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Droni Iraniani

Perché gli Stati Uniti non possono produrre più petrolio?

Gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di petrolio al mondo, eppure stanno cercando l'aiuto del Venezuela per compensare il calo dei barili russi. Perché?

 

Con 11,1 milioni di barili al giorno nel 2021, gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di petrolio al mondo. Forte di questo status di superpotenza energetica, che riduce la dipendenza americana dall’estero, martedì il presidente Joe Biden ha annunciato il divieto di importazione di petrolio dalla Russia, come ritorsione per l’invasione dell’Ucraina.

LE CONSEGUENZE SU PETROLIO E BENZINA

La decisione si ripercuoterà sui prezzi internazionali del greggio, che sono sui 130 dollari al barile, ma anche su quelli domestici della benzina: il costo del carburante negli Stati Uniti è di 4,17 dollari al gallone, sopra il record toccato nella crisi finanziaria del 2008.

LE IMPORTAZIONI DEGLI STATI UNITI

Pur essendone i primi produttori, gli Stati Uniti non sono un sistema chiuso e continuano a importare greggio dall’estero per le proprie raffinerie: lo utilizzano come materia prima per le raffinerie sulla costa del Golfo, che sono progettate per processarne di varietà pesanti, viscose. Lo acquistano principalmente dal Canada, per il 61 per cento, e dal Messico, per l’11 per cento; segue l’Arabia Saudita con l’8 per cento. La Russia è un fornitore più rilevante di prodotti petroliferi, ma comunque marginale nel complesso (7 per cento in tutto).

Il petrolio estratto in America – si chiama shale oil o tight oil e lo si ottiene dalla perforazione delle rocce di scisto – è principalmente di qualità leggera. Ne esistono delle varietà “acide”, utilizzate nelle raffinerie sul Golfo, come il Mars.

RAFFINARE TUTTO

Gli Stati Uniti raffinano praticamente tutto il greggio che producono o importano, trasformandolo in benzina e combustibili vari. Nel 2020 (ma il dato, basso, è viziato dalla crisi pandemica) hanno consumato in media 18,1 milioni di barili di petrolio al mondo.

LE ESPORTAZIONI

Pur essendone i primi produttori di petrolio – lo sono diventati di recente, nel 2018 -, gli Stati Uniti non ne sono i maggiori esportatori: questo primato va all’Arabia Saudita, seguita dalla Russia. Secondo le previsioni di Platts Analytics, nel 2022 gli Stati Uniti esporteranno 3 milioni di barili di greggio al giorno, contro i 2,9 del 2021. La Russia esporta 4,5 milioni di barili di greggio e 2,5 milioni di barili di prodotti petroliferi al giorno.

L’AMMINISTRAZIONE BIDEN È ALLA RICERCA DI PETROLIO

Pur essendone i primi produttori, gli Stati Uniti non sono in grado, da soli, di sostituire i volumi di petrolio russo banditi dal mercato – anche il Regno Unito e l’Unione europea vogliono distaccarsene, con tempi diversi da quelli americani – e garantire una quantità rassicurante di barili a livello internazionale.

Già ben prima della guerra in Ucraina e dell’annuncio di Biden, peraltro, il mercato petrolifero era ristretto (l’offerta era cioè bassa, rispetto alla domanda) e i prezzi tendevano verso l’alto.

L’amministrazione Biden ha avviato dei colloqui con il regime di Nicolás Maduro, in Venezuela, per valutare la possibilità di un incremento della produzione di petrolio. Ma l’industria estrattiva del paese è sotto sanzioni e in cattive condizioni, e ha bisogno di macchinari e investimenti per riattivarsi: la capacità di output arriverebbe a 900mila barili al giorno, e sembra difficile che possa spingersi troppo oltre.

Sempre nell’ottica di compensare la perdita dei barili russi, pare che Biden possa recarsi in Arabia Saudita per ottenerne la collaborazione alla stabilizzazione del mercato. Il contributo, se ci sarà, non sarà risolutivo: Riad potrà offrire al massimo 1 milione di barili al giorno in più nel giro di qualche mese.

La rimozione delle sanzioni all’Iran, altra possibilità ventilata, porterebbe mezzo milione di barili al giorno nell’arco di sei mesi: troppo poco e troppo tardi.

PERCHÉ GLI STATI UNITI NON PRODUCONO DI PIÙ?

Insomma, non ci sono abbastanza barili per rimpiazzare subito i 7 milioni giornalieri della Russia. Nella lista dei potenziali contribuenti esaminati, però, manca un nome importante: gli Stati Uniti. Perché non sono loro stessi a produrre più petrolio?

Per capire le ragioni, bisogna innanzitutto tenere conto di una cosa: negli Stati Uniti la volontà politica non può imporsi completamente sull’iniziativa privata. E le aziende private del settore sembrano restìe a investire in nuova capacità produttiva (capacità che, comunque, crescerà: nel 2022 l’aumento dell’output dovrebbe essere di 1 milione di barili al giorno). Le ragioni dietro a questa resistenza sono diverse.

Il primo motivo è politico. Tra l’industria dello shale e la Casa Bianca non corre buon sangue: Biden ha puntato tutto sulla transizione energetica, che implica un distacco dai combustibili fossili. I petrolieri, dunque, chiedono garanzie governative di lungo termine: non vogliono spendere oggi per aumentare la produzione senza la sicurezza di raccogliere, domani, i frutti dell’investimento perché l’energia pulita ha tolto spazio agli idrocarburi. L’amministrazione Biden insiste sul fatto che ci sono già novemila permessi di trivellazione autorizzati, e che prima di rilasciarne di nuovi bisogna sfruttare quelli.

Il secondo è finanziario. Dopo la crisi del 2020 e il crollo del prezzo del petrolio, le società di shale si stanno concentrando più sulla disciplina fiscale e sui ritorni agli azionisti che sugli investimenti in nuove perforazioni. Anche perché le materie prime – come la sabbia, utile al processo di fratturazione delle rocce – si sono fatte più care. Alcune aziende stanno inoltre riscontrando difficoltà a ottenere finanziamenti dalle banche.

IL RUOLO DI EOG E DEVON

Secondo un’analisi di Bloomberg, la maggior parte dei permessi di trivellazione nel bacino Permiano, il grande cuore dell’industria petrolifera statunitense, sono in mano a due società: EOG e Devon. Né l’una né l’altra, però, ha intenzione di aumentare significativamente la produzione.

Oltre ai motivi prima visti, potrebbero essercene un altro dietro a tanta cautela. La metà dei permessi di sfruttamento nel Permiano non utilizzati si trova nelle contee di Lea e di Eddy, nello stato del New Mexico. In generale il petrolio estratto in queste zone tende a rilasciare quantità particolarmente elevate di acqua e gas naturale, e le regole per lo smaltimento nel New Mexico sono più stringenti che nel vicino Texas.

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