E la montagna ha partorito un topolino. Anzi, no. Il topolino dell’Eurogruppo ha partorito esattamente un topolino. Perché il “vorrei ma non posso” che caratterizza la storia dell’Ue da anni è un topolino politico.
Il terzo Eurogruppo in poche settimane ha avuto il medesimo copione. Da una parte un gruppo di Paesi (Germania, Paesi Bassi, Austria, Finlandia) che ritengono sufficienti gli elementi già sul tavolo da alcuni giorni per affrontare la crisi; dall’altra Italia, Francia, Spagna ed altri che non sono soddisfatti di quelle soluzioni e chiedono subito di lavorare all’emissione di strumenti di debito comune (eurobond).
Al termine della lunga videoconferenza cominciata martedì pomeriggio, Centeno ha riferito che la risposta alla crisi da Covid-19 è in prima battuta a carico dei bilanci nazionali. La UE fornisce una triplice “rete di sicurezza”.
La prima per i lavoratori, il piano SURE, che è solo un prestito per finanziare il maggior costo sostenuto dagli Stati per strumenti come la cassa integrazione. Si tratta di raccogliere fondi per 100 miliardi emettendo obbligazioni, facendo leva su 25 miliardi di garanzie fornite dai Paesi Ue. Tale prestito è soggetto a specifiche condizioni di rimborso e di erogazione.
La seconda per le imprese. La BEI, facendo leva su 25 miliardi di garanzie fornite dai Paesi UE, dovrebbe erogare prestiti per 75/100 miliardi che, cofinanziati da altre banche, dovrebbero fornire liquidità per circa 200 miliardi alle imprese.
La terza per gli Stati. Il MES metterà a disposizione una linea di credito “precauzionale” per 240 miliardi per i Paesi dell’Eurozona. Questa linea non dovrebbe essere soggetta a condizionalità solo per le spese legate all’emergenza sanitaria. Per le spese connesse al sostegno economico, il MES è sul tavolo con tutte le sue condizionalità.
Ed i coronabond, su cui il nostro presidente Giuseppe Conte ha eretto la sua linea del Piave? Centeno parla di “strumenti finanziari innovativi” e rimanda la palla nel campo dei leader europei che si riuniranno prevedibilmente dopo Pasqua. Appena qualcosa di più di quanto hanno promesso i due ministri tedeschi Olaf Scholz e Heiko Maas qualche giorno fa o di quanto ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis parlando di utilizzo del MES seguito da “un grande piano per la ripresa, è essenziale un accordo rapido sul bilancio Ue e siamo aperti ad esplorare altre opzioni”.
Stupisce che, in questa ansia riformatrice, Gualtieri e Conte non chiedano l’unica vera riforma dei Trattati che avrebbe un senso: l’abrogazione dell’articolo 123 del TFUE che vieta alla Banca Centrale il finanziamento monetario del deficit. Un solo articolo, anziché chiedere lunari eurobond.
La posizione del blocco nordico è riassunto dalle parole del ministro delle Finanze austriaco Gernot Bluemel, che ha dichiarato a Bloomberg che “considero poco serio il dibattito sugli eurobond, perché tutti sanno che si dovrebbero cambiare i trattati fondativi della UE. Abbiamo già strumenti sufficienti per tutto quanto necessario”. Inoltre l’Austria insiste sulla necessità di porre condizioni sul controllo dei conti pubblici dei paesi beneficiari nel medio lungo termine. Esattamente il pericolo di cui parlavamo commentando la trappola insita nel MES: la condizionalità “light” oggi, non esclude affatto che sia rigorosa ad emergenza finita.
Sulla stessa posizione, qualche giorno fa, il ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra davanti alla commissione Finanze del Parlamento dell’Aia: “No agli eurobond, sì al Meccanismo europeo di stabilità, da usare con le relative condizionalità per tutte le spese che vadano oltre quelle strettamente sanitarie a breve termine”.
Fonti di Bruxelles in questi giorni confermavano che la discussione tra i ministri economici verteva su:
1) La definizione delle condizioni per l’accesso al MES.
2) L’introduzione nel comunicato finale qualche artificio verbale che, in futuro, apra a qualche forma di emissione di strumenti finanziari di debito comune.
Ma questo significa aver dimenticato la lezione subita nel 2013 quando accettammo incautamente i primi due pilastri dell’Unione Bancaria (vigilanza comune bancaria e meccanismo comune di risoluzione) sotto la minaccia dello spread agitata da Schauble, e stiamo purtroppo ancora attendendo il terzo ( garanzia comune sui depositi).
Non ci sono bastate nemmeno le registrazioni audio di Yanis Varoufakis per avere consapevolezza del clima da saloon che caratterizza le riunioni dell’Eurogruppo.
Ma da ieri il Re è nudo anche grazie alla nitida posizione assunta dal governo olandese, attraverso il proprio ministro Wopke Hoekstra: no agli eurobond, che costituiscono mutualizzazione del debito; ricorso al MES senza le previste condizioni solo quando c’è da finanziare spese mediche. E così è stato. Parole che piombano come pietre su tutta la melensa mozione degli affetti con cui siamo stati ammorbati per anni. Non c’è spazio per solidarietà. La UE è il luogo in cui negli ultimi 28 anni sono stati composti interessi contrastanti, e sistematicamente siamo stati subalterni. A dispetto del rango di seconda potenza manifatturiera europea.
Ma va sgombrato il campo anche dall’equivoco degli eurobond, che andiamo elemosinando da qualche settimana.
Esistono già, sotto due forme:
1) Quelli emessi da BEI e MES, formalmente garantiti dal capitale versato dagli Stati membri. Ma questi fondi sono poi prestati alle imprese o agli Stati con precise condizioni, come farebbe qualsiasi banca.
2) Di fatto, quelli emessi dagli Stati e comprati e detenuti dalla BCE (2.200 miliardi, di cui 400 italiani), “stampando” moneta. Anche in questo caso, la garanzia è fornita da tutti gli Stati membri. La BCE li può detenere entro certi limiti, solo temporaneamente rimossi, e potrebbe chiederne il rimborso a scadenza ma, per il momento, li rinnova.
Si tratta sempre di debiti per il Paese beneficiario.
Quello che invece si vuole introdurre, che Wolfgang Schauble ha già detto essere contro la Costituzione tedesca, è un fondo comune di garanzia (ERF, European Recovery Fund) che serva per emettere titoli sui mercati ed utilizzi quei fondi non più per prestare, ma per erogare contributi a fondo perduto direttamente a sostegno delle spese degli Stati.
In altre parole, qualcosa di simile a ciò che accade già attualmente col bilancio UE da circa 140 miliardi (1% del PIL) che però ci vede contributori netti per 5,2 miliardi in media negli ultimi 7 anni. Con la differenza che l’ERF vorrebbe spendere non solo i contributi degli Stati, ma il denaro prestato dagli investitori che andrà quindi rimborsato.
Ed ecco i punti su cui non ci potrà mai essere un accordo, anche nel prossimo Consiglio europeo, a cui è stata demandata la discussione su questo punto nodale:
1) Chi e in che misura contribuisce al fondo di garanzia per emettere obbligazioni? Saremo ancora in prima fila?
2) Chi decide cosa e come finanziare? Perché solo le spese mediche e non anche un piano per il taglio del cuneo fiscale per consentire la ripresa, ad esempio?
3) Come allocare la spesa tra i diversi Stati? Rischiamo di essere sempre contributori netti?
4) Come reperire le entrate per il servizio del debito dell’ERF? Con un aumento a livello UE dell’IVA? Con imposte nazionali?
A febbraio non siamo riusciti a concordare un budget da 140 miliardi l’anno ed ora vogliamo far nascere dal nulla, nel pieno di una crisi economica epocale, un budget da 350 miliardi? Quando finiremo di sognare e decideremo di bussare senza esitazione alla porta della BCE?
L’Eurogruppo ha consegnato ai leader europei il solito compromesso al ribasso, caratteristica dominante quando la posta in gioco nei vertici europei è alta.
La posizione del nostro Paese? Totalmente appiattita sulla linea di accettare il certo (MES) per l’incerto o impossibile (ERF, fondo europeo per la ripresa).
Sin dall’inizio di marzo sono in corso trattative sottotraccia per rendere disponibile il MES come strumento principe per contrastare la crisi da COVID 19. I nostri funzionari hanno trattato per giorni le condizioni di applicazione di tale strumento, evidentemente dietro lo specifico mandato del ministro Roberto Gualtieri. Quando però si è rivelata la manifesta insostenibilità politica del MES, con M5S che prometteva battaglia, abbiamo assistito ad un pronto riallineamento delle posizioni del ministro e del Presidente Giuseppe Conte che si sono immediatamente intestati la linea del MES senza condizioni, presentandola al Consiglio del 26 marzo ed all’Eurogruppo cominciato martedì.
Ma la fumata bianca di ieri sera non riesce a dissipare nessuna delle perplessità che da tempo avanziamo sia sul MES che sull’ERF.
Ed a nulla rileva che l’Italia, oggi, non faccia ricorso al MES. Perché ci rifiutiamo di credere che l’Italia oggi abbia bisogno del MES per finanziare qualche miliardo di spese mediche. Rileva invece che il MES che è già sul tavolo dell’Eurogruppo è quello del Trattato del 2012, dominato dal principio delle condizionalità rigorose.
Ma ancor più preoccupante è notare che Gualtieri sdogani uno strumento concepito per Stati alla canna del gas, “nel quadro di un pacchetto” che contiene solo aria fritta. La mutualizzazione del debito derivante dai costi per fronteggiare questa crisi è inaccettabile da molti Stati, che ci hanno già risposto che essa esiste già e sono i circa 800 miliardi di obbligazioni emesse da BEI, MES (inclusi i predecessori EFSF, EFSM) che sono concepiti per prestare e non per dare contributi a fondo perduto. Ripetiamo ancora una volta che questo ruolo è già svolto dal bilancio UE, che però si guarda bene dall’emettere obbligazioni ed è solo capace, tra infiniti litigi, di distribuire la modesta cifra di 140 miliardi annui raccolta tra gli Stati membri. Infine, gli Eurobond vanno rimborsati con entrate proprie dell’Unione, un tema tossico per tutti.
Tutto questo accade mentre Bankitalia ci fa sapere che il saldo Target2 (passività verso la BCE) a marzo è salito di 107 miliardi, attestandosi a 491 miliardi a fine marzo. Un incremento mensile senza precedenti.
Un mix esplosivo di banche straniere che ritirano depositi e vendono titoli di Stato e residenti che comprano attività finanziarie estere.
Gli investitori stanno facendo già le loro scelte e quando, come temiamo, la BCE non potrà più offrire il proprio ombrello a causa dei limiti che potrebbe imporre la Corte Costituzionale tedesca il prossimo 5 maggio, il MES sarà una scelta obbligata. Alle condizioni dettate dai Trattati.
Conte e Gualtieri hanno eretto la loro linea Maginot su un terreno inconsistente e nessun sofisma nel comunicato finale dell’Eurogruppo potrà renderlo meno fragile.
PERCHE’ VA EVITATO IL PACCO MES-SURE-BEI. AVANTI TUTTA CON LA BCE. L’ANALISI DI LITURRI