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Ecco come l’élite liberal sbrocca sulla manovra di Meloni e Giorgetti

Chi sono gli economisti liberal e che cosa sostengono in un paper sulla Nadef del governo

 

Le difficili condizioni dell’economia internazionale e l’intrinseca debolezza della finanza pubblica italiana possono mettere in forse gli impegni dichiarati dal governo, con implicazioni per la stabilità finanziaria del Paese. A scriverlo è un gruppo di economisti e uomini della finanza in un rapporto intitolato “Policy Brief: La politica di bilancio del governo Meloni” edito per Bocconi- Institute for European Policymaking.

GLI AUTORI DEL PAPER

A vagliare la finanziaria e i suoi contorni rappresentati dalla Nadef sono stati: Carlo Bastasin, Senior Fellow alla Luiss di Roma, dove insegna Governance economica europea, e alla Brookings Institution di Washington, nonché editorialista per Repubblica e in passato del Sole 24 ore; Lorenzo Bini Smaghi, economista, presidente della banca francese Société Générale, già membro del comitato esecutivo della Bce; Sergio De Nardis, economista, già direttore dell’Unità Macroeconomia dell’Isae e dirigente al centro studi di Confindustria, Marcello Messori, economista e professore alla Luiss, in passato consigliere dell’ex premier Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, e Stefano Micossi, consigliere per le strategie e le politiche di Assonime, l’associazione delle grandi imprese di cui è stato per anni anche direttore generale.

LO STUDIO DEGLI ECONOMISTI

Nelle premesse dello studio si legge che “la Nota di Aggiornamento del Def (Nadef) e la bozza della Legge di Bilancio del Governo Meloni indicano obiettivi e programmi di politica economica sulla cui credibilità gravano varie ipoteche”.

Per gli economisti, “le difficili condizioni dell’economia internazionale e l’intrinseca debolezza della finanza pubblica italiana possono mettere in questione gli impegni dichiarati dal governo, con implicazioni per la stabilità finanziaria del Paese”. Venendo al merito, la nota di aggiornamento del Def (Nadef) stima un aumento del Pil reale dello 0,8% quest’anno e programma obiettivi di crescita dell’1,2% nel 2024, 1,5% nel 2025 e 1% nel 2026. Tale profilo si discosta dalla previsione Nadef a legislazione vigente di 0,2 punti nel 2024 e di 0,1 nel 2025, riflettendo, per il prossimo anno, l’impatto di una manovra debolmente espansiva basata su un deficit pari a 0,7 punti di Pil (manovra già sommariamente descritta nella Nadef). Nel 2026, l’obiettivo di crescita risulta più basso di 0,2 punti rispetto alla previsione tendenziale per effetto di una manovra restrittiva volta a portare l’indebitamento della Pubblica Amministrazione sotto il 3%”.

CRESCITA RIDIMENSIONATA

“Il peggioramento della congiuntura globale e interna – si legge – si riflette nella Nadef mediante un ridimensionamento della previsione di crescita nel 2023 (2 decimi in meno) e nel 2024 rispetto alle attese del Def dello scorso aprile. La dinamica del Pil nominale, variabile rilevante per la finanza pubblica, si abbassa rispetto al Def (nell’anno in corso, di 5 decimi) in misura maggiore rispetto a quanto si osserva per la crescita reale, risentendo di un andamento del deflatore del Pil più contenuto delle attese che si avevano in aprile. Per gli anni successivi (2024-26), il deflatore del Pil sale marginalmente di più rispetto alla previsione nel Def, recuperando la perdita del 2023 e contribuendo così a sostenere l’evoluzione del Pil nominale nell’arco del periodo”.

NADEF TROPPO OTTIMISTICA

Senza troppi giri di parole, per gli economisti “il quadro macroeconomico della Nadef appare troppo ottimistico. La previsione governativa circa la crescita reale del Pil nel 2023-24 poggia sull’ipotesi che l’economia italiana, dopo il calo del II trimestre dell’anno in corso, sia tornata già da luglio-settembre su un sentiero di crescita (di circa 0,3%); essa assume, inoltre, che il ritrovato ritmo di (moderato) incremento del Pil sia mantenuto nel periodo successivo, quando dovrebbe intervenire anche il contributo degli investimenti del (rimodulato) Pnrr”.

LE SCOMMESSE DEL GOVERNO

“A quest’ultimo proposito – aggiungono -, la scommessa è duplice: si dà per scontato che tali investimenti siano realizzati in modo efficace e che producano effetti positivi di breve termine, anche se le nuove scadenze stabilite dal governo sono caratterizzate dal posponimento di molti progetti al 2025 e 2026. Anche a prescindere dall’ultimo aspetto, la congiuntura europea e l’economia italiana non stanno andando nella direzione supposta dalla Nadef. Come mostrano le più recenti previsioni internazionali (per esempio, quella del ‘Fondo monetario internazionale’) l’area dell’euro sta entrando in una fase di stagnazione con persistenti eccessi inflazionistici (stagflazione). Inoltre, l’attività industriale appare ancora debole a causa della sua dipendenza dalla domanda estera e dal ripiegamento degli scambi mondiali (forse più intenso di quanto ipotizzato nelle attuali previsioni); inoltre, come emerge anche dalla dinamica negativa nei flussi di credito bancario, la severa stretta monetaria e creditizia della Banca Centrale Europa (BCE) ha impatti crescenti. Combinandosi con il ridimensionamento degli incentivi, la stretta monetaria sta in particolare determinando una contrazione nelle costruzioni, settore particolarmente sensibile alle variazioni nella disponibilità di credito”.

IL GIUDIZIO SUL GOVERNO

“Anche le previsioni della Nadef circa l’inflazione – secondo il paper pubblicato per Bocconi – appaiono ottimistiche, nel senso che ne sopravvalutano la caduta specie con riguardo alle componenti interne della dinamica dei prezzi. Una maggiore dinamica dei prezzi interni avrebbe effetti positivi sul rapporto tra il debito pubblico e il Pil, compensando in parte la sopravvalutazione della crescita reale del Pil. Allo stesso tempo, le previsioni del governo implicano un rallentamento più forte dei prezzi al consumo di quello atteso dagli analisti per la media dell’area dell’euro. La Nadef non fornisce indicazioni per giustificare tale tendenza. Pertanto, se nel 2024 vi fosse la conferma che il tasso italiano di inflazione è maggiore o, quantomeno in linea, con la dinamica dei prezzi al consumo dell’area euro, le famiglie subirebbero una maggiore erosione dei loro redditi in termini reali con conseguente riduzione dei consumi e rallentamento della crescita”.

LE STIME DELL’ESECUTIVO

Quanto alle stime del governo sugli incrementi degli oneri finanziari sul debito pubblico ammontano a poco più di mezzo punto percentuale di Pil per i prossimi tre anni. Ebbene, per gli economisti ,”Si sono molte ragioni per ritenere che si tratti di aggiustamenti insufficienti, basati su un quadro macroeconomico troppo ottimistico. Questa nostra conclusione risulta rafforzata dalla valutazione degli squilibri del bilancio pubblico. Per orientarsi in merito, è bene partire dalla revisione al rialzo dei crediti di imposta relativi al Superbonus e al bonus facciate che l’Istat ha recentemente valutato pari al 2,8% del Pil. Di conseguenza, la stima tendenziale del disavanzo pubblico per l’anno in corso è stata innalzata dello 0,7% del Pil. Inoltre, il governo deve tenere conto dei fattori di peggioramento del quadro macroeconomico che hanno radici sia interne che esterne all’area dell’euro. Come si è già detto, è necessario considerare sia gli aumenti dei tassi di interesse, legati alla restrizione monetaria della Bce, sia il rallentamento dell’economia europea. Vanno inoltre valutate le dinamiche nei prezzi del gas, di altre fonti energetiche e di materie prime alimentari che potrebbero subire significativi aumenti a causa dei drammatici conflitti medio-orientali e della persistenza della guerra in Ucraina. Alla luce di tali fattori (e di altri qui trascurati), il governo italiano ha deciso di chiedere al Parlamento l’autorizzazione per la definizione di un nuovo sentiero programmatico del disavanzo pubblico in rapporto al Pil: dal 5,3% di quest’anno, al 4,3% nel 2024, al 3,6% nel 2025 e al 2,9% nel 2026. Tale quadro programmatico prevede un aumento del disavanzo rispetto al tendenziale di 0,7 punti percentuali sul Pil per l’anno prossimo e di 0,2 punti percentuali sul Pil nel 2025; viceversa, nel 2026, il disavanzo dovrebbe scendere di 0,2 punti percentuali rispetto al tendenziale.Lo scenario comporta che il disavanzo pubblico italiano rimanga al di sopra del 3% nel prossimo biennio per scendere al di sotto di questa soglia solo nel 2026. Esso implica anche che, negli anni 2024-26, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil scenda in modo impercettibile: dal 140,2% a fine 2023 al 139.6% nel 2026. Vi è quindi un’alta probabilità che, l’anno prossimo – la fine della sospensione del Patto di Stabilità – la Commissione europea apra nei confronti dell’Italia una procedura per disavanzo eccessivo. Ciò avrebbe un impatto negativo sulle valutazioni degli investitori internazionali sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Per giunta, questi investitori non hanno ben accolto il nuovo sentiero programmatico del governo italiano a prescindere dalle future valutazioni delle istituzioni europee”.

“Forse – viene sottolineato – anche a causa di altre mosse economiche” che gli autori del paper non esitano a definire “avventate da parte del governo italiano (si pensi all’estemporanea imposta sulle banche, anche se ora molto ridimensionata), sono emersi timori circa la scarsa stabilità del quadro delle regole. Prova ne sia l’allargamento dello spread sui titoli governativi italiani rispetto ai corrispondenti titoli tedeschi. Tale spread si attesta ormai sui 200 punti base. Il nostro paese e quanti operano per la stabilità della Ue avrebbero perciò interesse a concludere al più presto il negoziato sulla nuova governance fiscale. Inoltre, all’Italia converrebbe presentarsi a quell’appuntamento con un sentiero di riduzione del debito non solo ben definito e credibile, ma anche più ambizioso di quello delineato nella Nadef”.

IL PERCORSO DEL DISAVANZO

“Il problema – viene ribadito nel documento – è che il percorso del disavanzo previsto dalla Nadef non si presenta come sufficientemente espansivo per il rilancio della crescita italiana e al contempo non appare realizzabile perché basato su aspettative macroeconomiche troppo ottimistiche. Il governo stima che l’ampliamento del disavanzo pubblico possa innalzare la crescita del Pil italiano di 0,2 punti percentuali nel 2024 e di 0,1 punti percentuali nel 2025. Come è evidente, non si tratta di moltiplicatori molto rilevanti, confermando la modestia espansiva della manovra del governo. Per di più, gran parte degli impegni assunti verso i propri elettori dai partiti della coalizione governativa appaiono disattesi. Dal momento che avanza aspettative macroeconomiche molto ottimistiche, il governo italiano non può però appellarsi a questi fattori per elaborare una manovra più espansiva. La mancata realizzazione del sentiero programmatico, disegnato dalla Nadef, rischia di farne emergere gli elementi contraddittori e negativi per l’economia italiana. Anche se l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (Upb) ha deciso di validare le previsioni tendenziali e programmatiche avanzate dal governo rispetto all’economia italiana nei prossimi anni, esso ha anche tenuto a sottolineare che i relativi tassi di crescita sono superiori ai valori medi fissati dai principali previsori”.

LE CONCLUSIONI

Trancianti le conclusioni: “L’analisi fin qui condotta indica che i documenti di bilancio, presentati dal governo italiano, si basano su previsioni ottimistiche per quel che riguarda la crescita attesa del Pil, la dinamica degli oneri finanziari sul debito pubblico, le entrate connesse a privatizzazioni e, pertanto, la discesa nel rapporto tra debito pubblico e Pil”.

Per i recensori della manovra, “Lo scarso realismo degli impegni, assunti dal governo italiano in termini di aumento dell’avanzo primario nei bilanci pubblici dei prossimi anni, accresce l’incertezza sui mercati internazionali riguardo alla capacità di collocare sul mercato, a condizioni adeguate, le ingenti emissioni di titoli pubblici italiani implicite nell’andamento atteso del disavanzo. Tale incertezza può inoltre pesare negativamente sui negoziati per la revisione delle regole fiscali europee miranti a dare maggiore titolarità alle autorità nazionali nella definizione delle loro politiche di bilancio. In assenza di una revisione degli obiettivi di finanza pubblica contenuti nella Nadef al fine di rendere più credibile la riduzione del debito pubblico nei prossimi anni, anche alla luce del nuovo quadro macroeconomico internazionale, i rischi di instabilità finanziaria per il nostro paese possono notevolmente aumentare”.

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