. Ma è vero anche che c’è un modo diciamo più riservato per contrastare l’avanzata turca, la Turchia è molto vulnerabile. Il nemico giusto sono la Cina e la Russia in Africa, l’Italia ha tutto il vantaggio di capire come si combatte, sull’Africa c’è un ritardo in cui la cooperazione franco-italiana potrebbe essere utile. A condizione che vi sia l’ombrello militare americano, chiaramente.

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