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Regno Unito

Cosa (non) farà il Regno Unito per aiutare l’industria verde

Il Regno Unito non vuole partecipare alla corsa ai sussidi per l'industria verde assieme a Usa e Ue. C'entrano ragioni ideologiche e di bilancio, ma anche il fatto che il paese "non ha niente da sussidiare": non possiede una grossa capacità manifatturiera di tecnologie pulite. Tutti i dettagli (e le lamentele degli industriali).

Con i suoi 369 miliardi di dollari in crediti d’imposta e incentivi vari alle energie pulite, l’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti ha messo in allarme l’Europa. La Commissione europea, spaventata dalla possibilità di restare indietro nella corsa industriale associata alla transizione ecologica, ha presentato mercoledì un piano di risposta, il Green Deal Industrial Plan, che non stanzia nuovi finanziamenti ma prevede un allentamento della normativa sugli aiuti di stato alle imprese.

IL REGNO UNITO RIFIUTA I SUSSIDI

Fuori dall’Unione, il Regno Unito ha scelto invece un approccio diverso: niente sussidi, ma rilancio del libero mercato contro il “pericoloso” protezionismo dell’Inflation Reduction Act.

In un’intervista a Bloomberg, il cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente britannico del ministro delle Finanze) Jeremy Hunt e il segretario agli Affari economici Grant Shapps hanno detto di non credere che i sussidi siano la giusta soluzione al problema della riduzione delle emissioni di gas serra, che richiede lo sviluppo di tante nuove tecnologie (come la cattura del carbonio, gli elettrolizzatori per l’idrogeno verde e processi meno emissivi per la produzione dell’acciaio, ad esempio).

LA VERITÀ: IL REGNO UNITO “NON HA NIENTE DA SUSSIDIARE”

Matthew Agarwala, economista presso l’Università di Cambridge, ha dato però una spiegazione diversa. A Bloomberg ha detto che il governo britannico non ha intenzione di rispondere ai sussidi statunitensi ed europei all’industria verde perché “non ha niente da sussidiare”.

Il paese, in altre parole, non ha sviluppato una solida base manifatturiera per le tecnologie pulite, e dunque non ha bisogno di sostenerla. Il rischio, però, è di mancare la rivoluzione industriale della sostenibilità: gli Stati Uniti vogliono recuperare capacità produttiva rispetto alla Cina – che è molto avanti sui pannelli solari e le batterie, in particolare -, ma anche l’Unione europea e l’India vogliono diventare dei grossi poli manifatturieri.

Il Regno Unito, invece, “non sembra voler costruire una propria industria rivale”, scrive Bloomberg. O forse non può: Jeremy Hunt ha ammesso che non ci sono risorse da impiegare in crediti d’imposta o sussidi.

TANTI PROGETTI RINNOVABILI, MA POCA CAPACITÀ INDUSTRIALE

Il Regno Unito è particolarmente avanti nelle installazioni di progetti di energia rinnovabile: genera il 38 per cento della sua elettricità da queste fonti e possiede, ad esempio, alcuni dei parchi eolici offshore (in mare) più grandi al mondo. Importa però dall’estero gran parte delle tecnologie necessarie a questi impianti. Le turbine eoliche sono realizzate da aziende come Vestas, danese, e General Electric, statunitense; i pannelli fotovoltaici, invece, arrivano dalla Cina.

Le principali aziende britanniche che producono tecnologie pulite sono Britishvolt, che si occupa di batterie ma ha dichiarato bancarotta a gennaio, e ITM Power, che realizza elettrolizzatori per l’idrogeno ma fatica ad aumentare l’output e ha emesso diversi profit warning. In tutto il Regno Unito sono solo 210.000 le persone che lavorano nelle industrie verdi; oltre centomila di questi, peraltro, si occupano di efficientamento energetico (soprattutto infissi e interventi di isolamento termico).

In sostanza, il Regno Unito non si sente minacciato né dall’Inflation Reduction Act americano né dal piano europeo perché non ha grosse imprese produttrici di turbine, dispositivi solari o batterie da proteggere. Se anche il governo avesse margine di bilancio per intervenire, ha detto l’economista Matthew Agarwala, “non avremmo niente da sussidiare, visto che non abbiamo alcuna manifattura verde”.

Secondo Agarwala, comunque, in assenza di un sostegno pubblico i produttori britannici di automobili e di acciaio potrebbero decidere di spostare i loro investimenti negli Stati Uniti o nell’Unione europea.

LA RISPOSTA DEL REGNO UNITO

Pare che il governo del Regno Unito stia valutando un finanziamento statale da 600 milioni di sterline all’industria siderurgica nazionale, e un qualche tipo di aiuti per Britishvolt e per lo sviluppo di tecnologie per la cattura del carbonio, l’idrogeno, i biocarburanti e la fusione nucleare. Gli eventuali fondi, comunque, non avranno le dimensioni dei piani di Washington e di Bruxelles.

Secondo il cancelliere Hunt, più che i sussidi e il protezionismo, “quello che la gente vuole è creatività, innovazione, idee, un clima e una struttura normativa che incoraggi gli investimenti”.

LE RICHIESTE DEGLI INDUSTRIALI AL GOVERNO

Le associazioni industriali britanniche chiedono però al governo un aumento degli incentivi allo sviluppo delle tecnologie verdi emergenti – come la cattura della CO2, l’idrogeno e l’eolico galleggiante -, per le quali non esistono ancora aziende dominanti a livello internazionale.

All’amministrazione di Rishi Sunak non piace tuttavia l’idea di un massiccio intervento statale nell’economia.

Secondo Nick Cooper, amministratore delegato di Storegga, società che si occupa di cattura e stoccaggio del carbonio, negli ultimi dodici mesi il Regno Unito è diventato “una destinazione di investimento meno attraente”: la stessa Storegga guarda agli Stati Uniti.

Sull’idrogeno, similmente, Clare Jackson del gruppo commerciale Hydrogen UK pensa che il Regno Unito stia perdendo terreno.

Quanto alle batterie, David Bott dell’associazione Society of Chemical Industry dice che le aziende chimiche che riforniscono i produttori di batterie preferiscono puntare sulla Germania. “Negli ultimi dodici anni”, ha dichiarato al Financial Times, “il governo [britannico] ha detto di non volere una strategia industriale, guidato dalle sue convinzioni sul libero mercato, [ma] il resto del mondo non sta giocando a questo gioco”.

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