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Italia Francia

Trattato Italia-Francia? Ottimo, anzi no. Le analisi di Fabbri (Limes) e Pelanda (Verità)

Per Pelanda il trattato con la Francia è rischioso per l'Italia e la sua sovranità. Per Fabbri, invece, è il male minore: la vicinanza a Parigi è utile a Roma per difendersi da Germania e Turchia. Continuano gli approfondimenti di Start Magazine in vista della firma del Trattato il 26 novembre

 

A Roma, in occasione della visita del presidente francese Emmanuel Macron il 25 e 26 novembre, è attesa la firma del cosiddetto “trattato del Quirinale”: ovvero un accordo tra Italia e Francia che, nelle intenzioni generali – i dettagli non sono noti -, punta a ricalibrare i rapporti di forza interni all’Unione europea, storicamente guidata da Francia e Germania. Tra le due nazioni esiste un patto di cooperazione vero e proprio, il “trattato dell’Eliseo” del 1963, aggiornato nel 2019.

COSA PENSA LA POLITICA DEL TRATTATO ITALIA-FRANCIA

Come ricordato, del trattato del Quirinale non se ne conosce l’esatto contenuto ma delle linee guida piuttosto vaghe: la promozione della cooperazione bilaterale sull’economia, il commercio, il turismo e la cultura.

Ma è già stato attaccato da parte del centrodestra italiano, in particolare per i metodi: la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha criticato il fatto che il parlamento non sia stato informato dei negoziati (iniziati nel 2018, poi sospesi e infine riattivati sotto Mario Draghi); il deputato leghista Claudio Borghi ha presentato un’interrogazione alla Camera su questo punto. Più favorevole si è mostrato il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani, che ha detto di non trovarci “nulla di strano sul fatto che il Parlamento non conosca ancora il testo: in base alla Costituzione le Camere ratificano i trattati internazionali, non li scrivono”.

IL PARERE DI PELANDA

Tra gli analisti politici, su posizioni particolarmente critiche verso il trattato Italia-Francia è Carlo Pelanda, professore di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi. Sul quotidiano La Verità l’analista e saggista ha scritto che se l’accordo dovesse avere “potere vincolante e sistemico già da subito, con poco spazio per negoziati settoriali, allora il problema sarebbe enorme e andrebbe risolto con una mobilitazione difensiva” per proteggere la “ricchezza sovrana” italiana.

Pelanda comunque riconosce che è più probabile che il trattato abbia “la forma di una lettera di intenti”. E dice di non credere che Draghi “possa appoggiare un accordo controproducente per l’Italia”; allo stesso tempo, però, il primo ministro “certamente non vuole litigare con la Francia”.

Il professore scrive che gli apparati italiani, tra funzionari del ministero degli Esteri e dei servizi segreti, sono attenti all’interesse nazionale, benché – afferma – esistono “incertezze sulla capacità italiana di negoziare alla pari” con i francesi: condizione che produrrebbe un trattato sbilanciato a favore di Parigi.

L’obiettivo di Macron, sostiene Pelanda, è “conquistare l’economia italiana per bilanciare lo strapotere di quella tedesca” e fare Roma il vassallo di Parigi per “aumentare la centralità dell’industria francese della Difesa” in Europa. La Francia, dice l’analista, ha poi bisogno che l’Italia le sia allineata in modo da poter portare avanti la sua politica estera nella regione del Mediterraneo.

IL PENSIERO DI FABBRI (LIMES)

Diverso è invece il pensiero di Dario Fabbri, analista geopolitico e membro del comitato scientifico di Limes, affidato a un articolo per La Stampa dal titolo esplicativo: Perché ci serve il trattato del Quirinale.

Fabbri scrive che l’obiettivo di Macron attraverso l’intesa con l’Italia è “unire il peso di Parigi e Roma per inibire un possibile ritorno all’austerity” a Bruxelles su spinta del nuovo governo tedesco; al contrario, il presidente francese vorrebbe forzare Berlino a “conservare una politica fiscale di stampo espansivo”.

L’analista spiega che pandemia ha “smascherato” le fragilità strutturali di Italia e Francia; nel 2020 la Germania ha garantito l’emissione di bond da parte della Commissione europea, rendendo possibile il piano di ripresa, per evitare che una crisi profonda del Nord Italia possa compromettere l’industria tedesca, vista la profonda interdipendenza. Tuttavia, precisa, “l’opinione pubblica tedesca è restia a impegnarsi sine die per i propri satelliti, nonostante la partecipazione di questi alla catena del valore nazionale, cronica irrazionalità di matrice astrategica, confermata dalle ultime elezioni”.

All’Italia, dunque, il trattato con la Francia serve sia per evitare il ritorno dell’austerità di matrice tedesca in Europa, sia per proteggersi dalla Turchia, che ha il controllo della Tripolitania libica ed è molto presente (anche militarmente) nei Balcani. Ricapitolando: a Roma conviene stare dalla parte di Parigi per tutelarsi da Berlino e Ankara.

Fabbri specifica che il trattato del Quirinale porta con sé dei rischi per l’Italia. Innanzitutto quello di “cadere definitivamente dentro la sfera d’influenza francese”, sia in politica estera che in campo industriale. “Ma le alternative, austerity di marca tedesca e ingerenza turca nel nostro estero vicino, sono perfino peggiori”, conclude.

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