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Inflazione Biden

Petrolio, ecco come si muove Biden fra Putin, Maduro e non solo

Gli Stati Uniti stanno valutando il divieto di importazione di petrolio dalla Russia, anche senza la collaborazione dell'Europa. Hanno avviato contatti con il Venezuela e Biden potrebbe recarsi in Arabia Saudita. Tutti i dettagli

 

Stando alle fonti di Reuters, sembra che gli Stati Uniti abbiano intenzione di procedere da soli con il divieto di importazione di petrolio dalla Russia. La mossa, ennesima ritorsione contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina, dovrebbe avere un impatto molto pesante sull’economia russa, che si regge proprio sulla vendita di idrocarburi all’estero.

DIALOGO CON L’EUROPA

Lunedì il presidente americano Joe Biden si è riunito in videoconferenza con i leader di Francia, Germania e Regno Unito per coinvolgere i principali alleati europei nel ban al greggio russo. Pare però – stando alle dichiarazioni anonime raccolte da Reuters – che l’allineamento non ci sarà, anche se solo pochi giorni fa lo scenario appariva diverso.

Il Vecchio continente potrebbe accettare un blocco degli acquisti di prodotti petroliferi da Mosca, ma difficilmente di greggio.

UNA QUESTIONE DI DIPENDENZA

A dividere gli Stati Uniti e l’Europa sono le quote di dipendenza dal petrolio russo: per Washington vale il 7 per cento delle importazioni (il paese, inoltre, è il maggiore produttore di petrolio al mondo); per le principali economie europee, collettivamente, circa il 40 per cento.

La Germania, in particolare, è il paese europeo che ne acquista di più, oltre il 30 per cento. Seguono la Francia e l’Italia, entrambe sopra il 10 per cento. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è detto contrario al divieto di importazione di greggio dalla Russia per via dell’impossibilità di sostituirlo in tempi rapidi, pur riconoscendo la necessità di accelerare nell’utilizzo di fonti energetiche alternative.

IL PREZZO DEL PETROLIO

La possibilità che gli Stati Uniti mettano al bando il petrolio russo – e quella, sembrerebbe remota, che gli europei facciano lo stesso – ha fatto crescere i prezzi del greggio fino ai livelli massimi dal 2008. Il contratto di riferimento internazionale e quello americano, ovvero il Brent e il WTI, sono rispettivamente vicini ai 140 e ai 130 dollari al barile. Non si esclude l’arrivo a 200 dollari.

Il mercato petrolifero era peraltro già nervoso per via dello sbilanciamento tra la domanda e l’offerta causato dalla pandemia, con l’OPEC+ (il cartello dei produttori guidato da Arabia Saudita e Russia) che sta limitando le forniture da tempo.

LE CONSEGUENZE

Anche se gli Stati Uniti importano greggio dalla Russia in quantità ridotte, l’embargo li colpirebbe comunque: l’aumento dei prezzi dei barili, conseguenza della loro minore disponibilità globale, si rifletterà sul costo della benzina. Che è già molto cara, a 4 dollari al gallone, il valore più alto dal 2008, aggravando il contesto di inflazione alta e minacciando la ripresa dell’economia dalla crisi pandemica.

BIDEN IN ARABIA SAUDITA?

Non è detto che gli Stati Uniti vieteranno unilateralmente le importazioni di greggio russo, ma l’amministrazione Biden non ha nemmeno escluso la possibilità. Così come non ha smentito un’ipotetica visita del presidente in Arabia Saudita per incontrare il re Salman e ottenere la collaborazione di Riad alla stabilizzazione del mercato petrolifero attraverso un aumento dell’offerta: è praticamente l’unico produttore in grado di aumentare considerevolmente l’output e in tempi relativamente brevi.

Bisognerà tuttavia vedere se sarà disposto a farlo. A giudicare dal passato – Washington ha più volte fatto pressioni sull’OPEC+ per ottenere un incremento della produzione di petrolio -, forse no. I rapporti politici tra americani e sauditi, inoltre, non sono ottimi e la cosa potrebbe complicare le eventuali trattative.

COSA (NON) PUÒ FARE IL VENEZUELA

Ieri il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha definito “rispettoso” e “cordiale” l’incontro con la delegazione americana nel fine settimana, dicendosi disposto ad aumentare la produzione petrolifera nazionale per compensare un’eventuale espulsione del greggio russo dal mercato e mitigare l’impennata dei prezzi.

È una possibilità di cui si sta discutendo molto, ma di difficile realizzazione. Caracas, intanto, è alleata di Mosca. La sua industria petrolifera, poi, è sotto sanzioni americane (vennero imposte con l’obiettivo di indebolire il regime di Maduro, accusato di brogli elettorali), e un loro allentamento è contestato da alcuni membri del Congresso americano. Tra i critici figura innanzitutto il senatore repubblicano Marco Rubio, molto influente sulle questioni venezuelane, ma anche il democratico Robert Menendez è contrario: ha definito Maduro “un cancro del nostro emisfero”, invitando Washington a “non infondere nuova vita nel suo regno di torture e omicidi”.

Al di là delle difficoltà politiche, ci sono dei problemi tecnici che non permetteranno al Venezuela di supplire alla carenza di greggio russo con i suoi barili: sui campi petroliferi venezuelani gravano anni di malagestione e scarsi investimenti; la riattivazione della produzione sarà, dunque, lenta e insufficiente. Lo stesso discorso può essere fatto per l’Iran.

PERCHÉ GLI STATI UNITI HANNO CONTATTATO PROPRIO IL VENEZUELA?

Non è ovviamente un caso che l’America si sia rivolta proprio al Venezuela. C’è un motivo ben preciso: le raffinerie americane sulla costa del Golfo sono progettate per lavorare petrolio di tipo pesante: lo importano dal Canada (in grandissima parte) e dal Messico, e in misura minore dalla Russia. Il greggio venezuelano è, appunto, di qualità pesante.

SOSTITUIRE LA RUSSIA È IMPOSSIBILE

Nessun paese, da solo, sarà in grado di rimpiazzare i volumi di petrolio russo nell’immediato. La Russia esporta circa 7 milioni di barili di greggio e prodotti petroliferi al giorno, ovvero il 7 per cento dell’offerta globale. Di questi, il 60 per cento si dirige in Europa.

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