Martedì 8 marzo il presidente americano Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per vietare l’importazione di petrolio, gas liquefatto e carbone russo negli Stati Uniti. La mossa ha l’obiettivo di danneggiare il regime del presidente russo Vladimir Putin, che ha invaso l’Ucraina e ne sta bombardando le città, privandolo della fonte di entrate più importante.
IL COMMERCIO DI PETROLIO STATI UNITI-RUSSIA
Gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di petrolio e gas naturale al mondo. Il greggio che acquistano dall’estero per alimentare le proprie raffinerie arriva dal Canada (61 per cento) e dal Messico (11 per cento). Dalla Russia importano sia greggio che prodotti petroliferi ma la quota del paese è bassa, del 7 per cento. In altre parole, Washington non dipende da Mosca per i combustibili fossili.
L’ANNUNCIO DEL REGNO UNITO
Martedì anche il Regno Unito ha annunciato il divieto di importazione del greggio e dei prodotti petroliferi russi in maniera graduale: gli acquisti verranno azzerati entro la fine del 2022. A differenza di Washington, Londra non ha messo al bando il gas russo, pur facendo sapere di stare valutando la possibilità.
L’approccio del Regno Unito è più prudente di quello americano perché la loro situazione energetica interna è diversa: non sono una superpotenza degli idrocarburi come gli Stati Uniti. Nemmeno i britannici, tuttavia, importano grandissime quantità di greggio russo (nel 2020 valeva l’8 per cento degli acquisti dall’estero) e di gas (rappresenta il 4 per cento delle forniture del paese).
COSA FARÀ L’UNIONE EUROPEA
Sempre ieri, anche l’Unione europea ha preso una decisione sui rapporti energetici con la Russia ma ancora diversa: ha presentato un piano per rendersi indipendente dai combustibili fossili russi entro il 2030. “Non possiamo fare affidamento su un fornitore che ci minaccia esplicitamente”, ha detto la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. La presa di coscienza è arrivata con l’inizio della guerra, ma la Russia si era già dimostrata un fornitore poco affidabile, che utilizza la limitazione delle forniture di gas come strumento di pressione politica.
La proposta di Bruxelles per l’indipendenza dal petrolio, dal gas e dal carbone russi dovrà ancora essere discussa tra gli stati membri. Realizzarla sarà estremamente difficile. Non soltanto, infatti, l’Unione europea non è una grande produttrice di idrocarburi (a differenza degli Stati Uniti), ma è anche parecchio dipendente dalla Russia (a differenza del Regno Unito). Il gas russo vale circa il 40 per cento del totale importato; il petrolio circa il 30 per cento; il carbone circa il 50 per cento.
L’obiettivo immediato di Bruxelles, come spiegato dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, è ridurre di due terzi le importazioni di gas russo entro l’anno. Per farlo, considerata la limitata disponibilità di gas sul mercato mondiale (lo ha ammesso il Qatar, importante esportatore di gas liquefatto), bisognerà aumentare le installazioni di impianti di energia rinnovabile. In questo modo, le fonti rinnovabili potranno venire utilizzate per la produzione di elettricità, permettendo un risparmio del consumo di gas.
Perfino più complessa è la proposta di riempire gli stoccaggi di gas al 90 per cento della loro capacità: il prezzo del gas sul mercato europeo è altissimo (ha toccato il record di 345 euro al megawattora, l’equivalente di 600 dollari al barile), e non è chiaro come sostituire i volumi russi.
L’AUMENTO DEL PREZZO DEL PETROLIO
A prescindere dal grado di vulnerabilità, lo stop agli acquisti di petrolio russo danneggerà tutti, compresi gli Stati Uniti. Nel paese i prezzi della benzina hanno raggiunto il record di 4,17 dollari al gallone, sopra il massimo toccato nella crisi finanziaria del 2008. Il costo del greggio, poi, potrebbe crescere fino a 200 dollari al barile, perché l’espulsione dal mercato della Russia (ne esporta 7 milioni di barili al giorno) ne limiterà la disponibilità internazionale e nessun singolo produttore è in grado di coprire il buco nell’immediato.
Il rischio per l’economia globale è di una stagflazione, ovvero una combinazione di inflazione alta (per il rincaro delle materie prime e dei trasporti) e di stagnazione (per la scarsa crescita e l’elevato tasso di disoccupazione).