Chissà se in Afghanistan e in Iraq il paracadutista incursore Roberto Vannacci è mai stato sotto un tiro tanto intenso quanto quello della stampa italiana. Un fuoco intenso ma impreciso, un po’ come fanno la Wagner e la Russia in Ucraina: distruggere tutto, sperando che sotto le macerie restino anche i difensori. Niente a che vedere con la guerra moderna fatta di GPS e laser che indirizzano i colpi esattamente sul bersaglio. Niente droni che colpiscono solo dopo ore o giorni di osservazione, quando hanno la certezza dell’obbiettivo. Solo un bombardamento massiccio sull’inaccettabilità e infondatezza della visione del mondo del generale.
Qualche colpo, in verità, sembra andato a segno. Ieri, sul Corriere della Sera, il linguista Massimo Arcangeli dell’Università di Cagliari ha impietosamente documentato non solo gli errori formali del testo (frutto della fretta, dell’assemblaggio di materiali eterogenei e della mancanza di confronto con una redazione professionale) ma anche diversi passaggi ripresi da libri altrui senza citarli (quello che in ambito accademico si chiama “plagio” e che il “buonsenso” chiama “copiare”). Si potrebbe anzi dire che il Corriere sia stato sin troppo buono, rinunciando a indagare – oltre a refusi, frasi interrotte e consecutio traballante – l’uso specifico del linguaggio. Per fare un solo esempio: il presidente USA Joe Biden è caratterizzato a p.115 come “sinistrorso” e “attempato” (81 anni), mentre il predecessore Donald Trump non è “destrorso” o “anziano” (pur avendo 77 anni). L’asimmetria è indicativa di una scelta di campo.
Anche questo giornale ha contribuito a spostare il discorso dallo schieramento politico ai fatti, esplorando con Otello Catalani la consistenza effettiva delle tre lauree e due master. La mancata disponibilità della tesi discussa nel 2004 a Trieste, che secondo la banca dati Thesis parlava di passato, presente e futuro delle forze speciali nelle quali all’epoca Vannacci prestava servizio, non consente purtroppo di verificare fonti e scrittura come fatto da Arcangeli per Il mondo al contrario.
Minore attenzione è stata riservata ai contenuti specifici, nei quali si rinvengono altri spunti di analisi. Altrettanto vale per il monopolio dello Stato nell’istruzione, che Vannacci attribuisce ai paesi del “socialismo reale” (p. 186). Nessun dubbio: lo facevano. Quello che è indicativo di una posizione politica è omettere che prima di loro lo fece l’Italia fascista con la riforma Gentile (1923), l’Opera Nazionale Balilla (1927), il Ministero dell’Educazione Nazionale (1929), il giuramento di fedeltà al regime per i professori (1931) e l’obbligo di tessera del PNF per tutti gli insegnanti (1933). Anche qui, è probabile che l’incompletezza indichi una scelta di campo.
Un analogo atteggiamento si rintraccia nel Pantheon degli italiani dei quali Vannacci vorrebbe avere «una goccia di sangue» (p.110). A parte svarioni come l’inserire nella lista Enea (che, come noto a chiunque abbia fatto le superiori, era un troiano giunto nella penisola in fuga dalla guerra nel proprio paese), l’elenco è puramente maschile, con omissioni significative di interi campi della cultura (la letteratura, ma anche la scienza non matematica), di genere (non ci sono neanche le italiane che hanno vinto Nobel, come Grazia Deledda o Rita Levi Montalcini) e di religione (come la Levi Montalcini, manca non solo il fisico ebreo Emilio Segré ma anche il gentile Enrico Fermi, riparato in USA per sottrarre la moglie Laura Capon alle leggi razziali antiebraiche). Compaiono, bizzarramente, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, la cui appartenenza alla massoneria (anche in salsa carbonara) e indiscussa tendenza socialista il generale dimostra più volte di non apprezzare.
La vastità del materiale assemblato, talvolta dalle pagine social degli amici (p. 355), offre una miniera inesauribile di spunti di analisi e interpretazione storica, politica e persino psicologica. La consultazione di un qualunque manuale di diritto costituzionale avrebbe evidenziato come il I emendamento della Costituzione americana (p. 282), cavallo di battaglia dei “conservatori” americani, abbia per soggetto la limitazione della libertà di culto da parte del Congresso federale ma non degli stati, che spesso hanno “Sabbath laws” che vietano – per esempio – la vendita di alcool la domenica. La stessa libertà di stampa esiste solo nel senso di divieto di censura preventiva, non di irresponsabilità assoluta, come stabilì la Corte Suprema quando il New York Times pubblicò lo studio segreto sulla guerra del Vietnam, passato alla storia come “Pentagon Papers”.
L’omissione più rivelatrice è forse quella relativa all’esclusione di Trump da Twitter (p. 2). Secondo Vannacci, si tratterebbe di censura politica ai danni del presidente americano. In realtà, Trump usò Twitter liberamente e abilmente durante le campagne elettorali del 2016 e 2020, nonché negli anni intermedi. L’esclusione giunse solo 8 gennaio 2021 in seguito all’uso della piattaforma per incitare la rivolta e l’aggressione al Congresso al fine di ribaltare la sconfitta elettorale. Quanto è azzardato invenire in questa distorsione la chiave di lettura della concezione che Vannacci ha del rapporto tra democrazia, politica e uso della violenza?