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Salvini

Le partite di Tajani e Salvini con Meloni

Sfide, ambizioni e scenari per Meloni, Salvini e Tajani. La nota di Paola Sacchi.

La mossa a sorpresa di invitare per domenica prossima a Pontida Marine Le Pen, che parlerà dal palco della tradizionale festa leghista, quella che detta ogni anno l’agenda politica, ha di fatto rimesso Matteo Salvini al centro del dibattito del centrodestra o destracentro. Molto più di quanto emerga dagli stessi giornali d’area ora del gruppo Angelucci, ad eccezione della Verità. E seppur sia stato Il Giornale a intervistare con Stefano Zurlo il leader della Lega, vicepremier e ministro di Infrastrutture-Trasporti, che ha dato l’annuncio-scoop sulla presenza della leader del Rassemblement national.

Ma, al di là della rappresentazione mediatica, nella coalizione al governo Salvini di fatto ha aperto un dibattito che oltre ai futuri assetti europei innanzitutto inevitabilmente ha un riflesso tutto di politica interna. Che vedrà le tre forze della maggioranza in un fisiologico rapporto di collaborazione al governo e di competizione alle Europee, dove si corre con il proporzionale. E questo non certo perché Salvini voglia rimettere in discussione la maggioranza di governo che assicura sempre e non tatticamente, ma per sua reale volontà, che durerà cinque anni e anche oltre. Ma evidentemente perché è suo legittimo interesse riequilibrare i rapporti di forza interni. Che al momento vedono una assoluta centralità, politica e mediatica della premier Giorgia Meloni e Fdi, conferita dai numeri elettorali delle Politiche del 25 settembre.

Naturalmente c’è la volontà di Salvini innanzitutto di far vincere il centrodestra unito (compresi la francese Le Pen e la Afd tedesca) in Europa contro le politiche ritenute integraliste del green, delle auto elettriche etc, ma al tempo stesso la volontà legittima di rilanciare la sua Lega, riportarla almeno a doppia cifra, reduce come è dal 34 per cento delle ultime Europee, dal 17 delle Politiche del 2018, dove fece il clamoroso sorpasso su Forza Italia.

Se il leader di FI, Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, con lo stesso problema di rilanciare il suo partito, alla prima vera prova elettorale dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, sul fronte del centro del centrodestra, ribadisce il suo netto no ad alleanze con Le Pen e Afd, insieme con Manfred Weber, leader del Ppe, di cui il leader azzurro è vice, Salvini rilancia. Tajani, come si sa, non ha però certamente detto no ad un’alleanza con Salvini, partner di governo in Italia, pure in Europa.

A difesa della scelta del leader leghista scendono duramente in campo anche Marco Campomenosi, capodelegazione Lega in Europa, e Marco Zanni, presidente del gruppo Identità e democrazia, dove la Lega sta con la Le Pen e Afd. Attaccano il Ppe ritenuto reo di aver votato “buona parte” dei provvedimenti green con il Pse. E Salvini replica a Tajani che lui non ha mai messo veti alle alleanze degli altri partiti della coalizione e quindi non ne accetta a maggior ragione ora per la Lega.

Ma, al di là della narrazione ufficiale, il messaggio di Salvini oggettivamente suona rivolto anche a Fdi di cui la premier è anche presidente. Emerge chiara la scelta di occupare quegli spazi a destra lasciati scoperti da FdI per il ruolo istituzionale che è chiamato a svolgere, dal momento che esprime la premier. E al tempo stesso per FI, insidiata da Matteo Renzi, si potrebbero aprire spazi al centro. Non a caso la strategia di Tajani è quella di attrarre anche riformisti delusi dalla radicalizzazione del Pd di Elly Schlein.

Ma Tajani e Salvini, pur divisi sulle alleanze Ue, hanno il comune problema di uscire, al di là dell’importante compito che esercitano nelle rispettive competenze, da un ruolo sul piano puramente politico oggettivamente “ancillare” assegnato loro dai crudi e incontrovertibili numeri elettorali delle Politiche. E questo sta nella fisiologia della dialettica politica delle maggioranze e coalizioni in generale. La narrazione per cui ci sarebbe solo “una lite” tra i due vicepremier, descritti di volta in volta uno o l’altro più vicino o più lontano rispetto alla premier, non regge alla prova dei fatti. È vero, come dice il vecchio detto, che tra i due litiganti il terzo gode. Ma qui la sfida oggettivamente è tra tutti e tre. E se Fdi dà sempre più segnali di voler, a sua volta legittimamente, diventare il partito centrale non solo del centrodestra ma dell’intero assetto nazionale, un po’ sulla sorta di quel partito della Nazione che Renzi voleva creare sull’onda del 40 per cento delle Europee, appare altrettanto chiaro che se i rapporti di forza interni alla coalizione al governo si sbilanciano elettoralmente sempre più a favore di FdI, a danno degli alleati, le tensioni interne alla maggioranza potrebbero inevitabilmente farsi più forti.

Spetterà ovviamente alla capacità di Lega e Fi risalire la china riconquistando la doppia cifra anche sfondando nel mondo dell’astensione. Un mondo fatto anche da un ceto medio al quale le discussioni sul libro del generale Vannacci non interessano affatto, ma interessano segnali concreti dalla premier e dal governo tutto a partire dalla riduzione delle tasse. Ovviamente compatibilmente con le oggettive difficoltà di bilancio economico.

Per tornare alle alleanze in Europa, è un fatto che per ora Fdi e Meloni abbiamo deciso di restare a guardare: oggi il partito terrà l’assemblea nazionale. Mentre, ieri, ad esempio, Alessandro Cattaneo, capo dei dipartimenti azzurri, ex capogruppo di Fi alla Camera, pur nettamente attestato sulla linea del leader Tajani del no alla Le Pen e Afd, non ha escluso che si potrebbero fare sui provvedimenti concreti oggettive convergenze anche con chi “non è ben accetto”. Ma questo non sembra da inquadrare in certa un po’ stantia narrazione sulle aree interne azzurre, aree fisiologiche nei partiti. Nel Pd poi, campione in questo, correnti vere e proprie. Ma il centrodestra non può eternamente “campare” soprattutto di sbandamento delle opposizioni. E tra i due “litiganti” non è detta che in politica il terzo goda sempre. Forse servirebbe un atteggiamento più collegiale da parte del primo partito. Intanto, la Lega annuncia la sua usuale mega organizzazione per Pontida con 50 gazebo, un palco sempre di 50 metri, megaschermi e anche la presenza della stampa estera, visto l’arrivo di Marine Le Pen.

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