Il Net-Zero Industry Act, la legge per lo stimolo alla manifattura di “tecnologie pulite”, presentata nel marzo 2023, prevede che entro il 2030 l’Unione europea produca internamente almeno il 40 per cento del suo fabbisogno annuo di batterie. Già qualche anno prima, nel 2019, la Germania e la Francia avevano raggiunto un accordo miliardario per sostenere lo sviluppo di un’industria europea delle batterie – dispositivi fondamentali sia per l’alimentazione delle auto elettriche, sia per lo stoccaggio dell’energia rinnovabile – e ridurre il divario con la Cina, nettamente la maggiore produttrice al mondo. Oggi però l’ambizione franco-tedesca ha perso slancio, ha scritto Bloomberg, e gli obiettivi comunitari sembrano più difficili da raggiungere.
IL CONTESTO
Le vendite di veicoli elettrici stanno rallentando, e così le case automobilistiche del continente – ad esempio Volkswagen, Mercedes-Benz e Stellantis – stanno rivedendo i loro progetti sulle batterie.
In Cina, le aziende produttrici stanno tagliando i prezzi di vendita, rendendosi ancora più competitive rispetto alle aziende europee: le compagnie cinesi, come CATL, hanno raggiunto una tale economia di scala da produrre a costi nettamente inferiori rispetto alla concorrenza occidentale, e potrebbero sfruttare questo vantaggio per posizionarsi bene nelle nuove tecnologie di accumulo prive di cobalto e nichel.
Negli Stati Uniti, invece, l’amministrazione Biden ha approvato una grossa legge di incentivi pubblici alle clean tech – l’Inflation Reduction Act – che ha spinto alcune società europee a riorientare gli investimenti: è il caso di Freyr Battery, norvegese.
“Tutto questo”, secondo Bloomberg, significa che l’Unione europea “rischia di rimanere indietro nella corsa alla costruzione e all’alimentazione dei veicoli elettrici del futuro”.
L’INDUSTRIA DELLE BATTERIE IN EUROPA
In Europa l’accesso agli aiuti di stato è più complicato per via della burocrazia, e le case automobilistiche – le stesse, molto spesso, che stanno investendo anche nella manifattura di batterie – devono già fare i conti con i ridotti margini di profitto dei veicoli elettrici. Volkswagen ha ridimensionato i piani sulle batterie e Automotive Cells Company, società guidata da Stellantis e Mercedes-Benz, ha sospeso le attività in due impianti su tre a causa del calo della domanda di auto elettriche. La startup europea considerata più promettente, la svedese Northvolt, produce celle di fascia alta, ma le batterie importate dalla Cina sono economiche, oltre che numerose. Il contesto europeo, comunque, è poco positivo anche per la cinese SVolt Energy Technology, che ha deciso di cancellare un progetto in Germania, date le incertezze sui sussidi.
I grandi gruppi del settore, invece, come la cinese CATL – la maggiore produttrice di celle di batterie al mondo – o la sudcoreana LG Chem potrebbero rafforzare le loro posizioni in Europa: CATL ha già una fabbrica in Germania e ne sta realizzando un’altra in Ungheria, mentre LG Chem è operativa in Polonia da circa sei anni.
Se l’Unione europea non riuscirà a sviluppare una filiera propria delle batterie, il rischio è una grossa fetta della sua industria automobilistica – che al momento vale il 7 per cento dell’economia del blocco – scomparirà nella transizione alla mobilità elettrica, come già successo ai settori dei pannelli solari, dell’elettronica di consumo e dei microchip.
IL DIVARIO SUI SUSSIDI CON IL NORDAMERICA
Dall’inizio del 2022 la Commissione europea e il Regno Unito hanno approvato insieme meno di 7 miliardi di euro in aiuti di stato alla manifattura di batterie: Bloomberg scrive che ne servirebbero molti di più, 140 miliardi, per raggiungere l’obiettivo di 1,4 terawattora di capacità produttiva entro il 2030. Intanto, in Nordamerica gli Stati Uniti stanzieranno 160 miliardi di dollari in crediti d’imposta per i progetti di batterie e celle solari prima del 2029; in Canada, nel 2023 gli incentivi alle batterie sono ammontati a 25 miliardi di dollari (Volkswagen e Stellantis hanno investito nel paese).
SVILUPPARE UNA FILIERA COMPLETA
Se l’Unione europea sembra faticare già nella fase di manifattura, il raggiungimento dell’auto-sufficienza nell’intera filiera delle batterie sembra attualmente quasi irraggiungibile. La Cina, infatti, non è solo la maggiore assemblatrice di batterie, ma è anche il paese che controlla – con percentuali altissime, spesso superiori all’80 per cento – l’estrazione e soprattutto la raffinazione delle materie prime, come il litio e la grafite, ma anche la produzione degli anodi e dei catodi, i due componenti principali delle batterie.
Finora la maggior parte degli investimenti europei legati alle batterie si sono diretti verso la fase di manifattura delle celle, lasciando però scoperti i segmenti dell’estrazione e della raffinazione dei cosiddetti “minerali critici”.
IL PROBLEMA DELLA SOVRACCAPACITÀ CINESE
Emanciparsi dalla Cina è difficile. Il paese possiede una capacità manifatturiera di batterie che, grazie ai corposi sussidi forniti in questi anni, è di quasi tre volte superiore alla domanda interna; nel 2025, se tutte le nuove fabbriche annunciate entreranno in funzione, questa capacità sarà di oltre sei volte superiore alla richiesta. A livello globale, secondo BloombergNEF, la capacità produttiva di batterie agli ioni di litio è già più che doppia rispetto al fabbisogno. In condizioni del genere, le aziende appena entrate nel settore potrebbero non riuscire a sopravvivere a lungo.