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Descalzi

Ecco come e perché Descalzi (Eni) sbrocca contro l’Ue

L'ad di Eni, Claudio Descalzi, ha criticato il piano dell'Unione europea per la transizione ecologica: manca la neutralità tecnologica, i target cambiano troppo spesso e gli investimenti nel gas sono stati disincentivati. Tutti i dettagli

Intervenuto giovedì all’evento di presentazione dello studio Zero Carbon Technology Roadmap, realizzato da The European House – Ambrosetti, l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi ha tenuto un discorso molto critico verso la strategia dell’Unione europea per la transizione energetica.

LA NEUTRALITÀ TECNOLOGICA

Secondo Descalzi le politiche del Green Deal, ossia il piano di Bruxelles per la riduzione delle emissioni e il contrasto dei cambiamenti climatici, “dovrebbero essere tecnologicamente neutrali, ma non lo sono”: significa che dovrebbero prendere in considerazione tutte le tecnologie disponibili per la decarbonizzazione (come la cattura del carbonio, i biocarburanti o i combustibili sintetici), e non solo alcune (come l’eolico e il solare).

– Leggi anche: L’Ue diventerà dipendente dai pannelli solari della Cina?

Il concetto di neutralità tecnologica veniva citato spesso dall’ex-ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, attualmente consulente per l’energia del governo di Giorgia Meloni.

COSA HA DETTO DESCALZI

“Occorrono delle politiche differenti” da quelle finora adottate dalle istituzioni europee, ha detto Descalzi.

“Quando diciamo che possiamo sostituire tutto”, ha aggiunto, riferendosi ai consumi di combustibili fossili, “o siamo naïf o siamo ideologici. È molto pericoloso per le nostre comunità cercare di sostituire tutto”, alludendo alle conseguenze sulle filiere industriali, che  dovranno riconvertire i loro processi produttivi in fretta, e di conseguenza sull’occupazione.

“Bisogna credere agli ingegneri, alle università, che parlano il linguaggio della realtà senza ideologia”. La transizione energetica “non è una questione politica, è la nostra sopravvivenza”.

I TARGET EUROPEI SULLE EMISSIONI

Descalzi ha anche criticato il fatto che nell’Unione europea “ogni sei mesi mettiamo nuovi target” sulle riduzioni dei gas serra.

Martedì le istituzioni europee hanno raggiunto un accordo su una nuova legge, l’Effort Sharing Regulation, che ripartisce i tagli alle emissioni tra gli stati membri: il contributo italiano, nello specifico, salirà dal 33 al 43,7 per cento entro il 2030. A livello comunitario, alcuni settori economici (l’agricoltura, i trasporti su strada e via nave, il riscaldamento delle case, le piccole industrie e la gestione dei rifiuti) dovranno ora ridurre le emissioni del 40 per cento rispetto ai livelli del 2005.

LA QUESTIONE DEL GAS NATURALE

Descalzi ha anche criticato le posizioni europee nei confronti del gas naturale. Pur essendo un combustibile fossile e rilasciando dunque gas serra quando bruciato, il gas naturale è utile sia per sostituire la capacità energetica più emissiva (quella a carbone, ad esempio) che per dare stabilità alla rete elettrica, compensando l’intermittenza delle rinnovabili.

Il gas naturale, dunque, è necessario almeno nel medio termine, finché non si saranno affermate tecnologie di stoccaggio più efficienti o fonti baseload (quelle che forniscono energia in maniera continuativa) a zero emissioni (come il nucleare).

“Se diciamo che il gas non è considerato nel futuro mix energetico nell’Unione europea, come si fa ad attrarre gli investitori?”, ha polemizzato Descalzi. Se nessuno è disposto a investire sui progetti e sugli impianti a gas perché spaventato dalle prospettive e dal rischio di ritrovarsi con degli stranded asset (o “beni incagliati”, cioè asset che smettono di generare profitto prima di ammortizzare i capitali investiti), l’Europa potrebbe fare difficoltà a garantire la propria sicurezza energetica.

IL GAS NELLA TASSONOMIA? “UNO SCHERZO”

Secondo l’amministratore delegato di Eni, l’inserimento del gas naturale nella tassonomia, ovvero il documento della Commissione finalizzato a orientare gli investimenti verso destinazioni dall’impatto climatico positivo, è “uno scherzo” e non risolve il problema del sotto-investimento.

La tassonomia pone infatti delle condizioni molto stringenti agli impianti di generazione energetica dal gas, che possono dirsi “sostenibili” solo in due casi: se hanno emissioni inferiori a 100 grammi di CO2 per kilowattora prodotto lungo il loro intero ciclo di vita, un valore raggiungibile solo utilizzando tecnologie di cattura; oppure se sostituiscono impianti maggiormente emissivi e se sono predisposti all’alimentazione con idrogeno o biometano dal 2035.

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