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Algeria

La Tunisia ostacolerà il piano Mattei di Meloni?

Il governo Meloni punta sull'Algeria per realizzare il "piano Mattei". Ma la Tunisia, per la quale passa il tubo che porta il gas algerino all'Italia e all'Europa, teme di finire marginalizzata. Ecco perché.

 

L’Algeria è il perno del “piano Mattei”, il progetto del governo di Giorgia Meloni per trasformare l’Italia in un “hub del gas“, ovvero in un centro di ri-esportazione verso l’Europa settentrionale del gas naturale precedentemente importato dal Mediterraneo. Ma per Roma sono già sorti dei problemi: la Tunisia, vicina dell’Algeria e fondamentale terra di passaggio per le forniture di gas che raggiungono la nostra penisola, vuole evitare di essere messa ai margini.

UN’IDEA VECCHIA DI DECENNI

Come ha ricordato Arturo Varvelli, a capo dell’ufficio romano dell’European Council on Foreign Relations, l’idea di trasformare l’Italia in un polo dell’energia fossile risale agli anni Novanta con l’entrata in funzione del TransMed, il gasdotto che collega l’Algeria all’Italia, passando per la Tunisia. La visione ha continuato a svilupparsi nel decennio successivo grazie al Greenstream (la tubatura tra la Libia e la Sicilia) e al TAP (la condotta che trasporta il gas azero in Puglia), ma ha anche subìto delle battute d’arresto, ad esempio con la mancata realizzazione del Galsi, l’ipotetico tubo tra Algeria, Sardegna e Nord Italia.

Se il piano per l’hub del gas non si è tradotto in realtà è stato per via di una combinazione di fattori economici (la concorrenza dell’abbondante shale statunitense ha ridotto la profittabilità degli investimenti nel Mediterraneo) e politici (l’instabilità nordafricana successiva alla “primavera araba” del 2011; il maggiore affidamento energetico europeo alla Russia con il progetto Nord Stream 2).

DIFFICOLTÀ TECNICHE E RISCHI POLITICI DEL “PIANO MATTEI”

Oggi, tuttavia, proprio il distacco da Mosca e la conseguente necessità di trovare forniture alternative di combustibile hanno ridato vigore alle ambizioni italiane, nella forma del “piano Mattei” del governo Meloni. Un piano che però, come scrive Varvelli, “deve affrontare diversi ostacoli significativi e legittimi”, a cominciare dall’allineamento ai piani europei di medio termine per la transizione energetica: di gas c’è un grande bisogno oggi, ma al 2030 i suoi consumi dovrebbero ridursi del 30 per cento per effetto dell’espansione delle fonti rinnovabili nel mix elettrico.

L’Italia, inoltre, dovrebbe elaborare un’ampia e robusta politica estera per la regione del Mediterraneo allargato, anche per evitare di ricreare una dipendenza energetica da governi potenzialmente inaffidabili e ostili (l’Algeria è particolarmente problematica in questo senso, visti i suoi stretti legami con la Russia).

LA TUNISIA PESTA I PIEDI PER L’ACCORDO ITALIA-ALGERIA

La possibilità, evocata dalla stessa Meloni il mese scorso, di un nuovo (e diretto) gasdotto tra l’Algeria e l’Italia, dedicato anche al trasporto di idrogeno, non piace alla Tunisia.

Il TransMed – parte ad Hassi R’Mel, in Algeria, e approda a Mazara del Vallo – passa infatti per il territorio tunisino, che ne guadagna in diritti di transito: ammontano al 5,25 per cento del valore del gas trasportato, e vengono pagati da Eni (co-proprietaria della tubatura assieme alla società statale algerina Sonatrach) in forma di denaro o di gas, ha scritto il quotidiano Domani.

Essendo il TransMed l’unica infrastruttura che permette al gas algerino di raggiungere l’Italia (e l’Europa), la Tunisia potrebbe teoricamente decidere di “chiudere una valvola per azzerare i flussi” e causare perdite enormi sia all’Algeria che all’Eni. Difficilmente lo farà, essendo essa stessa dipendente dal combustibile algerino per soddisfare il proprio fabbisogno; ciononostante, aggirarla con un gasdotto diretto potrebbe rivelarsi politicamente conveniente tanto per Algeri quanto per Roma: la seconda ne guadagnerebbe in sicurezza degli approvvigionamenti, mentre la prima vedrebbe accrescere la propria rilevanza energetica.

IL PROBLEMA DI MAJEL BEL ABBÈS

Il TransMed attraversa circa 400 chilometri di territorio tunisino, nella provincia occidentale di Majel Bel Abbès. Nonostante i flussi di gas, l’area è una delle più povere della Tunisia. Già a fine 2020 gli abitanti avevano fatto irruzione nella centrale di compressione gestita da Sergaz (società controllata da Eni) “per chiedere che una parte dei profitti di Sergaz sia destinata allo sviluppo del territorio”, racconta Domani; la protesta venne repressa con la forza dalle autorità tunisine, pare dietro pressione italiana e algerina.

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