La settimana scorsa il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato un investimento da 94,1 milioni di dollari in E-VAC Magnetics, azienda americana che produce leghe magnetiche, per finanziare la costruzione di un grande impianto di magneti in terre rare.
L’IMPORTANZA DEI MAGNETI IN TERRE RARE E IL RUOLO DELLA CINA
I magneti in terre rare sono una tecnologia critica e sensibile per la sicurezza nazionale perché – al di là dell’utilizzo nei veicoli elettrici, nelle turbine eoliche e nell’elettronica di consumo – sono presenti nei caccia F-35, nei missili Javelin e in altri armamenti.
La produzione di magneti in terre rare è dominata dalla Cina, che vale circa il 90 per cento del totale globale e inoltre concentra nelle sue mani grossomodo l’80 per cento della capacità di raffinazione di questi elementi, indispensabile per il loro uso industriale. I magneti in terre rare contengono principalmente neodimio e praseodimio.
Washington vorrebbe ridurre la dipendenza commerciale da Pechino per le terre rare in modo da tutelarsi da eventuali utilizzi geopolitici delle forniture (in gergo, weaponization; limitazioni o interruzioni delle esportazioni, nel concreto). L’amministrazione di Joe Biden, dunque, sta puntando molto sulla costruzione di una filiera industriale nazionale dei metalli critici per l’energia e la difesa; il problema è che l’azienda finanziata dal Pentagono è molto legata alla Cina.
UN PASSO INDIETRO: PERCHÉ L’INVESTIMENTO DEL PENTAGONO È IMPORTANTE
Jack Lifton, presidente del Critical Minerals Institute, un’organizzazione canadese rivolta agli operatori del settore dei minerali critici, ha definito l’investimento del Pentagono in E-VAC “il primo annuncio significativo di una fabbrica di magneti permanenti con terre rare su larga scala in Nordamerica da quando Magnequench fu venduta e trasferita in Cina quasi venticinque anni fa”.
La Magnequench a cui fa riferimento Lifton è una grossa azienda di magneti al neodimio che, in origine associata a General Motors, possedeva un tempo delle fabbriche negli Stati Uniti. Queste strutture vennero tuttavia chiuse – il caso di Valparaiso, nell’Indiana, nel 2006 fece clamore – a seguito dell’acquisizione da parte di Sextant Group, società d’investimento guidata da Archibald Cox ma controllata di fatto da due gruppi cinesi vicini al governo di Pechino: San Huan New Material e China National Non-Ferrous Metals Import and Export Corporation. La nuova proprietà di Magnequench decise il trasferimento delle catene di assemblaggio in Cina.
IL PROBLEMA CINESE DI E-VAC
L’investimento del ministero della Difesa punta a costruire negli Stati Uniti “una filiera integrata e domestica delle terre rare, dal minerale al magnete”. Lo stabilimento di E-VAC dovrebbe avviare la produzione su larga scala nel 2025. Il problema, come si accennava, è che l’azienda è esposta alla Cina e dunque potrebbe non garantire agli Stati Uniti quell’autonomia da Pechino che stanno ricercando.
E-VAC, infatti, appartiene a Vacuumschmelze, una grossa e storica società tedesca che si occupa di materiali magnetici: è la più grande azienda produttrice di magneti in terre rare di tutto l’Occidente. Come ha scritto Quartz, un dipendente su quattro di Vacuumschmelze si trova in Cina, dove la società possiede delle fabbriche. Vacuumschmelze, inoltre, è azionista di minoranza di Zhongke Sanhuan, la più grossa azienda cinese produttrice di magneti in terre rare.
Zhongke Sanhuan, a sua volta, è vicina al governo cinese perché il suo azionista di controllo è l’Accademia cinese delle scienze, un’istituzione pubblica che fa capo al Consiglio di stato, il più importante organo amministrativo della Cina. Nel 2005 Zhongke Sanhuan ha formato una joint venture con Vacuumschmelze che viene considerata – scrive Quartz, citando degli analisti industriali cinesi – “un’opportunità per imparare dal veterano tedesco e spingere Zhongke Sanhuan in una posizione competitiva a livello internazionale”.
COMPETERE CON LA CINA SUI MAGNETI
In aggiunta all’esposizione, c’è poi un problema di competitività rispetto alla Cina. La Cina possiede un quasi-monopolio sulla filiera delle terre rare, specialmente nel segmento della raffinazione (il più cruciale), che le permette di produrre magneti a costi molto più competitivi rispetto alla concorrenza occidentale. Inoltre, i macchinari cinesi per la manifattura di magneti costano da un terzo alla metà rispetto a quelli americani ed europei.