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Energy

Energy produrrà in Italia batterie cinesi con i soldi del Pnrr?

Prosegue il piano di Energy per una fabbrica di batterie al ferro in Veneto. Il progetto - co-finanziato dal Pnrr - vede una notevole partecipazione della Cina, sia nelle tecnologie che nell'azionariato. Tutti i dettagli.

Energy, azienda italiana di tecnologie per lo stoccaggio dell’energia rinnovabile, ha avviato il processo di messa a punto della linea di produzione di batterie al litio-ferro-fosfato che dovrebbe essere inaugurata in primavera.

La fase di test – come spiegato dalla società in un comunicato – riguarda “l’attività di calibrazione della qualità della produzione ma anche l’implementazione di soluzioni informatiche avanzate”: ossia robot che assisteranno gli operai umani e grandi quantità di dati da elaborare.

I PROGETTI DI ENERGY IN VENETO

La prima linea produttiva è inserita nello stabilimento di Energy in Veneto – la sede operativa dell’azienda è a Sant’Angelo di Piove di Sacco, in provincia di Padova – e avrà una capacità produttiva di 0,8 gigawattora all’anno. Stando alle previsioni, la produzione è destinata a crescere di dieci volte con l’entrata in funzione, nel 2026, della fase due del progetto, che consisterà in un nuovo stabilimento dedicato alla manifattura di batterie.

BATTERIE AL LITIO-FERRO-FOSFATO

Energy ha puntato su una particolare chimica, quella al litio-ferro-fosfato, che si differenzia da quella tradizionale al nichel-manganese-cobalto per la maggiore economicità dei materiali ma anche per una più bassa densità energetica. La minore densità delle batterie è un problema per i veicoli elettrici ma non per le applicazioni di stoccaggio, dato che gli impianti eolici e fotovoltaici non hanno gli stessi problemi di spazio delle automobili.

“Quella delle batterie per sistemi di accumulo per le fonti di energia rinnovabile è una filiera strategica che sarà sempre più necessaria in futuro, nell’ottica di ridurre gli assorbimenti di energia da fonti fossili e garantire la transizione green“, ha dichiarato a questo proposito Davide Tinazzi, amministratore delegato di Energy.

IL CONTRIBUTO STATALE

Lo scorso novembre Energy, a sostegno del suo investimento da oltre 40 milioni di euro, ha ricevuto un contributo a fondo perduto da 7,1 milioni di euro all’interno del programma “Rinnovabili e batterie” del PNRR. Il PNRR prevede infatti un investimento nelle tecnologie di stoccaggio da 500 milioni di euro, a supporto degli sforzi privati alla costruzione di una filiera industriale.

Il cofinanziamento verrà erogato dal 2024, fino al 2026.

CHI SONO GLI AZIONISTI

“Il completamento della prima linea di produzione di batterie al litio e l’avvio della fase di test rappresentano una promessa mantenuta verso i nostri stakeholders“, ha dichiarato Tinazzi.

I principali azionisti di Energy – che è stata fondata nel 2013 e che dall’agosto 2022 è quotata sul mercato Euronext Growth Milan della Borsa Italiana – sono Elmagi (20 per cento), Freman Holding (20 per cento), Sun Hongwu (19,7 per cento) ed Euroguarco (19,7 per cento).

Elmagi è una società riconducibile a Davide Tinazzi, mentre Freman Holding è riconducibile ad Andrea Taffurelli, consigliere con delega del consiglio di amministrazione di Energy. Sun Hongwu è un’imprenditrice di nazionalità cinese.

Al 30 giugno 2023, Energy riportava un valore della produzione di 40,1 milioni di euro, ricavi per 39,3 milioni e utile netto di 5,5 milioni.

IL PESO DELLA CINA

Energy ha importanti contatti con la Cina, al di là della (notevole) presenza nell’azionariato.

Nella relazione finanziaria semestrale del 30 giugno 2023, infatti, la società dichiarava di avvalersi di “partnership tecnologiche e produttive di lungo termine con fornitori selezionati”, che le hanno permesso di ottenere “un vantaggio competitivo sul mercato”. Questi rapporti, tuttavia, “espongono Energy ad un certo grado di rischio, in quanto la cessazione, per qualsiasi causa, ovvero il verificarsi di criticità nei rapporti di fornitura potrebbero influenzare in misura negativa l’attività”.

Il riferimento è alla Cina, la nazione dominante nella filiera delle batterie fin dalle materie prime, ma considerata una rivale sistemica dall’Unione europea e una concorrente geopolitica dagli Stati Uniti. Dalla Cina “proviene la maggior parte delle forniture” di Energy, che ha annunciato un piano di mitigazione della dipendenza “coerente con uno scenario di rapporti complessi tra UE/US e Cina”.

I RAPPORTI TRA ENERGY E PYLON

Le aziende cinesi valgono oltre il 90 per cento della produzione globale di catodi al litio-ferro-fosfato, la tecnologia sulla quale ha puntato Energy.

Lo scorso maggio Energy ha annunciato la creazione di una joint venture con Pylon Technologies, azienda cinese quotata alla borsa di Shanghai, per la produzione di batterie al litio-ferro-fosfato. La joint venture si chiama Pylon LiFeEU e la sua sede coincide con quella di Energy a Sant’Angelo di Piove di Sacco.

Energy spiegava che i rapporti di collaborazione con Pylon sono cominciati “dieci anni fa”, avendo cura di presentarli come coerenti con i piani europei per la produzione interna delle tecnologie critiche per la transizione ecologica. La joint venture – si legge – “persegue l’obiettivo del friendshoring“, cioè della localizzazione manifatturiera in paesi alleati o affini sul piano politico in modo da abbassare le dipendenze da governi potenzialmente ostili: il friend-shoring viene però presentato, soprattutto dagli americani, come un processo di riorganizzazione filieristica alternativo alla Cina. Secondo Energy, invece, la joint venture “apre alla cooperazione attiva tra Italia e Cina, grazie agli investimenti del partner cinese sul mercato italiano”.

Il 70 per cento di Pylon LiFeEU è posseduto da Pylon, mentre la quota di Energy è del 30 per cento. Come scriveva il Corriere del Veneto, l’amministratore delegato di Pylon LiFeEU è espresso da Energy (si tratta di Tinazzi), mentre il presidente del consiglio di amministrazione (composto da tre membri, di cui due nominati dal socio cinese) è Jinpeng Geoffrey Song, vicepresidente di Pylon.

Nel concreto, dunque, i soldi del PNRR andranno a finanziare una fabbrica di batterie presente sì sul suolo italiano, ma legatissima – per tecnologie e per partecipazione – alla Cina, ossia allo stesso paese da cui l’Unione europea vorrebbe promuovere un certo grado di distacco.

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