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Batterie

Si può fare a meno della Cina per le batterie delle auto elettriche?

L'Unione europea e gli Stati Uniti vogliono distaccarsi dalla Cina per le batterie delle auto elettriche. Ma è davvero possibile fare a meno del Dragone?

Si può fare a meno della Cina per le batterie delle auto elettriche? Se lo è chiesto il New York Times, e si è anche dato una risposta: no. Non solo: l’Occidente potrebbe impiegare decenni ad avvicinarsi a Pechino, che attualmente controlla ogni anello della filiera dei dispositivi agli ioni di litio, dall’estrazione dei minerali grezzi dal sottosuolo al loro inserimento nei dispositivi agli ioni di litio. Secondo una stima della società di consulenza Benchmark Mineral Intelligence, al 2030 la Cina produrrà più del doppio delle batterie di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme.

L’ESTRAZIONE MINERARIA

I veicoli elettrici utilizzano una quantità di minerali rari circa sei volte superiore a quella delle automobili tradizionali. Anche se il suo territorio non è ricco di giacimenti, negli anni la Cina ha portato avanti una strategia di acquisizioni di progetti minerari sparsi nel mondo che le permette oggi di controllare il 41 per cento delle forniture globali di cobalto, il 28 per cento del litio, il 6 per cento del nichel, il 78 per cento della grafite e il 5 per cento del manganese. Di conseguenza Pechino può decidere “chi ottiene per primo i minerali e a che prezzo”, scrive il New York Times.

La Cina possiede la maggior parte delle miniere di cobalto del Congo, dove si concentrano i depositi di questo metallo. Entro il 2027, dicono le previsioni di CRU Group, avrà il controllo della maggior parte del nichel grazie agli investimenti in Indonesia. Quanto alla grafite, la sua estrazione avviene principalmente in Cina (i produttori statunitensi la sintetizzano, infatti, ma a un costo elevato).

Contrastare il primato cinese sui metalli critici è difficile. Sia perché le aziende occidentali sono generalmente restìe a investire in paesi come il Congo, politicamente instabili e problematici dal punto di vista delle pratiche lavorative. Sia perché, quand’anche si decidesse di puntare sui giacimenti domestici, una nuova miniera impiega di solito una ventina d’anni per raggiungere la piena capacità produttiva.

LA RAFFINAZIONE

Il mondo non dipende dalla Cina solo per la materia prima, ma anche – e soprattutto – per quella raffinata. La raffinazione è un processo imprescindibile ai fini dell’utilizzo industriale del minerale grezzo. Il 95 per cento di tutto il manganese viene oggi raffinato, così come il 73 per cento del cobalto, il 70 per cento della grafite, il 67 per cento del litio e il 63 per cento del nichel.

Intaccare la dominanza cinese in questo comparto è difficile perché la raffinazione è un processo complesso, energivoro (la raffinazione del litio, ad esempio, consuma tre-quattro volte l’energia che serve a produrre l’acciaio), ricco di scarti (per ogni libbra di polvere di cobalto raffinata si producono 860 libbre di roccia sterile), inquinante e in definitiva costoso. Le raffinerie cinesi possono contare sul sostegno dello stato, che garantisce loro terreni ed energia a basso costo, e un’occhio semichiuso sull’impatto ambientale; gli stabilimenti all’estero non riescono a essere altrettanto competitivi.

La costruzione di una raffineria richiede dai due ai cinque anni di lavori. La prima raffineria di litio dell’Australia è stata aperta nel 2016 ma non è riuscita a produrre litio battery-grade (ossia adatto all’utilizzo nelle batterie) fino al 2022.

I COMPONENTI DELLE BATTERIE

La Cina fabbrica anche la maggior parte dei componenti presenti nelle batterie: il 77 per cento dei catodi, il 92 per cento degli anodi, l’82 per cento degli elettroliti e il 74 per cento dei separatori.

Di questi, il componente più critico – cioè più importante – è il catodo, l’elettrodo positivo della batteria, perché è quello più complicato e più energeticamente dispendioso da produrre. Di solito, i catodi sono composti da un insieme di nichel, cobalto e manganese: è una formula nota in gergo come NMC che consente alla batteria di accumulare molta elettricità in uno spazio ridotto, a beneficio dell’autonomia di guida dell’auto elettrica.

Pechino ha investito anche in tecnologie alternative e più economiche del nichel-cobalto-manganese come i catodi litio-ferro-fosfato (LFP): costano di meno perché utilizzano metalli meno preziosi.

La Cina produce da sola il 73 per cento dei catodi NMC e addirittura il 99 per cento di quelli LFP. Per fare un confronto, gli Stati Uniti valgono solo l’1 per cento della produzione mondiale di catodi; produzione che peraltro si limita a quelli NMC, pur avendo mostrato interesse (ma gli manca l’expertise) per quelli LFP.

Gli anodi sono gli elettrodi positivi delle batterie. I separatori, come il nome suggerisce, sono degli strati che separano l’anodo dal catodo per prevenire il cortocircuito. Gli elettroliti sono delle sostanze (principalmente liquide) che permettono il passaggio della corrente elettrica.

L’ASSEMBLAGGIO DELLE BATTERIE

La Cina è in netto vantaggio anche nella parte finale della catena del valore delle batterie, ovvero l’assemblaggio e la produzione di automobili: produce il 66 per cento delle celle di batterie mondiali (ogni automobile elettrica ne contiene migliaia) e il 54 per cento delle auto elettriche. Praticamente tutti i veicoli elettrici circolanti in Cina – nessun paese ne ha di più in strada – utilizzano batterie cinesi.

L’assemblaggio delle batterie è un processo molto complicato, e le aziende cinesi – CATL e BYD, ad esempio – hanno dunque un vantaggio di esperienza sulla nascente concorrenza occidentale. Come spiega il New York Times, per fare una batteria bisogna attaccare i materiali del catodo e dell’anodo a sottili fogli di metallo, dallo spessore inferiore a un capello umano. Questi fogli vengono poi impilati con i separatori, inumiditi con gli elettroliti e infine arrotolati. L’intero processo deve avvenire in un ambiente praticamente privo di particelle d’aria e di umidità.

Secondo Heiner Heimes, professore all’Università Tecnica di Aquisgrana, stima che le fabbriche cinesi siano in grado di realizzare batterie alla metà del prezzo degli stabilimenti in Nordamerica e in Europa: c’entra anche il più basso costo del lavoro.

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Grafico via The New York Times.

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