A seguito dell’aumento delle tariffe europee sui veicoli elettrici cinesi, la Cina ha imposto dei dazi provvisori sulle importazioni di brandy e prossimamente potrebbe introdurre delle penalità anche per la carne di maiale e per le vetture di grossa cilindrata. Si tratta di ritorsioni mirate contro specifici paesi – rispettivamente la Francia, la Spagna e la Germania -, ma Pechino ha introdotto già da tempo delle restrizioni commerciali dall’impatto ben più vasto. Sfruttando la sua dominanza sul settore delle terre rare, un gruppo di diciassette elementi fondamentali anche per la mobilità elettrica, la Cina sta accentrando il controllo su questi metalli e limitando l’esportazione delle tecnologie per la loro estrazione e separazione, oltre che per produzione di magneti.
LA DIPENDENZA EUROPEA DALLE TERRE RARE CINESI
Si stima che la Cina valga all’incirca il 70 per cento dell’estrazione mondiale di terre, l’85 per cento della loro lavorazione, il 90 per cento della raffinazione e il 95 della produzione di magneti. I magneti in terre rare – che contengono principalmente neodimio e praseodimio – sono presenti nelle turbine eoliche e nelle auto elettriche.
Ad oggi l’Unione europea di fatto non possiede né capacità minerarie né industriali sulle terre rare e sui prodotti derivati ed è dunque dipendente da Pechino.
– Leggi anche: Cosa chiedono all’Ue i produttori mondiali di terre rare anti Cina
Le terre rare, peraltro, non si utilizzano soltanto nella costruzione di automobili e dispositivi per le energie rinnovabili, ma anche di apparecchi elettronici e sistemi d’arma: sono insomma fondamentali per la transizione ecologica, per la transizione digitale e per la difesa.
L’IMPATTO DELLA MOSSA DI PECHINO
Attraverso i controlli alle esportazioni, il governo cinese punta a complicare gli sforzi dell’Occidente (soprattutto degli Stati Uniti) per guadagnare quote nel mercato delle terre rare e ridurre la dipendenza da Pechino, così da proteggersi da nuovi “utilizzi geopolitici” delle forniture.
Come scrive Oil Price, l’inasprimento delle norme cinesi sul commercio di terre rare, unito al contrasto delle miniere illegali, si sta ripercuotendo sull’equilibrio tra domanda e offerta di questi metalli. Alcuni analisti prevedono che entro la fine del 2024 il mercato passerà da una situazione di surplus a una di deficit: i prezzi delle terre rare probabilmente saliranno, rendendo più costosa e complicata la transizione energetica in Europa e non solo.
MACRON IN MONGOLIA, SCHOLZ IN KAZAKISTAN
A metà settembre il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è recato in visita in Kazakistan per discutere del potenziamento del commercio di terre rare, litio e petrolio.
A maggio dell’anno scorso il presidente francese Emmanuel Macron era andato invece in Mongolia per rafforzare la cooperazione sulle terre rare. L’accordo permetterà alla Mongolia di diversificare (ma solo in piccola parte) il suo commercio, dato che invia in Cina quasi l’80 per cento delle terre rare che estrae nel proprio territorio; mentre la Francia otterrà materie prime per la transizione energetica.
Qualche mese prima di Macron, già Scholz si era riunito con le autorità mongole, dichiarando che il paese sarebbe stato un “partner importante” per “molte materie prime” necessarie all’industria tedesca.
I minerali grezzi, però, non sono sufficienti. Le aziende hanno bisogno di prodotti raffinati e finiti, ma sviluppare un’industria di lavorazione e trasformazione delle terre rare è molto difficile dal lato tecnico, da quello economico e da quello ambientale.