skip to Main Content

Quota 100

25 Aprile e non solo, tutti gli errori dell’Anpi

Perché l'Anpi sulla Russia sbaglia. L'analisi di Giuliano Cazzola

 

Nei primi anni del dopoguerra, il generale comandante delle truppe tedesche di occupazione in Italia, Albert Kesserling, dopo essere stato graziato per motivi di salute da una condanna a vita, volle dimostrare la sua immutata fede nazista con una dichiarazione che suscitò un’ondata di sdegno: gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento. Gli rispose un grande antifascista e Padre costituente, come Piero Calamandrei , incaricato dalla città di Cuneo di dettare l’iscrizione sul monumento alla Resistenza . Calamandrei è noto per i suoi discorsi e articoli sulla Lotta di Liberazione e la Costituzione. Ma in quell’occasione superò se stesso scrivendo con parole che tutti odono frasi che nessuno aveva mai udito. Il brano si rivolgeva direttamente al ‘’camerata Kesserling’’ al quale gli italiani erano disposti a dedicare un monumento edificato con gli orrori della guerra e con l’eroismo dei partigiani. Parole che non erano solo scolpite sul marmo, ma nella memoria degli italiani. L’ultima frase costituiva un impegno preso in nome anche delle future generazioni.

‘’Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA’’

Che cosa è rimasto di un ‘’popolo serrato intorno al monumento’’ nella cultura politica dell’ANPI, l’associazione che pretende di rappresentare quel movimento unitario che contribuì, a fianco delle truppe alleate e delle formazioni armate del governo Badoglio, a liberare l’Italia e a garantire alle nuove istituzioni un posto nell’ambito delle nazioni democratiche? Da parecchio tempo è prevalsa in quell’ente morale (è questo dal 1945 il suo profilo giuridico) un atteggiamento settario che ha cercato di confinare l’antifascismo in una purezza discriminante, non solo nei confronti dei ‘’nostalgici’’ e dei loro eredi, ma anche nei confronti di forze politiche democratiche, chiamate dagli elettori a guidare il Paese, ma diverse da una certa sinistra dura e pura. Tanto che, alla fine, ogni componente, portatrice di differenti valori rispetto a quelli professati da una sinistra sempre più estrema, ha finito per costituire la propria associazione (ex) partigiana.

Ci fu un tempo, nel secondo dopoguerra, in cui l’identità dell’antifascismo fu attraversata dal muro della guerra fredda che divideva non solo l’Europa, ma i singoli Paesi e persino le famiglie. L’antifascismo rappresentava, allora, – e l’ANPI ne era il tramite – l’inclusione del Pci nel c.d. arco costituzionale. Non a caso Giorgio Bocca ricorda nella sua biografia di Palmiro Togliatti che il leader storico del Pci esibiva, nell’occhiello della giacca, soltanto il distintivo dell’ANPI. Per troppo tempo è stata lasciata al Pci, una sorta di primogenitura nella lotta di Liberazione, che coesisteva con una visione geopolitica di stampo manicheo: la causa della pace e dell’antifascismo stavano dalla parte dell’URSS, mentre la Nato era accusata di aver riciclato anche le destre nazifasciste in chiave anticomunista. Il Pci è uscito di scena due giorni dopo (Achille Occhetto alla Bolognina) il crollo del Muro di Berlino.

Nato come sezione italiana del comunismo internazionale nel 1921, non è riuscito ad avere vita autonoma – non solo in Italia e nonostante tutti i distinguo e le vie nazionali al socialismo– e si affrettò a cambiare ragione sociale, quando venne a mancare, per auto scioglimento, il PCUS. Anzi l’ex Pci (almeno nella parte allora maggioritaria) volle prendere le distanze persino dal socialismo europeo e si mescolò con altri pezzi dei vecchi partiti in un genericismo democratico, privo di ogni ideologia strutturata. L’ANPI rimase la custode degli antichi valori, racchiusi nella ridotta di un antifascismo usato come arma di lotta politica, nella logica terzo-internazionalista, secondo la quale (vedi il c.d. socialfascismo) l’avversario più insidioso è quello che è più vicine alle tue posizioni. Il Pc d’I fu fondato a Livorno nel 1921 perché il Psi – benché a guida massimalista e filosovietica – si era rifiutato di espellere i riformisti di Filippo Turati, come aveva preteso la III Internazionale di Lenin. Tornando all’ANPI, essa, dopo il 1989 e l’amnesia del Pci, si era trovata senza amici e punti di riferimento ed era stata costretta ad accontentarsi dei nemici dei nemici: quelli storici – gli Usa, la Nato, l’Occidente, le democrazie liberali – erano ancora in campo ed avevano esteso la loro zona di influenza di per sé ritenuta aggressiva. Al Cremlino stava un satrapo, incollato al potere, il quale, dopo effettuato qualche giro di valzer con la Nato, ne era diventato ‘’rivale geopolitico’’.

E’ in questa logica che i presunti eredi della Resistenza al nazifascismo, non si sono accorti – dopo l’aggressione russa dell’Ucraina – che il disegno di Putin era animato dagli stessi obiettivi (il nazionalismo, l’espansionismo alla ricerca di uno ‘’spazio vitale’’, l’abuso della forza e quant’altro) che avevano portato Hitler a provocare la seconda guerra mondiale. Non si sono accorti che il mancato sostegno a chi resiste all’invasore (e rifiuta di arrendersi, come se fosse sua responsabilità ‘’salvare la pace’’, messa in pericolo dall’aggressore) significava anche una critica, ora per allora, non solo all’Inghilterra di Winston Churchill che non si piegò mai al nazismo benché, nel 1940, la sua fosse una situazione disperata) ma anche all’Urss di Stalin, che, grazie alle forniture di armi americane, fermò l’avanzata tedesca a Stalingrado dove iniziò la riscossa che portò l’Armata rossa fino a Berlino, pagando un tributo di 20milioni di morti. Ma c’è un’altra pagina di storia che è stata dimenticata, nei commenti sulla guerra in corso. La resistenza al nazifascismo, in Italia, in Francia e in altri Paesi europei (in Boemia venne eliminato persino il boia Reinhard Heydrich, nel 1942) non iniziò nel 1943, ma nel 1936 in Spagna, quando un golpe militare, appoggiato da Mussolini e Hitler tentò di rovesciare la Repubblica.

Ne scaturì una terribile guerra civile che durò fino al 1939, appena in tempo perché avesse inizio il secondo conflitto mondiale. In difesa della Repubblica arrivarono in Spagna antifascisti dall’Europa e dagli Usa (il battaglione Lincoln), dando vita alle Brigate internazionali (50mila uomini e donne che combatterono nelle principali battaglie a partire dalla difesa di Madrid). Vi erano anche molti italiani, consapevoli di quanto sostenevano Carlo e Nello Rosselli: ‘’oggi in Spagna, domani in Italia’’. Nell’inno delle Brigate internazionali erano contenute queste parole: ‘’Noi nati in terra straniera …. non abbiamo perduto la patria. Oggi la nostra patria è davanti a Madrid’’. Ecco perché è giusto armare l’Ucraina. Oggi la nostra patria è a Mariupol, come ieri era a Madrid, a Guernica (dove venne sperimentata dai tedeschi la guerra aerea contro le popolazioni civili), a Londra, a Coventry, a Stalingrado, nel Ghetto di Varsavia, a Marzabotto; poi a Saigon, a Santiago del Cile (dove ancora una volta la forza prevalse sulla ragione). E in tutti i luoghi in cui vi fu come scrisse Calamandrei sul monumento di Cuneo:

‘’Un patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo’’.

Il medesimo concetto ribadito dal presidente Sergio Mattarella: ‘’Dal “nostro” 25 aprile, nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul nostro territorio viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza’’.

Back To Top