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Quando gli Stati Uniti coccolavano il Qatar (e anche un po’ Hamas)

Mosse e obiettivi del Qatar sul rilascio degli ostaggi di Hamas. E le parole dell’ambasciatore dell’Emirato negli Usa: "Fu Washington a chiederci di ospitare i leader di Hamas”

Se la mediazione del Qatar nella crisi degli ostaggi tra Israele ed Hamas dovesse avere successo, la statura e il prestigio dell’Emirato non solo nel mondo arabo potrebbe accrescersi quanto se non più sia avvenuto ospitando i Mondiali di calcio 2022. Ecco cosa sta facendo la piccola ma influente monarchia del Golfo per assicurarsi il rilascio degli ostaggi e cosa pensano negli Usa di questo ruolo.

Ore frenetiche

Axios scriveva ieri che il direttore del Mossad – il servizio di intelligence esterna di Israele – è andato in Qatar lo scorso fine settimana per incontrare alti esponenti di governo e discutere con loro degli sforzi di Doha nel tentare di assicurarsi il rilascio dei 235 ostaggi israeliani e stranieri catturati da Hamas durante l’attacco dello scorso 7 ottobre.

Non è chiaro quanto la mediazione qatarina possa rivelarsi efficace, e il gabinetto di guerra di Israele lo scorso giovedì, riporta ancora Axios, ha deciso di cominciare l’invasione di terra di Gaza anche alla luce dell’esito sinora infruttuoso di questa azione. Israele ha preso tale decisione anche perché Hamas si è rifiutata di rivelare a Israele, sempre attraverso il Qatar, la lista dei nomi di tutti gli ostaggi.

Gli emissari di Hamas avrebbero spiegato ai loro interlocutori del Qatar di non essere ancora in grado di specificare il numero di ostaggi nelle loro mani nonché la loro identità e localizzazione, giustificando chi, a Gerusalemme, ritiene che quella dei terroristi sia solo una tattica per guadagnare tempo e impedire o ritardare l’invasione di terra.

Quest’ultima tuttavia è scattata venerdì, e sia il premier israeliano Netanyahu che il suo ministro della Difesa Gallant hanno da allora dichiarato che l’obiettivo di Israele è aumentare la pressione su Hamas affinché rilasci gli ostaggi.

Ieri il gruppo ha diffuso un videomessaggio di tre donne rapite il 7 ottobre, Yelena Tropenov, Daniel Aloni and Rimon Kirsht. “Liberateci ora. Rilasciate i loro civili. Rilasciate i loro prigionieri”, urla Aloni nel filmato facendo riferimento alla richiesta di Hamas a Israele di scarcerare tutti i detenuti palestinesi. Pura “e crudele guerra psicologica” è stato il commento dell’ufficio di Netanyahu.

Il ruolo del Qatar e quello degli Usa

A sperare nel buon esito della mediazione del Qatar sono soprattutto gli Stati Uniti, che hanno 35 cittadini nelle mani di Hamas.

L’America ora è divisa tra un fronte che rivendica i buoni rapporti con la problematica monarchia del Golfo e un altro che denuncia il sostegno e la collusione del Qatar con Hamas.

L’altro ieri era stato l’ambasciatore dell’Emirato negli Usa Meshal bin Hamad Al Thani a ricordare in un articolo pubblicato dal Wall Street Journal che “fu Washington a chiederci di ospitare i leader di Hamas” e in particolare che “l’ufficio politico di Hamas in Qatar fu aperto nel 2012 su richiesta di Washington che voleva stabilire linee di comunicazione indirette” con il movimento islamista.

Difendendo il ruolo del suo Paese dai detrattori, Al Thani ha chiarito che tutti i fondi trasferiti dal Qatar alla Striscia di Gaza nel corso degli anni sono stati consegnati “in pieno coordinamento con Israele, gli Stati Uniti e le agenzie delle Nazioni Unite come il Programma alimentare mondiale e il Coordinatore speciale per il processo di pace in Medio Oriente”.

Ha quindi affermato che è “profondamente inquietante che false narrazioni sul Qatar siano emerse nei media con l’apparente intenzione di intensificare il conflitto. Queste narrazioni creano ostacoli agli sforzi di mediazione costruttivi e mirano a far deragliare i negoziati”.

La chiave

Secondo Foreign Policy sarebbe proprio il 43nne emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani “la persona che detiene la chiave della straordinaria crisi degli ostaggi in Medio Oriente”.

“La guerra tra Israele e Hamas”, scrive il magazine, “ha fornito a Thani l’opportunità di costruirsi un profilo più elevato di quello di qualunque altro leader arabo da lungo tempo”.

Si ricorda come nel 2012, mentre infuriava la guerra civile siriana che vedeva la leadership di Hamas apertamente schierata contro Assad, Doha scelse di darle ospitalità in una “decisione che fu presa in coordinamento con gli Stati Uniti e con la benedizione dell’allora presidente Barack Obama”.

Se insomma il Qatar saprà rivelarsi decisivo nella crisi degli ostaggi, la sua reputazione non solo nel mondo arabo ne guadagnerà come se non più di quanto abbia fatto con gli investimenti per ospitare i mondiali di calcio 2022.

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