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Stati Uniti Cina

Tutte le promesse di Biden sul Gnl Usa all’Europa

Biden ha detto che le aziende americane potrebbero dirottare in Europa il Gnl destinato al Giappone. È un piano già sperimentato nei mesi scorsi, ma non è detto che possa funzionare. Ecco perché. Fatti, numeri e approfondimenti

 

Ieri il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel commentare la richiesta al Congresso di approvare un nuovo piano di aiuti (soprattutto militari) all’Ucraina da 33 miliardi di dollari, ha rilasciato alcune dichiarazioni sui rapporti energetici tra l’Unione europea e la Russia, sua principale fornitrice di gas.

BIDEN: LA RUSSIA USA L’ENERGIA COME UN’ARMA

Riferendosi alle minacce di Mosca di interrompere i flussi di combustibile all’Europa (li ha già bloccati a Polonia e Bulgaria), Biden ha ripetuto una classica posizione americana: cioè che la Russia non è una partner affidabile e che utilizza l’energia come un’arma, per mettere pressione ai suoi clienti e ottenere dei vantaggi politici (ad esempio la rapida autorizzazione del gasdotto Nord Stream 2 con la Germania).

“Queste azioni”, ha detto, “dimostrano che l’energia non è solo una materia prima che la Russia vende per aiutare a soddisfare le necessità degli altri paesi, ma un’arma che userà per schierarsi contro coloro che si oppongono alla sua aggressione”. Bruxelles, infatti, sta pensando di imporre un divieto alle importazioni energetiche da Mosca (finora si è limitata al carbone), ma diversi paesi membri dell’Unione sono contrari per via dell’estrema dipendenza dal gas russo, impossibile da sostituire interamente nell’immediato.

LA PROMESSA DI BIDEN SUL GNL AMERICANO

In un passaggio successivo, Biden afferma che gli Stati Uniti “stanno lavorando con altre nazioni – come la Corea [del sud, ndr], il Giappone, il Qatar e altre – per sostenere il nostro sforzo per aiutare gli alleati europei minacciati dalla Russia” e provvedere al loro fabbisogno energetico in caso di interruzione delle forniture.

Quando, a fine marzo, gli Stati Uniti avevano raggiunto un accordo con l’Unione europea per fornirle 15 miliardi di metri cubi di gas liquefatto (GNL) nel 2022, avevano appunto menzionato generici “partner internazionali” che li avrebbero aiutati a onorare il patto. Pur essendone i maggiori produttori ed esportatori al mondo, la capacità di esportazione di GNL degli Stati Uniti è praticamente satura e per venire ampliata è necessario tempo e denaro.

Dopodiché, rispondendo alla domanda di un giornalista che chiedeva maggiori informazioni sulle mosse americane per aiutare Polonia e Bulgaria, Biden ha detto che “abbiamo lavorato con i nostri alleati, dal Giappone in poi, per dire che potremmo dirottare la nostra vendita del gas naturale che stiamo inviando a quei paesi e deviarlo direttamente alla Polonia e alla Bulgaria”. “È il massimo che posso dirti al momento”, ha concluso il presidente americano rispondendo al giornalista.

UN’IDEA GIÀ SPERIMENTATA

Non è un’idea nuova. Già lo scorso febbraio, prima ancora che iniziasse la guerra in Ucraina, gli Stati Uniti avevano avviato discussioni proprio con il Qatar e il Giappone sulla possibilità di inviare forniture di GNL all’Unione europea, preoccupata che, in caso di conflitto, le forniture di gas russo potessero diminuire o per effetto dei combattimenti o per volontà di Mosca.

Il piano, al tempo, non funzionò davvero. Il Qatar, come l’America, aveva un problema di capacità di esportazione già impegnata. Mentre il Giappone (che non è peraltro un produttore ma addirittura il secondo maggiore acquirente di GNL al mondo) inviò sì dei carichi verso il Vecchio continente, ma erano già previsti da una joint venture con la società francese EDF: il paese ha una propria domanda energetica interna da soddisfare e non ha grossi margini di manovra.

UN PROBLEMA DI CONTESTO

La fattibilità della proposta di Biden è incerta anche perché negli Stati Uniti la volontà e la direzione politica non può imporsi completamente sulle logiche di mercato e sull’iniziativa privata, che si rivolge laddove la convenienza è maggiore. La Casa Bianca, in altre parole, non può obbligare le aziende a vendere in un certo paese piuttosto che in un altro: se lo facesse, i loro azionisti – interessati al profitto, non alla geopolitica – potrebbero venirne danneggiati e potrebbero iniziare a considerare gli Stati Uniti un paese inadatto a fare business.

DOVE VA IL MERCATO

Gli esportatori americani di GNL, si diceva, vendono dove più conviene loro: vale a dire in quei mercati in cui i prezzi del gas sono più alti e i profitti, di conseguenza, pure. Di solito il mercato più redditizio è quello asiatico, dove si trovano alcuni dei maggiori acquirenti di GNL: la Cina, il Giappone e la Corea del sud.

Gli equilibri tuttavia stanno cambiando – già a dicembre diverse metaniere americane dirette in Asia avevano cambiato rotta verso l’Europa; più di recente lo ha fatto anche la Cina – ma è troppo presto per dire se si tratti di una svolta strutturale o solo temporanea. Goldman Sachs, comunque, pensa che l’Europa si rivelerà, per i carichi di GNL, una destinazione più attraente dell’Asia per almeno un anno, visti i prezzi regionali del gas più alti. La richiesta asiatica di GNL è attualmente fiacca perché le scorte sono su livelli elevati. In Cina, primo importatore del combustibile, le restrizioni anti-coronavirus stanno riducendone la domanda. Ma la cose potrebbero cambiare con l’arrivo della prossima stagione fredda: potrebbe, a quel punto, innescarsi una competizione tra Europa e Asia per accaparrarsi le (limitate) forniture di GNL, che ne farà aumentare il costo.

Intanto, però, ad aprile nei mercati dell’Europa nordoccidentale si sono registrate importazioni record di GNL: i fornitori hanno addirittura iniziato ad offrire prezzi scontati per assicurarsi un posto nei terminali europei, che non possiedono una capacità di rigassificazione sufficiente a gestire grossi volumi.

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